martedì 23 ottobre 2012

avanti ragazzi di buda,avanti ragazzi di pest!


Il 23 Ottobre 1956 il popolo ungherese scese in piazza armi in pugno per combattere l'oppressione sovietica, diventando avamposto di libertà e ribellione contro le dittature comuniste.


domenica 21 ottobre 2012

Il primo da rottamare? E' proprio il Cavaliere



Non dubito che quel che sostiene Daniela Santanchè sia vero. E cioè che il Popolo delle Libertà non esiste più. Mi permetto di aggiungere che da tempo si è dissolto. Tuttavia l'ex-candidata premier contro il Pdl e il centrodestra nel 2008, dovrebbe trarre conclusioni radicali e non parziali dalla sua diagnosi. Non basta dire che la classe dirigente, essendo venuto meno il partito, si deve dimettere. Deve anche chiedere, per coerenza, che il primo passo in tal senso deve farlo proprio Silvio Berlusconi che, come capo, ispiratore, fondatore e leader (non più indiscusso) della creatura partorita sul predellino di un'automobile avrebbe il dovere di dichiarare conclusa un'esperienza politica e conseguentemente mettersi da parte. Non accadrà mai, naturalmente, tutto questo. Per il semplice motivo che è proprio Silvio Berlusconi, come la concatenazione dei fatti dimostra, che negli ultimi tre mesi ha impegnato tutte le sue energie per rottamare il Pdl senza peraltro metterci la faccia. Manda avanti gli altri, insomma, fa trapelare il suo disgusto e il suo disappunto, indirizza fedelissimi, ma soprattutto fedelissime, nel tentativo di dissodare (si fa per dire) il terreno sul quale seminare un nuovo verbo che peraltro nessuno conosce, ma non si espone in prima persona, non convoca gli organismi dirigenti, non compare in televisione per assumere davanti agli italiani una posizione netta rispetto al naufragio del Pdl. 

Nonostante il suo nascondersi, al culmine di uno sfacelo dalle dimensioni politicamente devastanti, è comunque chiarissimo il fine che il Cavaliere persegue, e che, sia pure in maniera impropria, lo aveva fatto capire pur avvolgendolo in inaccettabili allusioni o tentativi di appeasement con personaggi che nulla avevano a che fare con il partito stesso, oltre che con la plateale delegittimazione del lavoro del segretario Angelino Alfano (ricordate la sorprendente uscita sul «quid»?): liberarsi di un soggetto ingombrante con tutta la classe dirigente che lui stesso ha creato e tentare di giocare un'ultima carta sul filo dell'ambiguità, colorata di populismo e di montismo, di grillismo e di bonapartismo in sedicesimo. Non ha un progetto politico e, dunque, non ha bisogno di nessuno che lo supporti. 

Il berlusconismo, nella sua fase estrema e decadente, è l'ipostatizzazione di se stesso, cioè a dire la personificazione di un'idea astratta da lanciare come progetto di plastica ad elettori disponibili a farsi convincere che il presunto carisma dell'uomo basti a colmare il vuoto che si è prodotto nel centrodestra. Non è un'operazione banale e perciò richiede consenso. A quale serbatoio, dunque, Berlusconi l'attingerebbe se non a quello del Pdl, ormai non più «suo» in termini politici e «sentimentali»? Ecco rivelata la nuova strategia: svuotare nei limiti del possibile il partito per potersene accaparrare le risorse elettorali, in piena libertà, sciolto finalmente dai lacci e dai laccioli di una formazione politica che lui stesso si rende conto di non aver mai saputo e voluto governare, ma soltanto dominare. 

Finché i voti c'erano tutto passava in secondo piano, perfino il confusionismo tra sfera privata e pubblici doveri, poi, quando l'esaurimento di una spinta propulsiva macchinosa e anche artificiosa si è esaurita, il Cavaliere stesso ne ha preso atto e ha gettato i meccani che sorreggevano lo spettacolo negli scantinati dove solitamente vengono riposti gli ingombri televisivi una volta terminato il programma. Non so se la classe dirigente del Popolo delle Libertà, alla quale tutto si può rimproverare (e sarebbe comunque ingeneroso visto il carico che negli ultimi cinque anni si è dovuta sobbarcare) tranne la lealtà con la quale ha seguito il capo nelle sue disavventure anche personali, si rende perfettamente conto che una storia è davvero tramontata. Non credo debba farsi problemi se assumerà in piena libertà decisioni che ormai sono mature perché di fronte ad essa non c'è più il Berlusconi che ha conosciuto e seguito. C'è un uomo solo i cui disegni politici sono labili e oscuri, non coincidono più con quelli del centrodestra e, semmai dovessero concretizzarsi, tenderanno anzi a contrapporsi a esso e a quel che resterà del Pdl in particolare: paradossalmente il partito berlusconiano diventerà, per volontà del suo fondatore, l'antagonista principale del berlusconismo morente. Un'eterogenesi dei fini assolutamente inedita nel panorama politico post-novecentesco che se non ha il sapore o il colore di un sorta di Gotterdammerung vi si avvicina in maniera però grottesca e caricaturale. 

A questo punto, dunque, dovrebbe essere proprio la nomenklatura pidiellina a fare la partita riunendosi attorno al segretario Alfano, impostando una strategia comune, ripristinando regole mai applicate di democrazia interna, approntando un programma per i prossimi anni, selezionando una classe dirigente periferica e centrale di buon livello e ripartendo con un progetto politico nel quale lo spirito, le culture e le identità del centrodestra possano riconoscersi. Il ché naturalmente implica la chiarezza anche nello stringere possibili alleanze tra le quali non può davvero esservi quella con la Lega che, per i suoi fini, ha cannibalizzato il Pdl e che ora Berlusconi, vorrebbe recuperare con uno scambio a dir poco indecente: la Lombardia con il Paese, senza neppure sospettare che il Pirellone non vale la nazione. Non potrebbe esservi esempio più eloquente di questo del distacco tra l'ex-leader del centrodestra e quel che il centrodestra, nella percezione della maggior parte dei suoi elettori, dovrebbe essere.

di Gennaro Malgieri

mercoledì 17 ottobre 2012

DICIASSETTEOTTOBRE

la stessa voglia di camminare
la stessa voglia di lottare

TANTI AUGURI A NOI!


martedì 16 ottobre 2012

Ve li racconto io i misteri d’Italia...



Il libro di Stefano Delle Chiaie L’aquila e il condor ha colmato un grosso vuoto nella storia politica italiana. E in particolare in quella dei movimenti alla destra del Msi (diremo “destra” per convenzione, perché sarebbe troppo complicato in questa sede avventurarci nello stabilire se il fascismo sia di sinistra o di destra). Avanguardia Nazionale è stato un gruppo politico che ha agito negli anni Sessanta e Settanta in Italia, e Stefano Delle Chiaie ne fu fondatore, insieme ad altri, e il leader.


Il volume è uscito per una casa editrice importante, Sperling & Kupfer, nella collana “Le radici del presente” diretta da Luca Telese, che della storia politica recente italiana è un esperto e che ha voluto con forza questa opera. L’autore di “Cuori neri” nella sua postfazione si lamenta un po’ perché avrebbe voluto trovare di più nel racconto di Delle Chiaie. In certi anni Delle Chiaie era dipinto dai media come “la Primula nera”, l’uomo che sapeva tutto, che era a conoscenza di tutti i misteri - e le stragi d’Italia - Ma forse così non era, come del resto provano le sentenze e gli atti processuali. Non c’era chissà che da trovare. 


Avanguardia Nazionale, dice l’autore, era un gruppo extraparlamentare che faceva un certo tipo di attività politica. Almeno fino al momento in cui non si fece chiara quella che Delle Chiaie chiama una persistente campagna di “intossicazione” contro la runa di Odal, simbolo del movimento, tesa a far credere all’opinione pubblica che il gruppo e lo stesso Delle Chiaie avessero rapporti stretti e pericolosi con ambienti dei nostri servizi segreti. E fu questo che in realtà rovinò Avanguardia, screditata sulla base di costruzioni complesse e, secondo Delle Chiaie, non veritiere da parte del “sistema”, come lo chiamavano gli attivisti dell’epoca, che fecero rapidamente scendere Avanguardia nella considerazione che c’era stata sino allora.


L’operazione del sistema riuscì, pur tra tanti drammatici errori: come dice il grande comunicatore canadese Marshall McLuhan, una menzogna per diventare realtà ha solo bisogno che sia propalata da un certo numero di media per un periodo di tempo sufficientemente lungo. E qualcosa del genere sosteneva anche Karl Marx, a proposito dell’infangare e diffamare l’avversario politico fino a che la bugia non diventi verità. E se ne sono visti tanti di questi esempi, e ancora in alcune circostanze si possono osservare, sia in ambito nazionale sia in ambito internazionale, nella distinzione manichea, ormai sistematica, tra “buoni” e “cattivi”.

Ecco: Avanguardia Nazionale era cattiva, e Delle Chiaie era il capo dei cattivi. I meno giovani ricorderanno certamente che in un certo momento storico Delle Chiaie diventò il parafulmine e il capro espiatorio di ogni nefandezza che avveniva in Italia: dietro ogni strage, ogni attentato, ogni bomba, c’erano lui e la sua organizzazione; accusato di tutto e di più, le calunnie erano tanto più credibili in quanto lui era all’estero latitante. Il tempo ha fatto giustizia di tutto, ma sono dovuti passare i decenni: Avanguardia e Delle Chiaie non si macchiarono mai dei delitti atroci a loro ascritti, ma ancora oggi la percezione della gente è diversa.


L’aquila e il condor ha numerosi meriti. Dà il suo contributo per far luce su episodi oscuri della storia della Repubblica: Piazza Fontana, Bologna, Ustica, piazza della Loggia e altri fatti. Delitti per i quali si è sempre seguita la pista nera e i colpevoli si cercavano in base a teoremi e pentiti, sistema che Delle Chiaie nel libro attacca duramente spiegando perché questi metodi non hanno mai condotto alla conquista della verità. Interessanti per gli addetti ai lavori la storia e la struttura di Avanguardia nazionale, galassia sconosciuta per i più: ma su questo Delle Chiaie non scende in profondità, non fa numeri, non fa cifre, non racconta episodi o strategie, limitandosi a far capire tra le righe che si trattava di un’organizzazione molto efficace, con una gerarchia precisa e con un servizio di autocontrollo interno. Che però non l’ha salvata dall’accusa di contiguità con gli onnipresenti servizi. E forse è proprio per questo che Delle Chiaie dopo tanti anni ha rotto il silenzio, consegnando alla storia un libro nel quale si difende da tutte le accuse respingendole al mittente e spiegando che i rapporti con i servizi, sì, ci furono, ma solo nella misura in cui i servizi stessi tentarono a più riprese di infiltrarsi, comprare, depistare, delegittimare il movimento perché considerato troppo eversivo.

Dalla lettura dell’opera si esce con la convinzione che Delle Chiaie abbia fatto un onesto lavoro di controinformazione, resa molto più credibile dagli altri fatti oscuri avvenuti negli ultimi anni, sempre a spese della destra italiana. Se in quegli anni abbiamo bevuto come acqua la propaganda antifascista ossessivamente messa in onda per decenni dai media, perché oggi non dovremmo leggere la difesa di chi di quegli anni fu protagonista e testimone?


Nel libro c’è anche un interesse umano sfuggito a molti critici: lo strettissimo rapporto dell’autore con il comandante Junio Valerio Borghese, davanti al quale Augusto Pinochet si mise sull’attenti in colloqui cui partecipò lo stesso Delle Chiaie; il ruolo fondamentale di Avanguardia nella rivolta di Reggio del 1970; la storia terribile, dimenticata in Italia anche perché all’epoca passata in sordina, dell’omicidio, nell’ottobre 1982, di Pierluigi Pagliai, di Avanguardia (colpevole in tutto di renitenza alla leva), al quale in Bolivia i servizi  tesero un agguato per poi riportarlo morente in Italia a bordo dell’aereo Alitalia “Giotto”. In precedenza un piano di eliminazione chiamato “Pall Mall” nei confronti di Delle Chiaie era fallito, ma a Roma vi erano stati alcuni omicidi dalla dinamica mai chiarita, come quello della giovane Laura Rendina, uccisa nel gennaio del 1981 «per errore». I servizi erano in fibrillazione per la strage di Bologna, non ne riuscivano a venire a capo, anche perché la pista degli inquirenti fu subito orientata in una sola parte, mentre numerose altre piste, elencate e spiegate da Delle Chiaie, apparivano – e appaiono ancora – molto più consistenti. Ma tant’è.  In pieno giorno, nella capitale boliviana, Pagliai venne attirato in una trappola e ferito a morte mentre stava parcheggiando. L’intera operazione è ben descritta da Delle Chiaie e non vogliamo anticipare nulla: vale la pena di leggerla. In seguito, per queste e altre vicende furono condannati uomini dei servizi per depistaggio ma, sottolinea ancora l’autore, non si indagò sul perché e per chi depistarono.


 Dal periodo sudamericano Delle Chiaie trae una riflessione importante soprattutto per i giovani: «...Mi sentii boliviano e capii cosa significasse in concreto che la mia Patria è là dove si combatte per la mia Idea». Il libro si conclude con il ritorno del leader di Avanguardia in Italia, i processi, il carcere, la libertà, il reinserimento. Il 20 febbraio del 1989. Bello anche l’episodio, pochi giorni dopo, dell’incontro con i “vecchi” camerati al “loro” bar, quello storico di piazza Tuscolo, zona dove tanti anni prima un adolescente aveva iniziato la sua avventura politica nella sezione del Msi di via Solunto (sezione? Era praticamente una grotta, racconta l’autore).


Alla fine del libro Delle Chiaie rende un commosso omaggio a chi con lui condivise il sogno, ambizioso, di «cambiare il mondo». E conclude: «Molti, anche sul fronte opposto, sognarono. Quando siamo stati costretti al risveglio, ci siamo trovati in un deserto di idee e di emozioni. Ma allora non fu più nobile il nostro sogno della realtà che ci sconfisse?». Certo, ma il sogno ha avuto costi esistenziali altissimi per tutta una comunità umana. Solo la storia dirà se veramente ne sia valsa la pena. Era ben prevedibile che il sistema (oggi si direbbe «i poteri forti») si sarebbe difeso.

Antonio Pannullo

lunedì 15 ottobre 2012

A proposito di saluti romani




A proposito di saluti romani. Il capolavoro poetico del nostro mondo, Cantos, fu fabbricato dentro la gabbia del campo di concentramento americano a Coltano, Pisa. Ezra Pound, prima di consegnarsi ai suoi prigionieri, ebbe il tempo di portarsi in tasca un libro di Confucio e il dizionario degli ideogrammi cinesi. Quando non girava su se stesso a far cerchio sulla sabbia si aggrappava alle sbarre e cantava Manes. 

A osservarlo, ammirato – e purtroppo di questo racconto non c’è testimonianza su Facebook – c’era un altro internato assai particolare, Walter Chiari che, di quei giorni, farà racconti esilaranti: “Saluto gli internati della prima fila”. Così diceva dalla ribalta del varietà rievocando il duetto col poeta. Per aggiungere, nel frattempo che Pound s’irrigidiva nel saluto romano, “quelli della Decima!”, ovvero la Flottiglia degli incursori della Marina repubblicana. Memento audere semper.

di Pietrangelo Buttafuoco

mercoledì 10 ottobre 2012

E il guerriero Jünger conquistò la pace



Guerriero, scrittore, filosofo: la vita e l'opera di Ernst Jünger possono essere riassunte e spiegate con queste tre categorie, esplorate nel volume collettaneo La mobilitazione globale. Tecnica, violenza e libertà in Ernst Jünger, a cura di Maurizio Guerri (Mimesis, pagg. 212, euro 18), che raccoglie gli interventi presentati al convegno sullo scrittore tedesco tenutosi nel 2005 all'Università degli Studi di Milano. Dall'estremismo radicale degli scritti degli anni Venti fino alle meditate profondità dei diari della vecchiaia, l'opera jüngeriana è una lunga e coerente ricerca dell'eternità da parte di un personaggio che Heidegger riteneva «il più freddo e acuto pensatore» capace di vedere la realtà, che si svela soprattutto nelle situazioni estreme, di guerra e di morte.

La morte è la sostanza della guerra, e quindi, probabilmente, non è un caso che morte e guerra siano state rimosse insieme dall'orizzonte della società contemporanea. Eliminata da una giovinezza artificialmente smisurata e quindi nascosta nell'asettico freddo degli obitori, la morte non fa più parte del mistero della vita, rendendola quindi insensata. Ridotta a semplice «operazione chirurgica» o convertita ipocritamente in «missione umanitaria», la guerra non è più scontro tra avversari di pari dignità ma si è trasformata nel feroce annientamento del nemico, divenuto estraneo al concetto stesso di umanità.

Un primo, allarmante segnale di questa discesa agli inferi si ha durante il Secondo conflitto mondiale, quando allo scontro in armi tra nazioni si aggiungono gli atti terroristici dietro le linee e le inevitabili rappresaglie. In uno scritto a lungo ritenuto perduto, Jünger, nelle vesti di ufficiale delle truppe di occupazione, stila, a futura memoria, un rapporto sugli attentati che funestano Parigi a partire dall'agosto 1941, ora pubblicato per la prima volta in italiano da Guanda col titolo Sulla questione degli ostaggi. Parigi 1941-1942, (pagg. 190, euro 14), dove l'esteta lascia il posto al burocrate, attento a sottolineare come le vittime delle rappresaglie tedesche muoiano senza mostrare «odio contro la Germania o le truppe di occupazione», come effettivamente risulta dalle lettere dei condannati a morte raccolte dall'autore e qui pubblicate in appendice.

Al tema classico della guerra è invece dedicato il volumetto Guerra e guerrieri curato ancora da Maurizio Guerri e pubblicato da Mimesis (pagg. 74, euro 8), che raccoglie il contributo di Friedrich Georg Jünger all'antologia collettanea Krieg und Krieger pubblicata nel 1930, insieme con il discorso di suo fratello Ernst tenuto a Verdun il 24 giugno 1979, per celebrare l'anniversario di una delle più sanguinose battaglie della Prima guerra mondiale e auspicare l'avvento di una pace mondiale.

Con la Grande guerra una nuova, inaudita violenza ha fatto irruzione sulla scena mondiale e, cancellando la separazione tra stato di pace e stato di guerra, aveva trasformato anche l'azione politica, che diventa appannaggio di un nuovo ceto, una aristocrazia guerriera nata dal fango delle trincee e forgiata dal fuoco delle tempeste d'acciaio. Finita la guerra, il nuovo tipo umano che aveva saputo interiorizzare l'esperienza del combattimento doveva, per i fratelli Jünger, trasferire la propria volontà trasformatrice dal fronte bellico a quello interno del lavoro, in attesa della rivoluzione nazionale che avrebbe sostituito «l'azione alla parola, il sangue all'inchiostro, il sacrificio alla retorica e la spada alla penna», come scriveva Ernst sul Voelkischer Beobachter nel settembre 1923, molti anni prima di giungere alla conclusione, citata nel discorso di Verdun, che «l'era delle guerre nazionali stava volgendo al termine».

A quell'epoca eroica, fa invece riferimento l'altro Jünger, Friedrich Georg, anche lui combattente nella Grande guerra, il quale, scrivendo al crepuscolo della Repubblica di Weimar, riteneva esistesse un destino - altro tabù contemporaneo - sia individuale sia comunitario, che la guerra ci avrebbe aiutato a capire, mettendoci di fronte a scelte ed esperienze così radicali da elevare «il singolo e la società in un ambito dove legge e forma si incontrano in modo vincolante e fraterno». L'aspirazione a una pace universale, vista come l'unica via d'uscita per l'umanità dopo l'invenzione della bomba atomica, e l'esortazione a «diventare ciò che si è» cercando di capire quale sia il proprio destino, sono la consegna che questo denso volumetto lascia all'umanità, oggi distratta da guerre mascherate da rivoluzioni più o meno colorate e strangolata da una spaventosa crisi globale, due elementi che potrebbero, prima o poi, rendere le idee dei fratelli Jünger di bruciante attualità. 

di Luca Gallesi

lunedì 8 ottobre 2012

A vent'anni da Via D'Amelio..

DA OGGI A CASAGGì
VIA C.COLOMBO 7  - MILAZZO -




Carolina Varchi, l'anti-Minetti sicula scuote il Pdl: "Nicole non ha colpe"



Intervista a Carolina Varchi
dirigente sicula della Giovane Italia.

a cura di politica.excite.it
Carolina, dopo l'esclusione dal listino, il polverone sollevato e la solidarietà ottenuta in Rete, cosa è cambiato? 
"Sicuramente la questione ha scosso il partito. Adesso tutti parlano di azzeramento, di nuovi metodi di selezione della classe dirigente. Ovviamente dopo le parole aspettiamo i fatti. Il primo banco di prova saranno le regionali nel Lazio".
Sei fresca di assemblea di Giovane Italia che decisioni avete preso? Quale sarà la vostra prossima mossa? 
"Dopo aver ribadito all'assemblea che non esistono questioni personali ma scelte politiche vogliamo fermare le polemiche e continuare, con più forza, la campagna elettorale per Nello Musumeci, unico vero "uomo nuovo" della politica siciliana. Fino al 28 ottobre vincere in Sicilia è l'unico obiettivo. Poi si vedrà."
Hai intenzione di preparare un atto concreto contro la Minetti, come fece Sara Giudice tempo fa con la sua petizione per le dimissioni del Consigliere regionale? 
"In questa storia proprio la Minetti non ha colpe. E’ stato il partito ad inserirla nel listino senza spiegare mai, come del resto è avvenuto in Sicilia, quali sono stati i criteri di scelta. Un partito che rappresenta milioni di persone ha il dovere di rendere pubblici i criteri di selezione della classe dirigente".
Alemanno ha detto che la tua esclusione è stata un errore. Hai ricevuto l'appoggio di qualche grosso esponente nazionale del partito (magari femminile)? 
"Devo dire che in questa vicenda il vero sostegno è venuto dalla base. Sto ricevendo migliaia di telefonate, mail e messaggi sui social network. Tanti autorevoli esponenti del PDL, consiglieri comunali, regionali, sindaci, parlamentari, hanno scritto pubblicamente in merito. Tra le altre Annagrazia Calabria, Barbara Saltamartini... Migliaia di persone, davvero un fiume in piena".
La parola scandalo è sempre più accostata al Pdl almeno dai media. Da dove dovrebbe iniziare il Pdl per riconquistare la credibilità? Useresti il termine “rottamazione”? 
"Rottamare è un termine abusato. Noi già da mesi parliamo di “resettare” il PDL partendo dalla valorizzazione di quanti si formano nei movimenti giovanili, vera palestra politica, ed i tanti amministratori locali che sul territorio mettono la faccia per il partito. La credibilità si riconquista con l’esempio personale, dimostrando con i fatti che politica è servizio alla propria comunità".
La Minetti è quella che nel Pdl stona di più ma ci sono tante altre persone la cui provenienza politica è incerta: perché i giovani del Pdl non hanno denunciato prima certe “anomalie” nella selezione della classe politica (specie femminile)? 
"Pur non essendo lombarda e non conoscendo le dinamiche che portarono alla sua candidatura penso che soltanto oggi, nel partito, è cresciuta la consapevolezza che bisogna stare attenti alla selezione delle candidature, in particolare nei listini bloccati".
Il tuo caso potrebbe accelerare l'ormai annunciata scissione del Pdl: pronta a far parte di un partito guidato da Alemanno? 
"Credo che la vicenda siciliana sia solo l’ultimo capitolo di un libro, quello del PDL, scritto male. Paghiamo la scelta dei vertici di costruire un partito, sommatoria di altri, senza un vero dibattito e condivisione di un percorso. Iniziai a fare politica leggendo "Intervista sulla destra sociale" e mi sono sempre ritrovata nei valori e nella idee della destra sociale e comunitarista il cui leader è Gianni Alemanno. È chiaro che lo seguirei per quello che rappresenta, non certo per stupido fideismo. Nell'era della crisi economica e valoriale, il comunitarismo é l'unica via".
La rivolta partita dai giovani del Pdl contro i vertici per sostenerti è comunque segno che qualcosa sta cambiando. Non hai paura che il potere reale resterà nelle mani dei vecchi dirigenti? 
"Non ritengo che tutti i vecchi dirigenti siano da buttare via. Non ho mai creduto alla teoria secondo cui le capacità politiche sono determinate dal dato anagrafico. Certamente anche la politica, come ogni segmento della società italiana, soffre del virus della gerontocrazia. Molto dipenderà dalla capacità di noi giovani di prenderci degli spazi che mai nessuno ci regalerà".
Tra i dirigenti Pdl quali metteresti subito in panchina? 
"Tutti quelli che devono difendersi nelle aule di tribunale per fatti gravi. Loro avranno più tempo per potere provare la loro eventuale innocenza, il partito potrà dimostrare di avere le carte in regole per potersi definire, citando Angelino Alfano, “il partito degli onesti”.
Primarie del Pdl (ammesso che Berlusconi ve le conceda): chi vorresti si candidasse? 
"Sarebbe bello avere Gianni Alemanno candidato alle primarie. Se lui dovesse optare, legittimamente, per Roma, mi piacerebbe che la candidatura provenisse dal mondo giovanile nel quale io sono cresciuta".
A questo punto non vi sentite abbastanza forti per un partito dei giovani ripulito dalle ingerenze del vecchio Pdl (compreso Alemanno?) 
"Ribadisco a differenza di Renzi non soffro della sindrome del giovanilismo. Non tutto è da buttare del PDL".

domenica 7 ottobre 2012

UNA NUOVA STAGIONE IDENTITARIA A MILAZZO...




tratto da casaggi.org

Qualcuno di noi è volato a Milazzo, in quel di Messina, per inaugurare la nuova sede di Casaggì e battezzare l'ennesimo avamposto identitario in giro per l'Italia. Quello che nacque come un progetto esclusivamente fiorentino per rilanciare l'aggregazione giovanile ed aprirsi alla metapolitica è oggi una realtà composta da decine di Comunità che hanno scelto la stessa linea di pensiero e di azione, con grandi sacrifici e grandi sforzi. 

Può sembrare folle, agli occhi di un osservatore esterno, che in un momento storico nel quale il mercato e la mercificazione dell'esistenza hanno letteralmente spazzato via tutto  qualcuno scelga di remare in direzione contraria, aprendo una sede politica, pagandosela di tasca propria, rischiando e sacrificandosi quotidianamente al solo di scopo di veder proiettato nel futuro un patrimonio ideale e valoriale. 

Ed è confortante, ogni tanto, constatare che esistono ancora delle oasi nel deserto, che qualcosa è ancora possibile, fosse solo simbolicamente, per non annegare nel mare del nulla e rassegnarsi al declino di questo tempo malato, dove la politica è tutto fuorchè la gestione della Polis e servizio per il sociale. Ed è questo che dobbiamo fare: dimostrare che un'altra politica è possibile, dal basso, attraverso il dono, dando l'esempio, in silenzio, lavorando, un passo dopo l'altro. 

Un ringraziamento va ai ragazzi di Milazzo, a lungo impegnati per la realizzazione di questo splendido progetto, che adesso può finalmente spiegare le ali. Un ringraziamento va anche a Mauro La Mantia, storico dirigente di Azione Giovani prima e della Giovane Italia poi, da sempre alla guida di una Comunità, quella palermitana, tra le più attive del panorama nazionale. 

Che il destino ci trovi sempre forti e degni!

UN SENTITO RINGRAZIAMENTO VA AI RAGAZZI DI FIRENZE CHE CI HANNO ONORATO DELLA LORO PRESENZA IN QUESTO "CALDO" FINE SETTIMANA.


Finalmente,la nuova sede..

Si è svolta ieri pomeriggio nell'assolata Milazzo l'inaugurazione della nostra nuova sedei.Al primo piano del numero 7 di Via Cristoforo colombo si sono dati appuntamento gli esponenti della destra giovanile di mezza Sicilia. Tra gli ospiti,al tavolo dei relatori,Marco Scatarzi leader e fondatore del movimento Casaggì,e Mauro La Mantia coordinatore regionale per la giovane italia Sicilia. 

Preziosi gli interventi dei due giovani dirigenti, il primo per l'elogio all'attività fin qui svolta dalla costola milazzese del gruppo,e la speranza che possa arrivare dai militanti, quel collante che è andato perduto tra la gente comune e la politica "qui nessuno prende soldi, anzi noi ce ne abbiamo messi di tasca nostra anche se non lavoriamo e grazie anche alle attività fin qui svolte" ha proseguito Scatarzi. Sulla stessa linea di argomenti anche l'intervento di Mauro La Mantia che ha poi concluso affermando "il Pdl è un gigante con i piedi di argilla, si sta sciogliendo sotto i nostri occhi" in riferimento alla situazione nazionale "occorrono partiti forti e degni di tale responsabilità". 

Dopo gli interventi che hanno dato forte segnale di coesione tra il mondo toscano e quello siculo la serata è seguita con un aperitivo nel terrazzino preparata dai ragazzi. 

Ringraziamo sentitamente i ragazzi di Firenze,di Palermo e tutti i militanti e simpatizzanti di Milazzo e dintorni.



venerdì 5 ottobre 2012

a Nanni..

"Cadrò una volta,due volte e mille volte ancora..
e ogni volta mi rialzerò per tornare all'assalto.
Da uomo libero"

a Nanni De Angelis
5.10.1980 - 5.10.2012



giovedì 4 ottobre 2012

Dal Satiro danzante ai Bronzi di Riace esposti all'estero: quando l'arte non è profeta in patria


I musei stranieri si contendono i nostri capolavori. Che in Italia ben pochi vedono


Se ne sta a Londra il Satiro danzante di Mazara del Vallo. È prestato alla Royal academy of arts fino al 9 dicembre e, verosimilmente, si farà quel bagno di folla che manca in casa. Nessuna opera d’arte, presso gli stessi paesani, è "profeta" in Sicilia. E ben venga allora che questa statua, incantevole, dionisiaca, poeticissima, possa essere vista, descritta e raccontata.
Non esiste, ovviamente, il percorso inverso. La Sicilia fuori dalla Sicilia è magnifica cosa, dentro casa risulta come un buio magazzino. Nessun reperto, nessun pezzo e nessuna opera farà il viaggio da Londra a Mazara. Così come tutti i Caravaggio prestati o gli Antonello da Messina recapitati a New York potranno generare scambi su Palermo o Canicattì. Ed è questione – come dire? – di mercato. I più avvertiti e sensibili si arrabbiano di questo commercio, ma una verità è una verità: il consumo culturale in Sicilia è basso, anzi, nullo. Il Museo Riso di Palermo, considerato fra le vetrine più importanti dell’arte contemporanea internazionale, è stato di fatto chiuso dal governo regionale. E solo per carità di patria qui si sorvola sui numeri di sbigliettamento dei musei del Sud, mitici Bronzi di Riace in testa, rispetto a una qualunque giornata di una qualsiasi mostra di Palazzo Zabarella, facciamo a esempio, a Padova.
Tutti ricordano l’epopea della Venere di Morgantina. È la statua trafugata dal sito archeologico omonimo e poi messa in mostra al Getty Museum di Los Angeles. Francesco Rutelli, ministro dei Beni culturali del governo Prodi, ne ottenne la restituzione. Col senno del poi, non possiamo che considerare incauta quella decisione. Rutelli, infatti, la consegnò a noi siciliani per concederci di collocarla in un pur delizioso museo, ad Aidone, dove non mostriamo la stessa attenzione che, a pochi chilometri, rivolgiamo invece al Fashion village, il più gigantesco outlet del Mezzogiorno d’Italia.
È come se la Gioconda invece che stare al Louvre fosse a Vinci, ridente località toscana, paese natio di Leonardo. Questo è il senso del tenere le opere d’arte di Sicilia in Sicilia, dove però, per sovrapprezzo provinciale, c’è anche la sciagura di una gestione regionale dovuta all’orrida autonomia. E poiché in quel sublime pezzo di Sicilia, presso Enna, nell’ombelico esatto fra i tre valli (Demone, Mazara e Noto), c’è un’altra meraviglia dell’antichità, ovvero la Villa Romana del Casale di Piazza Armerina, andando a vedere l’esito del nuovo restauro, bello proprio, abbiamo notato come i visitatori, con gli italiani del Nord, veneti soprattutto, fossero tutti stranieri, meravigliosamente tedeschi o bizzarramente inglesi, normalmente  forestieri, arrivati tutti seguendo un richiamo irresistibile, quello della bellezza. Un richiamo che risulta nullo presso la maggioranza dei siciliani.
Tutti fatti ignoranti, compreso chi scrive, da un’idea di società e di civiltà abusiva e pacchiana per cui capita che un qualunque professionista mediamente acculturato di Modica (gioiello del Barocco) non sappia dell’esistenza di Mothia (sublime isola assisa tra le saline di Trapani). E viceversa, ovviamente (e poi, certo, capita che ci si metta in macchina da un punto all’altro dell’isola per fare turismo. Ma gli è che giusto a metà dell’autostrada Catania-Palermo, ad Agira, c’è l’outlet e ben altra sirena inchioda i visitatori: lo shopping. Che è dionisiaco più di qualsiasi Satiro).

lunedì 1 ottobre 2012

Per non dimenticare..

GIAMPILIERI 
1 ottobre 2009 - 1 ottobre 2012

"..O Padre, come il sole illumina la terra e le dà calore e vita, così il tuo amore ravviva in noi la tua presenza, nella quale noi viviamo, ci muoviamo ed esistiamo. Come nel passato sei stato fra noi nel momento della difficoltà, ora continua a beneficarci con il tuo santo aiuto.."