mercoledì 11 aprile 2012

Intervista a Paolo Scaroni «Ora sono un ultras da poltrona La polizia in campo mi spaventa»

Ci è tornato, allo stadio. Per un po', in tribuna. «Ma non aveva lo stesso sapore». E allora, alla fine «la partita preferisco guardarla a casa, in poltrona, anche se certo, non è mica la stessa cosa». Ma se tra una punizione e un fallo gli chiedi se vorrebbe essere là, sugli spalti, ammette «neanche più di tanto. La polizia, allo stadio, adesso mi spaventa... e spero che il gruppo oggi non faccia sciocchezze». Già, il gruppo, quel «Brescia 1911» con cui Paolo Scaroni il 24 novembre del 2005 era in trasferta. Verona - Brescia. Il giorno che, per questo ultras di 35 anni di casa a Castenedolo, ha segnato un prima e dopo. Prima del coma. Dopo essere stato massacrato di botte alla stazione prima di salire sul treno del ritorno.

Ma stavolta, ha concesso uno strappo alle regole del suo nuovo rituale da tifoso in pantofole. E la partita l'ha guardata nella redazione del Corriere . Non da solo. Ma con Dailyn, la sua giovane moglie di origini cubane sposata il 5 ottobre scorso. E, a tratti, più che per la tattica offensiva o la strategia difensiva delle Rondinelle, ha occhi solo per lei, «mi amor: pero no le gusta mucho el futbol!», scherza. D'obbligo una sigaretta prima del fischio d'inizio: «È una partita tesa questa». Previsioni? «Due a zero per noi», secco. Quasi azzeccato. Felpa e cappellino targati «Brescia 1911», chewingum, e si gioca. «Vedi? Guardali lì, i gnari, in gradinata, sono in tanti, bene». «I gnari», per Paolo, sono una seconda famiglia: «Farei di tutto per loro. Mi sono stati sempre vicini». Anche i giocatori, però. Come Zambelli («cavolo, oggi non gioca, peccato») o quel portiere «che in ospedale mi portò persino il cd di De Andrè, il mio preferito, incredibile».
Ma il calcio in sé, adesso, «per me si è quasi spoetizzato... se penso che sette anni fa stavo guardando la stessa partita ed ero a posto, allora sì che mi arrabbio...». Chiede la verità, anche se «nella giustizia non ci credo fino in fondo», aspettando l'udienza del 13 luglio a Verona, quando a deporre saranno gli otto agenti della celere di Bologna imputati per lesioni aggravate. «In aula sono arrivati ultras da tutta Italia per sostenermi, pure il "Bocia" dell'Atalanta, giuro!». Squilla il telefonino: lo avvisano che al Rigamonti, nella curva dei veronesi, sventola uno striscione: «Giustizia per Paolo». «Bella storia, sono contento». Di più quando poco dopo le telecamere indugiano proprio sul messaggio per lui: «È un'emozione, so che per loro non è un gesto facile... Sentili, i cori...». E prontamente ribatte: «Uccidiamoli, uccidiamoli!». Ma poi, sull'1-1, confessa: «Andrebbe benissimo anche un pareggio, ora il Brescia mi sa che ha paura di perdere». Appunto. Perché il gol della vittoria sul filo di lana, Paolo se lo perde. «Ti spiace se andiamo un attimo prima? Dailyn ha appuntamento con la sorella via mail!». Poi lo chiami, manco il tempo di dire «ciao»: «Non dirmi che è finita 2 a 1... Che bello! Problemi di ordine pubblico? No? Menomale». 
Mara Rodella