lunedì 30 aprile 2012

in memoria dei caduti della RSI



in memoria dei Caduti della Repubblica Sociale Italiana,che hanno scelto di schierarsi e difendere fino all'ultimo respiro,al costo della vita stessa,il loro ideale.
In memoria di tutti quei valorosi italiani che in molti,oggi,vogliono dimenticare!

..Mussolini, che il 18 aprile si era portato a Milano e il 25 a Como, alle ore 8 del 27 aprile viene catturato dai partigiani nei pressi di Dongo mentre con alcuni gerarchi, uomini della Brigata Nera di Lucca e un reparto tedesco si sta dirigendo verso Nord.
 Secondo la versione partigiana (ormai da molti messa in dubbio) Mussolini, che era stato isolato dagli altri gerarchi,viene ucciso insieme a Claretta Petacci a Giulino di Mezzegra, davanti al cancello di Villa Belmonte, alle ore 16,20 del 28 aprile 1944.  A Dongo, alle ore 17,48 dello stesso giorno, vengono uccisi quindici gerarchi o presunti tali : Pavolini, Barracu, Mezzasoma, Zerbino, Liverani, Romano, Porta, Coppola, Daquanno, Utimpergher, Calistri, Casalinovo, Nudi, Bombacci, Gatti. Ed anche Marcello Petacci, che i gerarchi non vollero fosse fucilato con loro, fu ucciso subito dopo.

Il 29 i diciotto cadaveri vengono portati a Milano con un camion e appesi per i piedi alla tettoia di un distributore di benzina a Piazzale Loreto. I cadaveri vengono vergognosamente insultati e vilipesi da una folla imbarbarita.
 E non furono i soli morti della R.S.I. In quei giorni si scatenò una feroce caccia al fascista e diverse decine di migliaia di fascisti, civili o militari, furono trucidati, spesso in modo orrendo, anche quando, fidando nella parola del nemico che garantiva salva la vita, avevano già deposto le armi. Molte le stragi da ricordare, avvenute soprattutto nel nord Italia, opera quasi sempre di partigiani comunisti.
 Le operazioni di guerra in Italia cessarono ufficialmente con la nota resa di Caserta, firmata il 29 aprile 1945 da Germania e R.S.I. Essa prevedeva il cessate il fuoco alle ore 18 del 2 maggio 1945.

 Alcune decine di migliaia di combattenti della R.S.I., più fortunati, ebbero salva la vita e furono rinchiusi in campi di concentramento. Circa 35.000 di essi furono rinchiusi nel Campo di concentramento di Coltano, presso Pisa, dove vissero in condizioni disumane fino all’autunno, allorché i sopravvissuti poterono tornare in libertà. Non tutti, però, poterono tornare veramente liberi alle loro case. Molti dovettero vivere nascosti ancora per mesi, per non essere assassinati dai partigiani comunisti, ancora ben armati e ancora a caccia di fascisti. E per lunghi anni i fascisti superstiti patiranno le conseguenze di una feroce discriminazione, che li condannerà ai margini della società, costringendoli a lavori spesso umili, quasi sempre autonomi, essendo stati quasi tutti rimossi dai loro impieghi mediante la così detta “epurazione”. La lotta per la sopravvivenza delle loro persone e dei loro ideali fu, per molti fascisti della R.S.I., la continuazione di una guerra che per loro non era ancora finita. E nessuno si è arreso.

domenica 29 aprile 2012

Sergio Ramelli : il martirio di un ragazzo di Destra



“Sono i primi giorni di gennaio, è il 1975.
All’istituto tecnico Molinari, in V° J il professore di lettere assegna ai ragazzi, tra gli altri, un tema di attualità.
Sergio Ramelli, che frequenta da due mesi la sede del Fronte della gioventù, non ha dubbi: parla delle Brigate rosse. Scrive che il primo delitto dei brigatisti è stato compiuto contro due missini, scrive che le Br sono un pericolo per la democrazia, scrive che Mazzola e Giralucci, purtroppo, sono ricordati come delle vittime solo dai loro compagni di partito, che i brigatisti non sono un pugno di romantici rivoluzionari, ma un’organizzazione manovrata.
Ha le idee chiare, non c’è dubbio. Forse, osserverà il professore, è rimasto impressionato da un editoriale di Giorgio Pisanò apparso sul Candido e ne riecheggia le tesi, chissà: il testo originale di questo tema, ovviamente, oggi non esiste più. Ma il suo contenuto se lo ricordano bene tutti, i professori e i compagni di classe di Sergio. Perché succede che il ragazzo incaricato di raccogliere i temi venga bloccato in corridoio da alcuni compagni di scuola, che fanno parte del collettivo politico più forte dell’istituto, quello di Avanguardia operaia. E che poi i ragazzi del collettivo si mettano a spulciare gli elaborati uno per uno, per capire cosa hanno scritto i loro compagni su un argomento così delicato. Nessuno saprà mai che voto avrebbe preso per quel compito Sergio, il professore non lo correggerà mai.
Poche ore dopo, infatti, nella bacheca dell’atrio due fogli protocollo fanno bella mostra di sé, affissi con le puntine. Sopra c’è una scritta rossa: ECCO IL TEMA DI UN FASCISTA. Il testo è costellato di sottolineature. Per quanto nessuno ancora possa nemmeno immaginarlo, quel tema, e la sua «correzione», sono l’inizio di una drammatica catena che, anello dopo anello, si chiuderà con la morte di Sergio.
C’è qualcosa, nella figura di Sergio come è stata ricostruita negli atti e nei ricordi di chi lo ha conosciuto, che colpisce ancora oggi. Non si tratta di cedere all’eterna tentazione di costruire agiografie retroattive, non è la solita attitudine alla santificazione del martire. Ma è come se Sergio, in qualche modo, fosse riuscito a restare refrattario al furore ideologico del suo tempo. È un fan sfegatato solo quando si tratta di Adriano Celentano (una «vera mania», assicura la madre). È un grandissimo appassionato di sport, soprattutto di calcio, gioca a pallone a livello semiprofessionistico. È tifoso dell’Inter ma raramente va allo stadio, non è interessato al tifo. Dice la signora Anita: In tutte queste cose, nella musica, nello sport, come nella politica non era un fanatico. Si interessava, gli piacevano, si entusiasmava, ci metteva il cuore, ma non l’ho mai visto urlare o irritarsi.
Così, ripercorrendo i suoi ultimi giorni, si trova anche qualcosa di stoico, in lui, nel modo in cui si avvicina alla fine. In quella lunga cronaca di una morte annunciata che sarà il suo omicidio, malgrado il moltiplicarsi dei segnali e delle minacce, incredibilmente Sergio non si lamenterà mai né chiederà soccorso ai camerati, che sicuramente, se avessero saputo, avrebbero fatto qualcosa per proteggerlo.
Fino all’ultimo terrà all’oscuro anche la sua famiglia, negherà l’innegabile, mentirà per nascondere la progressione delle aggressioni di cui viene fatto oggetto. Risulta dai verbali degli interrogatori che persino nei giorni in cui a scuola lo insultano e lo prendono a calci, lui continua a non raccontare niente ai genitori. Quando proprio non può, e la madre lo riempie di domande, scuote la testa e le fa: «Non preoccuparti mamma, non è nulla».
La giornata più drammatica, nel corso della lunga persecuzione che prepara il delitto, è quella del 3 febbraio 1975. Dopo molte discussioni, papà e mamma Ramelli hanno deciso di imporre al figlio di abbandonare il Molinari. A malincuore Sergio è costretto ad accettare, e quella mattina entra a scuola accompagnato dal padre per sbrigare le necessarie pratiche burocratiche. Purtroppo li stanno aspettando: nel corridoio della scuola padre e figlio sono aggrediti, picchiati e costretti a passare fra due file di studenti per un violento rituale di sottomissione.
Sembra la scena di un film di Kubrick, sembra un’arancia meccanica in salsa meneghina, e ancora una volta bisogna lasciare la parola a Grigo e Salvini per sapere come si conclude questa terrificante passeggiata:
Il ragazzo era stato colpito ed era svenuto, mentre lo stesso preside  e i professori che avevano scortato il Ramelli e il padre verso l’uscita erano stati malmenati.
Ancora più sconcertante la testimonianza del professor Melitton, secondo cui la preside aggredì il padre e gli disse:
«Ma non vede che lei e suo figlio siete un motivo di turbamento per la scuola?».
Marzo 1975. Roberto Grassi, ex studente del Molinari, ed esponente di spicco di spicco del servizio d’ordine di Avanguardia operaia, durante una riunione di cellula si rivolge a Marco Costa, universitario, numero due del servizio d’ordine di Medicina a Città Studi. Grassi è uno dei pochi tra i dirigenti del gruppo che conosca personalmente Ramelli. Ed è lui che preannuncia a Costa una decisione da tempo nell’aria: dovrà essere la sua squadra (proprio perché non è in alcun modo collegabile al giovane missino) ad aggredire il ragazzo. Sarà un battesimo d’azione, la prima sprangatura del gruppo. Sarà il primo delitto politico degli anni Settanta commesso per interposta persona, il primo delitto, a sinistra, realizzato «su commissione».
La comunicazione «ufficiale», invece, in un’organizzazione leninisticamente centralizzata e gerarchica, arriverà da un altro dirigente, Giovanni Di Domenico detto «Gioele». Infatti, Di Domenico avvicina Walter Cavallari e gli dice:
«Dovete andare a menare un fascio». Cavallari non se la sente.
Pochi giorni prima gli è stato chiesto di sprangare uno studente di Agraria, ma non è andata come pensava. Lo aggredisce, ma subito dopo ha paura, scappa: «Doveva essere un militante di acciaio temprato, e invece no, mi ero trovato davanti solo un uomo». Viene esautorato. Per uno che ha un dubbio ce ne sono dieci che non ne hanno.
Il suo posto lo prende Costa. L’azione si deve fare lo stesso. Dopo trent’anni Anita Ramelli abita ancora nella stessa casa di via Amedeo, con la finestra affacciata sul luogo dove avvenne l’aggressione a Sergio. Per ostinazione, per abitudine, per senso della memoria, non se ne è voluta andare.
Per anni su quel pezzo di muro si sono combattute grandi battaglie simboliche: prima i manifesti con le minacce, poi la guerra dei fiori e delle scritte, e addirittura una battaglia per i sacchi di immondizia che un portiere del condominio di fronte si ostinava a depositare proprio lì davanti, malgrado i cassonetti a pochi passi più in giù. Un giorno, gli amici di Sergio gli spiegarono che o sceglieva un altro posto per depositarli, o si sarebbe ritrovato i rifiuti in guardiola: cosa che puntualmente accadde, dopo l’ennesima sfida.
Non è facile dimenticare, nemmeno per un quartiere, soprattutto per chi non capisce che si possa continuare a combattere una guerra anche su qualche metro di marciapiede e di intonaco. Oggi, mani ignote, ma per chi sa individuabili, hanno dipinto su quella parete un grande murale, con una scritta e una croce celtica: SERGIO VIVE. È il modo che la comunità di cui Sergio faceva parte ha scelto per non dimenticare.
Ancora oggi, ogni tanto, mamma Ramelli si affaccia alla finestra di casa sua. Guarda il muro, e la scritta. E non dice nulla.

giovedì 26 aprile 2012

‎25 APRILE: DANTE INSEGNA A SUPERARE L'ODIO ANTIFASCISTA






«Fieramente furo avversi
a me e a miei primi e a mia parte,
sì che per due fïate li dispersi».
«S'ei fur cacciati, ei tornar d'ogne parte»,
rispuos'io lui, «l'una e l'altra fïata;
ma i vostri non appreser ben quell'arte»

Sono i versi del famoso dialogo della Divina Commedia tra il guelfo Dante e Farinata degli Uberti, il più illustre capo politico e militare dei ghibellini fiorentini. È un botta e risposta tra due uomini di fazioni opposte, protagoniste della guerra civile a Firenze ed in tutto il centro Italia. Un dialogo che, come vedremo, supera la contrapposizione nell’ottica del comune amore verso la patria.

A dire il vero in questo periodo non è consigliabile citare il Sommo Poeta per via degli strali lanciati da una sedicente organizzazione culturale, tale “Gherush92”, che recentemente ha bollato la Divina Commedia come condensato di razzismo, omofobia e islamofobia. Il fatto che questa organizzazione sia accreditata all’ONU mi induce a dubitare sullo reale spessore culturale di soggetti incapaci di comprendere il significato profondo e complesso della Commedia di Dante. 
Ho voluto provocatoriamente evocare il X Canto nella ricorrenza del 25 aprile per ragionare sulle intrinseche contraddizioni di questa data. Di recente il Sindaco rosso-arancio di Milano Pisapia ha chiesto a gran voce la chiusura dei negozi il 25 aprile per consentire ai cittadini di partecipare alle celebrazioni pubbliche. È curiosa questa richiesta in un Paese, peraltro fortemente cattolico, dove persino nelle festività religiose i negozi non chiudono. La verità, che sfugge a Pisapia, è che gli italiani disertano le celebrazioni del 25 aprile perché considerano questa ricorrenza non unitaria ma di parte. Non per qualunquismo o per chissà quali rigurgiti neofascisti, ma per la consapevolezza che il 25 aprile è il simbolo, oltre che di una guerra persa, di profonde lacerazioni provocate dalla guerra civile del ‘43-‘45, piuttosto che un giorno di autentica festa. 

La retorica resistenziale presenta il 25 aprile 1945 come “festa della liberazione” tra sfilate gioiose e bandiere rosse al vento. Una ricostruzione artificiosa poco aderente alla realtà storica. Viene omesso quanto ricordano bene gli italiani che vissero quei giorni e quanti hanno letto le cronache di Pisanò e Pansa. Gli italiani conoscono le vendette, le stragi, le famiglie divise dalle scelte differenti dei propri giovani. Vicende che riguardarono sia partigiani che combattenti della Repubblica Sociale Italiana. In una guerra civile è impossibile marcare chiaramente il confine tra bene e male assoluto, ammesso che esista su questa Terra. L’elemento che contraddistingue ogni guerra civile è l’impressionante odio che si scatena tra le fazioni in lotta. Figli della stessa patria pronti ad eliminarsi a vicenda. Alla fine restano solo le macerie. È quanto insegna la Storia. 
Fu così anche tra i guelfi ed i ghibellini nel Medioevo. Tuttavia Dante dà una grande lezione di vita. Pur collocando Farinata degli Uberti nell’inferno, a causa della sua adesione alla dottrina epicurea, Dante stima profondamente il capo ghibellino. Lo considera un uomo magnanimo, coraggioso e coerente. Il guelfo Dante mette da parte l’odio di parte per dare spazio alla comune appartenenza che lo lega a Farinata. Entrambi amano Firenze, un amore che supera la propria fazione. Fu così per Farinata che dopo la battaglia di Montaperti, vinta dalle truppe ghibelline guidate da Siena, si oppose fermamente alla distruzione di Firenze. A prevalere fu l’amor patrio sull’odio verso i guelfi. Fu così anche per Dante che, seppur coinvolto insieme alla sua famiglia nella lotta contro i ghibellini, riconobbe la statura morale dell’avversario politico Farinata. Grazie al Poeta la memoria di Farinata degli Uberti fu riscoperta, tanto da essere raffigurato tra i fiorentini illustri negli splendidi affreschi e nelle statue di Andrea del Castagno conservate agli Uffizi. Una figura, quella di Farinata, rievocata dalla scrittrice Carla Maria Russo nel celebre romanzo storico “Il cavaliere del giglio”.    

Dante insegna che è possibile superare l’odio generato da qualsiasi guerra civile.Politici come Pisapia, i reduci dell’Anpi ed i finti partigiani dei centri sociali dovrebbero rileggere con attenzione Dante e imparare qualcosa. Da una parte e dall’altra bisogna sforzarsi di comprendere, senza giudicare, le ragioni che spinsero tanti giovani a morire con il fazzoletto rosso o con la divisa della Decima Mas. Solo così la nostra nazione sarà finalmente pacificata. 


Mauro La Mantia

martedì 24 aprile 2012



25 APRILE:Non si festeggiano le guerre civili



in ricordo di Giuseppina Ghersi

Giuseppina Ghersi studentessa di 13 anni dell'istituto magistrale "Maria Giuseppa Rossello" di Savona, brutalmente seviziata ed uccisa in circostanze tuttora misteriose dalla polizia partigiana,
Dall’esposto del padre, Giovanni Ghersi, presentato al Procuratore della Repubblica di Savona in data 29 aprile 1949 leggiamo che: “ll 25 aprile ‘45, alle 5 pomeridiane” i partigiani, appena entrati a Savona, chiedono ai Ghersi del “materiale di medicazione” che la famiglia non esita a “fornire volentieri”.

Il giorno successivo, come di consueto, i coniugi si dirigono verso il loro banco di frutta e verdura ma in zona San Michele, poco dopo le 6.00 del mattino, sono fermati da due partigiani armati di mitra. Vengono portati al Campo di Concentramento di Legino,dove un terzo partigiano sequestra loro le chiavi dell’appartamento e del magazzino. Dopo circa mezz’ora viene deportata al Campo anche la cognata e i partigiani, senza testimoni, possono finalmente procedere all’appropriazione delle merci dal negozio e di tutti i beni della famiglia presenti in casa. Solo Giuseppina manca all’appello perché ospitata da alcuni amici di famiglia.I Ghersi, ormai detenuti da due giorni senza lo straccio di un’accusa, chiedono spiegazioni ai partigiani. Viene loro detto che si tratta di un semplice controllo e che hanno bisogno di fare delle domande alla figlioletta.

Siccome Giuseppina aveva precedentemente vinto un concorso a tema ricevendo, via lettera, i complimenti da parte del Segretario Particolare del Duce in persona, trattandosi di una bonaria quisquilia, i genitori si persuadono circa le intenzioni dei partigiani e, accompagnati da uomini armati, vanno a prendere la piccola. L’intera famiglia Ghersi viene dunque tradotta nuovamente al Campo di Concentramento dove inizia il primo giorno di follia. E’ il pomeriggio del 27 Aprile 1945: madre e figlia vengono malmenate e stuprate mentre il padre, bloccato da cinque uomini, è costretto ad assistere al macabro spettacolo percosso dal calcio di un fucile su schiena e testa. Per tutta la durata della scena gli aguzzini chiedono al padre di rivelare dove avesse nascosto altro denaro e oggetti preziosi. Verso sera inizia i partigiani conducono Giovanni e Laura Ghersi presso il Comando Partigiano dove viene chiaramente detto che a loro carico non è emerso nulla.

Nonostante ciò i partigiani li rinchiudono nel carcere Sant’Agostino.
Giuseppina subisce da sola un lungo calvario di sofferenze finché,
il 30 Aprile 1945, viene finita con un colpo di pistola per poi essere gettata davanti alle mura del Cimitero di Zinola su un cumulo di cadaveri.


lunedì 23 aprile 2012

OUI LA FRANCE!



MARINE LE PEN: LE RAGIONI DEL SUCCESSO

La vera vincitrice delle elezioni francesi è senza alcun dubbio Marine Le Pen!
Certamente ha goduto di una sospensione del linciaggio mediatico, la sinistra ha temporaneamente smesso di accanirsi contro di lei per essere figlia di tanto padre, uno che aderì a Vichy, ora, visto che rubava voti a Sarkò, l'hanno graziata.
Ma ci sono ragioni più importanti che hanno conquistato soprattutto i giovani, dove Marine ha saputo scavalcare la sinistra, strappandole la leadership: adesso è il suo Front National il primo partito negli under 30. 


Come ha fatto? 
Intanto ha rubato uno slogan del '68: "Ce n'est qu'un début, continuons le combat"', non è che l'inizio, continueremo a combattere! E questo già delinea una politica che vuole staccarsi dalle vecchie divisioni, abbandonare gli antichi orpelli che soffocavano il partito fondato dal padre.
Ma la sua è innanzitutto una battaglia per la Sovranità Nazionale contro i vari fiscal compact, ESM e marchingegni vari, la Le Pen coraggiosamente afferma che l'Europa per sopravvivere deve voltare pagina e tornare alle monete nazionali e si batte per riscrivere tutti gli accordi con l'Unione Europea! Il suo programma prevede che si tenga l'euro come moneta comune, ma che l'UE autorizzi ogni Paese a ripristinare la propria vecchia moneta.


Il tanto "credibile" Governo Monti viene bollato dalla Le Pen come un colpo di Stato per mettere al Governo un "impiegato della Goldman Sachs, banca d'affari che, per attuare i suoi piani, ha piazzato suoi uomini in Italia, Grecia e BCE". 
Parla di tornare all'economia reale, abbandonando quella nefasta new economy, impedendo che la finanza "decida i destini dell'umanità".


La Le Pen ha lanciato un nuovo modello culturale, parla di ecologia, sostiene "l'autarchia dei grandi spazi" e l'"economia in cerchi concentrici", bollando come "eresia ecologica consumare prodotti coltivati a 20mila km di distanza e riciclare i rifiuti migliaia di chilometri più avanti". Per i trasporti commerciali sostiene il ferroutage, ossia su rotaie.
Bellissima la politica sull'Immigrazione che si riassume in: Il Francese prima! Parole sante, esportabili in Italia, frutto di buon senso!


Sulla Cittadinanza entra nell'Olimpo dei miti: la cittadinanza è indivisibile dalla Nazionalità e si poggia sull'eguaglianza di tutte le persone di fronte alla legge; la legge dovrebbe ostacolare un trattamento preferenziale in base all'appartenenza di una categoria sociale, etnica o religiosa, per questo è contro l'abrogazione della affirmative action, strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale, mentre sostiene la restaurazione di una "meritrocrazia repubblicana".
Per questo afferma che "la nazionalità è ereditata o meritata", se uno straniero non rispetta la legge in Francia dovrebbe essere privato della nazionalità francese e qualunque straniero che commetta reati in Francia deve essere rimandato nel suo paese d'origine.
Altro che ius soli e politica d'accoglienza alla Fini-Napolitano-Riccardi! 


Brava la Le Pen! Impariamo da lei e vediamo di orientare anche il centro-destra italiano su questo programma, inutile pensare ad alleanze con questo o quello, altro che nuovi partiti, ci vogliono IDEE e la Le Pen ce l'ha, in Italia mancano e poi non meravigliamoci se avremo per premier un Bersani o chi per lui e per Presidente della Repubblica un Prodi! 


M. Rizzi

mercoledì 18 aprile 2012

L'ultima tragedia Greca...

La rivolta del popolo greco, sacrosanta lotta di sangue contro l'oro anche se mitigata da un momento di respiro per via dell'elargizione europea in termini di denaro, vive in uno stato di totale abbandono per quello che riguarda i benefici che in tanti anni di lavoro ha visto protagonista l'erede dell'antica potenza, cioè il popolo affamato, è oggi schiavo della potenza finanziaria europea e addirittura globale. Centinaia di lavoratori hanno perso il posto di lavoro, altri si sono sempre barcamenati fra uno Stato che concedeva pochi benefici, altri ancora improvvisando lavori legati al turismo o dedicandosi alla vita agreste.

Oggi tutti si ritrovano con stipendi non pagati e le banche per evitare il collasso, non solo non concedono crediti, ma addirittura bloccano le casse continue per evitare che i più che conducono una vita disagiata chiedano alle banche stesse i loro pochissimi risparmi. L'esercito intervenuto duramente contro chi protestava e voleva incendiare il parlamento greco, ha dovuto fare i conti con la propria coscienza per non causare vittime innocenti. Al momento la situazione sembra più stabile grazie alla boccata d'ossigeno elargita dall'Europa delle banche, ma presto, molto presto la crisi sarà ancor più dura e violenta. La recessione ha fatto fuori moltissimi stipendi pubblici dimezzandoli, facendo chiudere diverse attività, le tasse, l'iva sono ai massimi storici a causa dei dazi che il prestito della banca centrale impone. Papandreu è l'ennesimo capo di governo imposto dall'alto e non dal popolo. Le elezioni prossime potrebbero lasciare il segno in quanto potrebbero portare al potere movimenti estremisti anti europei e questo l'Europa dei tecnocrati lo sa bene, per questo stringe la presa più forte...

Dopo la caduta del muro di Berlino la gente si è illusa che l'Europa avrebbe ripreso il suo ruolo di faro della civiltà che ha avuto per secoli, ma il controllo dell’Europa Occidentale è rimasto globalmente sempre nelle mani degli Stati Uniti. Quindi sì all'Europa Nazione, insieme di Patrie rispettose delle proprie tradizioni e grandi del loro passato, sì all'Europa libera da vincoli dettati dalla finanza internazionale, sì all'Europa Sovrana, scevra da ogni tipo di schiavitù, libera e potente. Presto in Europa si vedrà l'alba di un nuovo giorno, quella della riscossa!



di Anthony La Malfa

martedì 17 aprile 2012

"Non v'è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all'uomo"

Filippo Tommaso Marinetti

lunedì 16 aprile 2012

Giustizia per i fratelli Mattei



La notte del 16 aprile 1973,tre militanti di Potere Operaio appiccarono il fuoco alla porta dell'abitazione del segretario della sede del Msi di Primavalle, Mario Mattei. 
Due dei suoi sei figli, Virgilio di 22 anni e Stefano di soli 8, rimangono bloccati nell'appartamento imprigionati tra le fiamme. 
Ancora oggi i tre assassini responsabili di quella strage, Achille Lollo, Marino Clavo, Manlio Grillo, non sono stati consegnati alle patrie galere.


TUTTA ITALIA VUOLE GIUSTIZIA


per non dimenticare..

domenica 15 aprile 2012

in ricordo di Giovanni Gentile

‎15.04.1944 - 15.04.2012
In ricordo di Giovanni Gentile
"ucciso dai vili, scordato dai servi"

venerdì 13 aprile 2012

ET VENTIS ADVERSIS..

La bellezza della diversità!



Questo la natura ci ha sempre insegnato e ci insegna tutt’oggi che non esistono due soggetti uguali in natura… Basta con la fandonia dell’eguaglianza. Se parliamo di un cane, quante razze ne cataloghiamo? E nell’ambito della stessa razza, possiamo affermare che tutti i cani siano IDENTICI? Fortunatamente non lo sono nè dal punto di vista antropologico, nè dal punto di vista estetico, nè da quello comportamentale; si parla tranquillamente di razza-canina senza che nessuno gridi allo scandalo. Sulla base di questo piccolo esempio, e ve ne sarebbero a migliaia da fare, ci chiediamo per quale motivo ciò non dovrebbe valere anche per noi uomini? Anzi, soprattutto proprio per noi uomini (e donne) che essendo dotati di una ragione, abbiamo molte più sfaccettature e molte più peculiarità che ci diversificano. Proviamo ad immaginare come sarebbe triste vivere in un mondo di cyborg tutti identici, camminare in un viale con alberi tutti uguali, avere in casa dei gatti tutti uguali, vivere in mezzo a persone identiche a noi come di fronte ad uno specchio semovente. Sarebbe come vivere in un film dell’orrore che tanto di moda vanno adesso. Ma noi amiamo la vita, la natura, e preferoa vivere a colori!

L’umanità si è evoluta proprio grazie alle differenze; eppure oggi il solo dichiarare questo è considerato un tabù, ed il rischio concreto è quello di farsi additare come razzisti (nel senso più spregevole e antilegale del termine). Più che di eguaglianza, sarebbe giusto parlare di PARI DIGNITA’, valore ben più importante di una eguaglianza che non esiste nemmeno nell’ambito scientifico. In realtà dietro la fandonia dell’eguaglianza, c’è la volontà di voler massificare le popolazioni mondiali, come è negli obiettivi di quei globalizzatori oggi rappresentati dalle “civiltà” che REGNO UNITO e USA (quest’ultima proprio la “Nazione” dove è stato inventato il razzismo) impone con la forza delle armi e con le menzogne in tutto il mondo. Non esiste una popolazione mondiale uguale ad un’altra; ogni popolo ha una sua cultura anche millenaria, tradizioni che rispetta, una sua storia UNICA. Ed è proprio la forza di un popolo, la coscienza di essere popolo, l’unica arma che si può e si deve utilizzare contro la globalizzazione!

A questo punto ci chiediamo perché i No-global, non riescano e non vogliono percepire questo aspetto e continuino a strillare contro la visione identitaria di alcune forze politiche, additandole come di “Estrema Destra”, usando la solita etichetta dispregiativa.
Eguaglianza, per i globalizzatori, fa rima con multirazzialità. Questo binomio non è un caso ma un preciso progetto; un popolo che perde la sua identità, non potrà opporsi a quelle tresche lobbyste dell’alta finanza che prediligono uomini “egualmente consumatori”, come allo stesso tempo la Chiesa predilige uomini “egualmente devoti e donatori”. Quindi favorire una società multirazziale, equivale a distruggere quelle caratteristiche che tengono compatte le persone appartenenti allo stesso popolo. Come enunciato nella nostra tavola dei valori, questo è un aspetto da tenere in seria considerazione e che non riguarda le caratteristiche biologiche e di purezza di razza, coglionerie che lasciamo ai malati mentali, argomento che viene usato invece per demolire chi si vuole opporre all’omologazione dei popoli. Oggi l’Italia e l’Europa sono meta di incessanti flussi migratori; flussi provocati dall’impoverimento di quelle terre sfruttate dalle multinazionali che a NOI occidentali permettono di vivere negli agi, a danno delle popolazioni locali costrette ad emigrare nel nostro continente. L’emigrante, se non fosse vessato nella sua patria, non emigrerebbe! Questo è un concetto facile da far capire anche a chi urla e parla di Xenofobia… Proprio noi che ci battiamo per la Sovranità Nazionale a tutte le latitudini del globo.

Noi siamo per la salvaguardia della nostra cultura, della nostra identità, che un immigrazione selvaggia contribuisce a distruggere proprio perchè “veicolata” dalle lobby economiche globalizzatrici. Noi puntiamo il dito non contro il povero immigrato sbarcato sulle coste italiane alla ricerca di una vita migliore (e poi sfruttato da imprenditori senza scrupoli e relativa criminalità organizzata), ma contro quelli che vengono per delinquere in un paese allo sbando, dove il buonismo e la sindrome del razzismo li lascerà impuniti.

Puntiamo il dito ed alziamo la voce soprattutto contro chi è la causa di questi flussi migratori, le multinazionali, le banche e la finanza internazionale apolide; è la stessa finanza che presiede il FMI, la BCE; è la stessa finanza che ha ucciso la democrazia in Grecia, la stessa finanza che ci ha imposto il GOVERNO DEI TECNOCRATI in Italia! A ben guardare, sono loro i veri razzisti, quelli che non rispettano la dignità dei popoli e li violentano, riducendoli in povertà (come ben espresso da John Perkins nel suo “Confessioni di un Sicario dell’Economia“)!!!

Non può esservi dignità più grande per un popolo che non sia quella di vivere nella propria terra natia, coltivando le proprie tradizioni ed usanze, e conquistando e mantenendo la propria SOVRANITA’ NAZIONALE !

L’eguaglianza, per favore, lasciamola ai robot delle catene di montaggio tanto care alle Corporation usuraie!


mercoledì 11 aprile 2012

LE NUOVE T-SHIRT

DATO LE TANTE RICHIESTE,SONO ARRIVATE LE NUOVE T-SHIRT CASAGGì
-Nel ribelle l'uomo sano-
Il ricavato andrà a finanziare il nuovo "spazio identitario"!
VESTI IDENTITARIO-VESTI CASAGGì



Intervista a Paolo Scaroni «Ora sono un ultras da poltrona La polizia in campo mi spaventa»

Ci è tornato, allo stadio. Per un po', in tribuna. «Ma non aveva lo stesso sapore». E allora, alla fine «la partita preferisco guardarla a casa, in poltrona, anche se certo, non è mica la stessa cosa». Ma se tra una punizione e un fallo gli chiedi se vorrebbe essere là, sugli spalti, ammette «neanche più di tanto. La polizia, allo stadio, adesso mi spaventa... e spero che il gruppo oggi non faccia sciocchezze». Già, il gruppo, quel «Brescia 1911» con cui Paolo Scaroni il 24 novembre del 2005 era in trasferta. Verona - Brescia. Il giorno che, per questo ultras di 35 anni di casa a Castenedolo, ha segnato un prima e dopo. Prima del coma. Dopo essere stato massacrato di botte alla stazione prima di salire sul treno del ritorno.

Ma stavolta, ha concesso uno strappo alle regole del suo nuovo rituale da tifoso in pantofole. E la partita l'ha guardata nella redazione del Corriere . Non da solo. Ma con Dailyn, la sua giovane moglie di origini cubane sposata il 5 ottobre scorso. E, a tratti, più che per la tattica offensiva o la strategia difensiva delle Rondinelle, ha occhi solo per lei, «mi amor: pero no le gusta mucho el futbol!», scherza. D'obbligo una sigaretta prima del fischio d'inizio: «È una partita tesa questa». Previsioni? «Due a zero per noi», secco. Quasi azzeccato. Felpa e cappellino targati «Brescia 1911», chewingum, e si gioca. «Vedi? Guardali lì, i gnari, in gradinata, sono in tanti, bene». «I gnari», per Paolo, sono una seconda famiglia: «Farei di tutto per loro. Mi sono stati sempre vicini». Anche i giocatori, però. Come Zambelli («cavolo, oggi non gioca, peccato») o quel portiere «che in ospedale mi portò persino il cd di De Andrè, il mio preferito, incredibile».
Ma il calcio in sé, adesso, «per me si è quasi spoetizzato... se penso che sette anni fa stavo guardando la stessa partita ed ero a posto, allora sì che mi arrabbio...». Chiede la verità, anche se «nella giustizia non ci credo fino in fondo», aspettando l'udienza del 13 luglio a Verona, quando a deporre saranno gli otto agenti della celere di Bologna imputati per lesioni aggravate. «In aula sono arrivati ultras da tutta Italia per sostenermi, pure il "Bocia" dell'Atalanta, giuro!». Squilla il telefonino: lo avvisano che al Rigamonti, nella curva dei veronesi, sventola uno striscione: «Giustizia per Paolo». «Bella storia, sono contento». Di più quando poco dopo le telecamere indugiano proprio sul messaggio per lui: «È un'emozione, so che per loro non è un gesto facile... Sentili, i cori...». E prontamente ribatte: «Uccidiamoli, uccidiamoli!». Ma poi, sull'1-1, confessa: «Andrebbe benissimo anche un pareggio, ora il Brescia mi sa che ha paura di perdere». Appunto. Perché il gol della vittoria sul filo di lana, Paolo se lo perde. «Ti spiace se andiamo un attimo prima? Dailyn ha appuntamento con la sorella via mail!». Poi lo chiami, manco il tempo di dire «ciao»: «Non dirmi che è finita 2 a 1... Che bello! Problemi di ordine pubblico? No? Menomale». 
Mara Rodella


martedì 10 aprile 2012

Alla processioni non vi presentate,ma la domenica a messa a battervi il petto..AMMINISTRAZIONE PINO NON AVETE RISPETTO!



Nel 700' personaggi discutibili come Luigi XIV e altri suoi commensali, avrebbero inorridito se solo si fossero trovati a passare per i sobborghi popolari della Parigi antecedente alle Belle Epoque. Ma il tono sfarzesco di Versailles e delle altre residenze regali, non avrebbero certo potuto vivere tal splendore senza i dazi del popolo, oggi sovrano, ieri sovranizzato. 


Se oggi pomeriggio vi capitava di passare dal quartiere di San Papino e dalla sua piazza centrale potevate ammirare, fedeli e non, la lunga processione del Crocifisso, celebrazione del Venerdì Santo che nel quartiere popolare di Milazzo viene festeggiata dopo la fine della Quaresima ed esattamente il martedì dopo Pasqua. Si contavano un migliaio di fedeli, solo prima dell'Ostensorio del celebre Crocifisso che viene uscito ogni 100 anni. Non c'è sfarzo e neppure squallore. Eppure nonostante l'epoca del Re Sole sia finita, a mancare questa importante celebrazione è proprio l'istituzione comunale. Infatti i grandi assenti non sono certamente i fedeli, molto numerosi, ma le autorità pubbliche. Pettorine, bandane e crocifissi non mancano. 


Ma in molti si sono chiesti "Chi rappresenta questa comunità? Dov'è il Sindaco, gli assessori, i consiglieri?!" Le stesse autorità che il 15 aprile del 1718 assistettero al pianto del crocifisso di San Papino, evento che persino il Re Sole avrebbe considerato. Oggi però questa folta comunità di fedeli non era degna di attenzione e di rispetto per cui l'istituzione avrà di certo altro cui pensare. Forse altre tasse, o forse altri santi, ma di sicuro questa è una croce che non ci sentiamo di sbarrare...


Alla processioni non vi presentate..ma la domenica a messa a battervi il petto..AMMINISTRAZIONE PINO NON AVETE RISPETTO!

Contro la crisi dei valori: aristocrazia spirituale e costruzione dell'Uomo Nuovo



La Rivoluzione che auspichiamo non è un qualcosa di esclusivamente materiale, non è una semplice teoria economica nè un'equazione matematica, ma ha le caratteristiche di un rinnovamento spirituale dell'uomo, che deve smettere di essere semplice “prodotto della terra” (Homo deriva infatti da Humus, cioè “terra”), deve tendere ad essere Vir, cioè essere virile dotato di virtù.

In un'epoca dove tutto inneggia ad una sdolcinata pace, senza contrasto alcuno, in cui ogni giorno scorre uguale, appiattito su di una monotona esistenza borghese, dove bene e male tendono ad avvicinarsi fino ad intrecciarsi e in un'Italia dove si è perso qualsiasi slancio, dove l'avere vale più dell'essere, l'individualismo ha sconfitto l'organicismo e l'arrivismo lo spirito di sacrifcio, noi auspichiamo il rinnovamento spirituale dell'uomo.

Un uomo nuovo che dev'essere scudo e spada di questo popolo tradito e umiliato, portatrice di quei valori etico/morali (lealtà, onore, volontarismo, solidarietà, spirito di sacrificio) alla cui mancanza si deve il collasso della Patria, guerriero e militante in contrapposizione al pessimismo di facciata che nasconde invece l'affarismo, l'arrivismo, la voglia di vita lussuosa, comoda, e "da caffè". Il credere in un'entità divina, qualunque essa sia, è condizione fondamentale: il materialismo, il pensiero debole e il positivismo, rei di aver provocato e forzato la "normalizzazione" dell'uomo, di aver indotto allo spirito borghese e di aver concimato il seme dell'invidia, dell'individualismo e dell'egoismo, vanno di pari passo con l'ateismo.

Solo un'aristocrazia spirituale (formata da tutti gli uomini che sceglieranno di vivere secondo virtù), ne siamo consapevoli, potrà salvare la Patria dalle forze centrifughe del male. L'uomo nuovo difatti, che sacrifica tutto il suo essere per la comunità, si incarna con la figura del militante: ossia colui che dedica il proprio tempo ad azioni che, costando sacrificio e non portando alcun ricavo personale, costituiscono l’arma migliore contro questa esistenza fatta di egoismi, viltà e di “uomini” che si confondono ormai con le rovine di questo mondo che cade a pezzi. Sicuramente la militia non è la vita spesa nelle discoteche, o negli scontri tra tifoserie negli stadi, come non c’è eroismo nel correre in auto il sabato sera, e tantomeno c’è dignità in una vita fatta di vuote parole, di pigrizia o di timore per i propri interessi, di qualunque genere essi siano. Sono tutti casi – seppur diversi – in cui ci si agita come trottole impazzite o si è statici come cadaveri, che è lo stesso.Valga dunque, oggi come ieri, il senso ed il significato degli antichi miti. Oggi come ieri, divenire esempio attraverso il quale tramandare i valori della stirpe e l’eredità degli avi è pertanto il nostro dovere. A noi, e a noi soltanto, spetta compierlo, mantenendoci saldi in questo mondo di rovine.

Anthony La Malfa

venerdì 6 aprile 2012

Lavoro?una questione culturale!


La riforma del mercato del lavoro è anche una questione culturale, non solo contrattuale o economica
Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 9,3%, con picchi altissimi per i giovani e per le donne, ed è tornato ai livelli del 2004, ovvero prima che si manifestassero alcuni degli effetti positivi prodotti dalla piena attuazione delle nuove forme di flessibilità “in ingresso” introdotte dalla Riforma Biagi. Nel contesto di una crisi internazionale che sembra non terminare mai, di istituzioni comunitarie preoccupate più di far quadrare i conti che di costruire un nuovo sistema sociale per i popoli che aderiscono all’Unione Europa, di un Italia che ha rischiato il default finanziario e che (essendo sovra-indebitata) non potrà adottare politiche keynesiane di incremento degli investimenti statali, è sempre più necessario attuare una profonda e sostanziale riforma del mercato del lavoro con lo scopo di ridare nuovoslancio all’occupazione, di valorizzare il merito individuale, di superare le note iniquità e distorsioni, restituendo la dignità a coloro che si impegnano seriamente e vogliono cogliere nuove opportunità per costruirsi un futuro migliore.
Gran parte del popolo italiano è d’accordo sulla necessità di intervenire sulle norme che regolano il mercato del lavoro dipendente, ma sono amplissime le divergenze sul come farlo. Tutto sembra ruotare intorno alla “flessibilità”, ovvero alle differenti modalità di gestione del varie fasi che caratterizzano il mondo del lavoro: ciò che dovrebbe rappresentare una risorsa per il Paese, un opportunità per i lavoratori e le imprese, è divenuto un incubo per molti.
L’introduzione di nuove forme di flessibilità “in ingresso”, senza le adeguate coperture previdenziali, ha permesso alle imprese di “assumere” personale con costi più bassi ma ha generato l’interminabile susseguirsi di stage mal o per nulla retribuiti, tirocini professionalizzanti, collaborazioni occasionali e a progetto che stanno piegando i giovani ad un precariato costante. Un precariato che non è solo lavorativo, ma è anche economico e sociale, per il mancato supporto di quelle istituzioni finanziarie che non erogano finanziamenti e mutui se non a fronte di uno stipendio fisso, per l’assenza di ammortizzatori sociali e per la quasi matematica certezza che, alla fine del ciclo lavorativo, la pensione percepita sarà quella minima.
È in corso un tentativo di “irrigidimento” del sistema di ingresso nel mondo del lavoro. Il Governo vorrebbe superare l’uso distorto dei contratti a “termine” accrescendone le spese di gestione per le imprese con l’aumento dei contributi e con l’introduzione di nuove forme assicurative. A questo si affiancherebbe la promozione, attraverso gli incentivi fiscali, dell’apprendistato quale strada prevalente per l’accesso all’agognato contratto a tempo indeterminato. Il risultato di queste azioni sarà un importante innalzamento dei costi di primo impiego, che, a causa dell’ampio cuneo fiscale e contributivopeserà in modo importante sulle economie delle piccole e medie imprese e non aiuterà i lavoratori a stare meglio. Quindi, seppure queste misure saranno inserite in un pacchetto strutturato di interventi, rischiano di essere insufficienti e spingere i datori di lavoro a scegliere altre strade: un incentivo reale per le imprese sarebbe la contemporanea riduzione dei carico contributivo, peralmeno cinque anni, qualora i lavoratori siano assunti e stabilizzati con i contratti “tipici”.
Fortunatamente, tra le altre azioni previste, il Governo intenderebbe completare la riforma degli ammortizzatori sociali e degli altri strumenti atti a favorire la ricollocazione di coloro che hanno perso l’occupazione a causa della crisi o del fallimento di una impresa, migliorando così la flessibilità “interna” ad un mondo del lavoro in cui sembradifficilissimo trovare una nuova occasione per un lavoratore “maturo” o per una donna che intenda dedicare parte del suo tempo alla famiglia (anche se quest’ultimo fenomeno si potrebbe arginare con l’istituzione della“paternità” obbligatoria).
Infine, come sta avvenendo con cicli periodici di dieci anni, il Governo avrebbe l’intenzione di accrescere la flessibilità “in uscita” e di rimodulare la disciplina dei licenziamenti (che non riguarda solo l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori), considerata quasi un “totem” da molti e troppo rigida dal sistema imprenditoriale e dagli investitori stranieri. Paradossalmente, il timore di “non poter” licenziare diviene uno spauracchio per i datori di lavoro (come sostenuto da importanti sindacalisti) che, per un effetto perversoscoraggia le assunzioni ed alimental’uso di quelle forme troppo diffuse di precarietà insana ed un dualismo degenerativo: “ci sono alcuni troppo tutelati e molti altri sono privi di tutele”.
Tutto ciò ha scatenato le proteste dei sindacati – che una volta tanto sono stati d’accordo su un argomento – e le minacce di uno sciopero generale e di un referendum abrogativo, nonché un ampio dibattito con i partiti della maggioranza “atipica” che sostiene il Governo. Il cuore della discussione riguarda i casi nei quali il giudice dovrà intervenire per valutare la sussistenza della giusta causa nel licenziamento individuale (discriminatorio, per motivi disciplinari o economici) e quale tipologia di decisione potrà assumere (reintegro o consistente indennizzo economico) qualora riscontri l’assenza di giustificato motivo e renda nulla o inefficace la decisione dell’azienda.
Abbiamo un’unica speranza di non veder naufragare, nella palude parlamentare, una riforma improcrastinabile. Sino alla definitiva approvazione della Legge, i partiti politici dovranno mediare con l’Esecutivo e con tutte le parti interessate per evitare il conflitto sociale, per chiarire i confini delle diverse tipologie di licenziamento e delle decisioni che il giudice potrà adottare, per costruire una soluzione equilibrata e condivisibile. Spetta a loro il compito di raggiungere rapidamente un nuovo ed equo compromesso che preveda un sistema di protezioni essenziali e garanzie reali per i lavoratori e per la loro dignità, delle nuove e più chiare modalità di gestione deilicenziamenti per motivi disciplinari ed economici come richiesto dai datori di lavoro per il settore privato e dai cittadini per il settore pubblico, ma anche la certezza delle regole ed un più rapido sistema di risoluzione delle controversie lavorative – come richiesto dai mercati – in modo da attrarre l’investimento di nuovi capitali, anche da parte di partner internazionali.
In ogni caso, la riforma del mercato del lavoro non potrà limitarsi a disciplinare le varie tipologie contrattuali e a ridurre l’enorme cuneo fiscale e contributivo, ma dovrà essere “complessiva”, producendo, nel lungo periodo, il più importante degli effetti: una nuova visione culturale caratterizzata dal superamento dell’idea del diritto al “posto fisso”, che è ben diverso dal diritto per tutti ad avere un lavoro, e dell’opinione diffusa che è inutile impegnarsi sul proprio lavoro perché questo non produce effetti concreti per il singolo.
Tutto ciò potrà accadere se la riforma riguarderà contemporaneamente i lavoratori dipendenti, gli autonomi ed i professionisti; accrescerà la flessibilità “buona” e le opportunità individuali di mobilità sociale; sosterrà gliinvestimenti dei piccoli imprenditori che producono nuovo lavoro; valorizzerà l’impegno del singolo con il consolidamento della detassazione dei premi e degli straordinari, il rafforzamento di meccanismi premiali da determinare nell’ambito della contrattazione aziendale (con i paletti “minimi” fissati dalla contrattazione collettiva nazionale) e la partecipazione agli utili dell’impresa. Ed, in questo contesto, nessuno - soprattutto gliassenteisti e gli “sfaticati” nel pubblico impiego - dovrà essere più considerato irremovibile e per tutti – compresi gli amministratori ed i dirigenti – dovrà essere ripristinata l’idea di piena responsabilità individuale, implosa sotto i colpi di distorte politiche sindacali e del tentativo di “socializzare” le decisioni.
Questo è il migliore percorso, forse l’unico, per favorire la competitività dell’Italia e l’aumento della produttività, per attrarre nuovi investimenti da oltre confine, per arginare il crescente fenomeno di delocalizzazione di attività economiche verso l’Est Europa ed i Paesi emergenti.

di Gian Luca Bianchi