martedì 31 luglio 2012

LOMBARDO, GAME OVER!


Sembrava uno di quei giochini della nostra infanzia: pensavi di aver finito la partita e poi prendevi “la vita”, l’extra time, il bonus che ti consentiva di andare avanti. Raffaele ha vissuto così quest’ultimo giorno da Governatore, esattamente come ha cominciato, una trama dietro l’altra, una nomina last minute, un gioco di prestigio per restare aggrappato a prebende, clientes e affari.
Due ore di ritardo per la conferenza stampa di addio sono servite a svuotare cassetti e hard disk e preparare la prossima campagna elettorale all’incasso di favori e posti al sole. L’ultimo giorno dell’Imperatore è la Sicilia allo specchio, con la sua sofferente agonia e le meschinerie di corte con protagonisti eccellenti e ingombranti.
L’assessore agli Enti Locali al posto della Chinnici, tanto per far sentire ai sindaci amici il fiato sul collo di Don Raffaè, impedire la fuga dal pollaio, continuare fino ad ottobre a tenere sulle spine qualche milione di Siciliani. Raffaele non c’è, ma si vedeIl Lombardismo immanente vorrebbe lasciare l’Isola nel limbo dell’immobilismo di governo e della frenesia delle segreterie, tenuto in vita da un esercito di consiglieri comunali, piccoli “bravi” di quartiere, primari, professori universitari, preoccupati di garantire se stessi e alimentare il sistema.
Il lombardismo, però, si nutre di potere. Senza il potere, senza il Presidente, senza le sue sigarette mangiate, senza i suoi origami disegnati sulle delibere, senza il codazzo di viscidi servi, tutto diventa più difficile. Il potere è affascinante e le sue declinazioni ne ingigantiscono l’ipertrofia, ma è difficile farlo senza il Vicerè e senza la sua immaginetta sullo scranno più alto.
Adesso aspettiamo l’orgoglio, sopito, dei Siciliani, perché pretendano dalla propria classe dirigente una inversione di tendenza. C’è tempo per chiedere conto ai prossimi candidati di cosa vorranno farne di questa terra martoriata. Per adesso festeggiamo la festa della liberazione, quella da Lombardo e dai suoi galoppini, dal peggior Presidente della storia dell’autonomia, dalle schiere di presuntuosi e fastidiosi paggetti. 31 Agosto 2012. Andrebbe scritto in rosso sul calendario, “Festa della Sicilia, finalmente libera”.
meridianamagazine.org

venerdì 27 luglio 2012

Alla "BM Pignolone Gomme" il primo Memorial Paolo Borsellino


E' FINITA.E' FINITA.E' FINITA!!!!


Con il punteggio di 10 a 3 la BM Pignolone Gomme di mister Bonvegna supera la GoldBet aggiudicandosi il "Primo Memorial Paolo Borsellino".


Dopo ben 17 giorni si è concluso il memorial dedicato ad un grande italiano che ha dato la sua vita per rendere migliore la nostra amata terra.Diciassette giorni di grande agonismo,di grande calcio dove quasi 100 atleti si sono sfidati senza sosta,colpo su colpo.Diciassette giorni per tramandare il ricordo di Paolo Borsellino,per insegnare ai ragazzi,in una terra difficile come la nostra,la cultura dell'antimafia e del rispetto.
Siamo veramente soddisfatti del traguardo raggiunto,e da lassù,lo sarà anche Paolo.


20 anni di lotte nel suo nome.


IN ALTO I CUORI PER PAOLO BORSELLINO EROE NAZIONALE.
CONTRO OGNI MAFIA,SEMPRE



VOLETE ESSERE SUOI COMPLICI?


VOLETE ESSERE SUOI COMPLICI?
no ai giochi di potere!
SFIDUCIA SUBITO


giovedì 26 luglio 2012

Primo Memorial Paolo Borsellino,finale 3° e 4° posto.


con il punteggio di 10 a 9 la NewTeam di Mister Tricamo e di capitan Tindaro Merrina,supera la F.C. Amato,classificandosi al 3° posto nel "Primo Memorial Paolo Borsellino".
DOMANI 27/07 LA FINALISSIMA ALLE ORE 19!





martedì 24 luglio 2012

BASTA PROCLAMI,SFIDUCIA SUBITO!


Il tempo dei proclami,delle promesse,delle accuse,delle giustificazioni è FINITO!
Non possiamo rimanere inermi mentre si consuma lo "stupro" di un'intera città.
E' il momento che coloro che rappresentano la cittadinanza,ovvero i consiglieri comunali,smuovano il CULO dalle loro poltrone e comincino a mettersi in moto,seriamente,per il bene della città.Oltre a rimanere vigili e ad attenzionare i vari problemi e le varie mancanze,noi non possiamo fare altro.La palla passa a loro,al consiglio comunale,eletto con i NOSTRI voti!


Le dichiarazioni,gli articoli sul giornale,servono a poco,anzi..a niente!
Siamo stanchi di chi parla senza agire,di essere presi in giro,degli accordi di "non belligeranza",dei finti oppositori.
Gli schieramenti politici,le ideologie(se ne esistono),gli "interessi" devono essere accantonati,AVETE in mano il destino della città..


lancereste una macchina senza freni,in discesa,con la vostra famiglia dentro??


BASTA PROCLAMI
SFIDUCIA SUBITO


VOLETE ESSERE SUOI COMPLICI?

lunedì 23 luglio 2012

Memorial Paolo Borsellino,LA FINALE!

Si sono disputate oggi le semifinali del "Primo Memorial Paolo Borsellino".
 Nella partita delle 19 la corazzata "Bm Pignolone Gomme" di Mister Bonvegna ha asfaltato i ragazzi di Mister Tricamo,capitanati da un sorprendente Merrina in versione "Benji Price",nonostante il risultato. Ma la sorpresa arriva nella semifinale delle 20.La favorita F.C. Amato,complice la sfortuna e qualche disattenzione di troppo,viene sconfitta dalla squadra rivelazione del torneo,la GoldBet di "Lionel Cosimini" e di capitan Sergente.


 Prima dell'inizio delle due semifinali è stato effettuato un minuto di silenzio come segno di rispetto nei confronti di un giovane ragazzo milazzese scomparso tragicamente pochi giorni fa. 


Questi i risultati delle partite di oggi.
BM Pignolone Gomme - NewTeam 9-0 
F.C. Amato - GoldBet 6-8 


giovedì 26 alle ore 19 si disputerà la finale del 3° e 4° posto.
La finalissima verrà disputata venerdì 27 alle ore 19.


sabato 21 luglio 2012

Memorial Paolo Borsellino

Si è conclusa la fase a gironi del Primo Memorial "Paolo Borsellino".
Queste le classifiche
-Girone A-
GolBet 6
NewTeam 6
La Roja 4
International 1

-Girone B-
BM Pignolone Gomme 9
F.C. Amato 6
CauTeam 3
The Avengers 0

Le semifinali saranno lunedì 23
Alle 19 Bm Pignolone Gomme -NewTeam
Alle 20 GoldBet-Fc Amato


giovedì 19 luglio 2012

A vent'anni dall'attentato di Via D'Amelio.Paolo Vive!



"Sicuramente i più coraggiosi sono coloro che hanno la visione più chiara di ciò che li aspetta, così della gioia come del pericolo, e tuttavia l'affrontano."

Paolo Borsellino non è mai morto:è ancora qui, tra la sua gente, nella sua città.L'hanno incontrato, con i ragazzi della scorta,mentre saliva le scale del Tribunale.Ed era ancora lui in Piazza Kalsa, tra i bambini.C'è chi giura di averlo visto a Mondello,altri dicono che ogni giorno passeggia in via della libertà.Uomini come Paolo non muoiono mai.Restano sempre con noi.Vivono ogni giorno, nella mente e nei cuori di chi li ricorderà per sempre.

19 Luglio 1992 - 19 Luglio 2012
IL RICORDO E' VIVO
CONTRO OGNI MAFIA,SEMPRE!


In ricordo di Paolo Borsellino, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuele Loi e Claudio Traia.

lunedì 16 luglio 2012

LUI CHE E’ ABITUATO A MANGIARE FILETTO,A NOI PORTA L’OSSO.BUON APPETITO MILAZZO



Sabato sera è andato in scena l’ennesima offesa,umiliazione,e presa in giro nei confronti della nostra città.Ormai non si contano più.

Il “nostro” caro sindaco è sceso in piazza per illustrare ai cittadini il perché ,l’imminente dissesto sia ,quasi quasi,un’opportunità per il nostro comune,sia,a parere suo,un colpo di spugna per cancellare gli errori del passato(compreso i suoi).
Peccato che ciò che doveva essere un comizio alla cittadinanza,si è trasformato in uno spettacolo da cabaret,stile zelig con tanto di “Cetto Laqualunque,e che sul dissesto ha chiarito poco e niente.

Le solite accuse agli amministratori passati, riferimenti alla vita privata dei suoi predecessori,qualche scontrino di 30 -40 euro elemento cardine del possibile default del comune,e le solite promesse che ormai da anni si susseguono con cadenza regolare.
Pino ha dimostrato grandi doti oratorie ma soprattutto cabarettistiche.L’apice si è toccato quando all’improvviso esce dal cilindro,un bell’osso!
si si avete capito bene…UN BELL’OSSO,MA BELLO GROSSO!

Ma che cosa bella!!

ha iniziato a sventolare l’osso come simbolo di miseria del nostro comune e ad un certo punto simpaticamente,ridendo esclama “e’ questo quello che ci è rimasto,ora provvederemo a metterlo nel simbolo della città al posto dell’aquila”,e giù risate (poche effettivamente).

Che simpaticone il nostro sindaco,lui si che affievolisce le nostre giornate,del personale che andrà in cassa integrazione,delle ditte che non verranno pagate,e soprattutto di tutti i cittadini che si troveranno aumenti del 100% in bolletta.

LUI CHE E’ ABITUATO A MANGIARE FILETTO,A NOI PORTA L’OSSO.
BUON APPETITO MILAZZO


giovedì 12 luglio 2012

LA PROTESTA DEGLI ABITANTI DELLA VIA DEL SOLE,AL BUIO DA MESI

E' incredibile come nel 2012,in una città come Milazzo,che conta quasi 40 mila abitanti,una delle sue vie possa rimanere completamente al buio.


L'amministrazione si trincera dietro il solito ritornello " NON CI SONO SOLDI".
Ma com'è possibile che l'Enel (società che fornisce il servizio elettrico) possa compiere un atto del genere senza trovare una soluzione concreta con l'amministrazione?
Com'è possibile che,senza nulla togliere alla Via Del Sole (curioso nome per una via completamente al buio,gli scherzi del destino) la fornitura elettrica venga a mancare proprio in una via secondaria o forse anche "terziaria" del paese?


A noi sembra tanto l'ennesimo sgarbo di questa "amministrazione fantoccio" nei confronti della nostra città.
Ci auguriamo vivamente che le autorità competenti,le autorità giudiziarie possano far LUCE su questa penosa situazione.
Noi,oltre a manifestare la nostra solidarietà ai nostri concittadini,ribadiamo il concetto..


IL DISSESTO E' SOLO UN PRETESTO.






FOTO BY CARMELO FULCO

A Giampaolo..

E’ passato un anno.E’ passato un anno da quella chiamata che ha fermato il tempo.E’ passato un anno da quella chiamata che ha squarciato il limpido cielo estivo.
Come oggi mancava una settimana alla fiaccolata di Palermo,era li che dovevamo vederci,era li che si riunivano le comunità.

E’ passato un anno caro amico nostro,è passato un anno caro Presidente,è passato un anno e noi ancora non ci spieghiamo il perché.Mille domande,l’assordante silenzio è l’unica risposta.

Sei stato il fuoco che ha acceso la “miccia” che ci ha portato a diventare quello che siamo.Una comunità forte,identitaria,ancorata ai valori che ci contraddistinguono,ancorata a quei valori che ci piaceva sempre ricordare.
Per questo,caro amico,te ne saremo grati per sempre!


12 Luglio 2011 – 12 Luglio 2012

CAMERATA GIAMPAOLO DI SALVO PRESENTE!
CAMERATA GIAMPAOLO DI SALVO PRESENTE!
CAMERATA GIAMPAOLO DI SALVO PRESENTE!




mercoledì 11 luglio 2012

MA CHE DEMOCRAZIA E’ MAI QUELLA IN CUI IL POPOLO MAN MANO SI VA RITIRANDO ?




Le prossime Elezioni in Italia, continuando e peggiorando così le cose, potranno spicciarsele nemmeno in una mattinata intera, ma in una pausa-caffè. Questo è lo stato dell’arte; questa la condizione e la scelta cosciente dell’Italia Vera.

A Palermo,ormai , c’è un  Sindaco eletto dal 28% dei cittadini aventi diritto al voto che è riuscito a battere pure il record del Presidente della sua Provincia eletto, in pratica, col voto di familiari e dipendenti. S’è scavato un abisso, noi crediamo definitivo, tra i politici della seconda repubblica ed un corpo elettorale, troppo deluso, troppo schifato addirittura per “stare a sentire” o per interessarsi anche solo un po’ alle vicende della Polis, della Res Publica. Il tutto aggravato dal fatto che”la Barca va” anche senza passeggeri : non c’è, per le Elezioni  politiche ed amministrative, un quorum come per i Referendum.

Così l’equipaggio del Barcone parte lo stesso verso la sua meta indefinita senza interessarsi più di segnalazioni, richieste e proteste. Perché il biglietto dei passeggeri NON prevede questo diritto. 

Il voto non può più andare a chi si vorrebbe ed in più chi lo riceve non è sottoposto ad alcun vincolo di mandato. Per cui si vota un moralista, amico dei giudici e lo si ritrova schierato con gli imputati solo il giorno dopo. Voti un partito perché ti promette più lavoro e meno tasse e lo vedi, a metà cammino, non “dire”, ma “fare” cose esattamente opposte che ti colpiscono brutalmente . Voti Tizio perché è fiero avversario di Caio ed il giorno dopo li vedi a braccetto bussare a casa tua  per comunicarti che insieme hanno votato, contro di te, una serie di rincari insostenibili che ti cambiamo in peggio la vita.

Ma non era esattamente QUESTO che c’era scritto alla voce “democrazia” nei vecchi testi di Educazione Civica.

L’ultima speranza te la diedero col Bipolarismo “O di qua o di là”. Ed anche questo è finito perché i “contendenti” sono stati scoperti a banchettare insieme nel mezzo del fiume che li divideva : in un’Isola fatta solo di fango rappreso con una bandiera bipartisan al centro.

Guido Virzi

lunedì 9 luglio 2012

Lo sfogo di un ristoratore Milazzese "MILAZZO NON E' UN PAESE PER GIOVANI"





Sta succedendo qualcosa di fortemente negativo a Milazzo, ce ne stiamo accorgendo e dobbiamo iniziare a prendere l'iniziativa e fare sentire la nostra voce. C'è un popolo di gente che la pensa come me e che sente che gli stanno rubando un ennesimo diritto: quello al divertimento nella propria città. 
Uno sfogo ragionato che voglio condividere con tutti coloro che tengono al futuro del Borgo e di q
uel pò di "vita sociale naturale" che è rimasta a Milazzo. Da leggere stesi sul divano con condizionatore o ventilatore puntato. Buona lettura e da stasera raccolta firme ProBorgo nei locali.

MILAZZO NON E' UN PAESE PER GIOVANI.

Davanti alla recente raccolta firme di denuncia ai locali ed all'immediata e perentoria quanto inusitata risposta delle forse dell'ordine, viene voglia di chiudere bottega e andarsene di nuovo. Invece è ora di mettere nero su bianco, rispondendo a pifferai magici dell'ultima ora.
Premetto che io sono anche un residente del Borgo, come la mia famiglia,i miei genitori ed i miei nonni, viviamo al Borgo da sempre. Ne conosciamo la storia, sappiamo come era, come è stato nel recente passato e come è oggi.
Sono anche consigliere del Consorzio Borgo Antico e Dintorni, riconosciuto come Centro Commerciale Naturale dalla Regione Sicilia, nato con l'obiettivo di coordinare gli imprenditori dell'area e di valorizzare anche investimenti pubblici e privati l'area che ricade tra Borgo e Vaccarella.
Ritengo quindi di potere capire alcune delle richieste avanzate e conosco i fastidi che taluni eccessi possono creare.

Detto questo vorrei proporvi di immaginare insieme cosa succederebbe se i locali del Borgo davvero scomparissero. Il nostalgico ritorno ad un borgo silenzioso, abitato da anziani e ( pochissime famiglie con bambini tra cui la mia) sarebbe una soluzione?Per chi? Per quanti?
Cosa succederebbe dunque? Qualcuno dormirebbe meglio è vero, ma qualcuno tra questi non riceverebbe più l'affitto mensile per il proprio locale o magazzino o appartamento affittato a giovani turisti frequentatori estivi del Borgo o ad uno dei tanti lavoratori dei locali che hanno deciso di stabilirsi qui. Beh forse senza il sicuro affitto mensile il sonno di questi non sarebbe più cosi tranquillo. Immagino che qualcuno vedrebbe le prenotazioni del proprio B&B drasticamente ridotte e di certo molti altri si accorgerebbero che il valore delle loro case, per la prima volta da 20 anni tornerebbe a calare. I turisti (già pochi) avrebbero ancora un motivo in meno per venire a Milazzo. I giovani milazzesi e non, si disaffezionerebbero definitivamente a questa non più ridente città ed affollerebbero, come già peraltro hanno iniziato a fare da qualche anno, la rinata Messina o i lidi di venetico, Rometta ed altri locali di quelle piccole cittadine più o meno limitrofe che fino a qualche anno fa erano innocui satelliti dell'elegante e viva Milazzo e che ora con grande spirito imprenditoriale (mors tua vita mea) concorrono a tutti gli effetti ad accaparrarsi i frammenti della fu inarrestabile movida Milazzese.

Ma c'è anche un argomento molto importante e troppo sottovalutato a mio modo di vedere, da chi contesta i locali: il lavoro. Facendo una rapida stima, in un'epoca di crisi profonda del lavoro i locali del Borgo offrono tra stagionali e fissi più di 100 posti di lavoro a giovani che così si rendono indipendenti e ad adulti professionisti che con il loro stipendio mantengono le loro famiglie e crescono i loro figli. Non solo i residenti ma anche un piccolo esercito di chef, aiuto cuochi, lavapiatti, camerieri, barman, personale delle pulizie, tutti abitano il Borgo, ci avevate mai pensato? Ci passano almeno 8 ore al giorno, avranno anche loro diritto a dire la loro? E quando finiscono di lavorare molti di loro raccolgono bottiglie, bicchieri, sporcizia, non sarebbero addetti a farlo (quelli sarebbero gli operatori ecologici che paghiamo anche noi con le salate bollette della spazzatura), ma fanno del loro meglio per ridurre l'impatto dei locali sul Borgo.
Ancora, i locali con i loro acquisti nell'ambito del food &beverage, con le loro bollette elettriche, dell'acqua, rifiuti, gas, con i loro permessi siae, muovono annualmente un ragguardevole budget di centinaia di migliaia di euro, fornendo un contributo non da poco alla depressa economia locale. Questi sono dati reali, verificabili, non vaghe lamentele basate sugli umori e sulle pressioni dell'ultimo arrivato.

Questo è un effetto collaterale non da poco che chi denuncia i locali dovrebbe tenere in debita considerazione. Chiusi i locali, andati in fumo posti di lavoro e investimenti degli imprenditori-perchè questo siamo-il Borgo tornerebbe dunque ad essere un quartiere a se stante quasi dimenticato e snobbato dagli stessi milazzesi (da bambino ricordo che bugghitano era praticamente un insulto), come lo era prima dell'avvento dei locali, ed io lo so bene essendo stato nel lontano '96 il primo a credere, insieme ai miei, ad un locale a 360 gradi e per 365 giorni l'anno in questa zona di milazzo, nel nostro quartiere, dato che prima di allora ci si riuniva al Bar Cambria al Codraro (chi lo ricorda?). Da allora il Borgo iniziò la sua trasformazione, divenendo il polo della movida dell'intera fascia tirrenica, in cui potevi fare l'aperitivo, cenare, ascoltare musica nel dopo cena prima di andare a ballare nelle varie discoteche milazzesi. frequentatissimo anche dagli ambiti clienti messinesi.
Nacquero molti altri locali (forse troppi e non sempre di qualità), ed accanto ad essi iniziarono a d apparire anche negozietti di artigianato locale, etnici etc. oggi scomparsi. Era un centro commerciale naturale nato spontaneamente in una delle zone più caratteristiche e meno sfruttate della città. Altrove questa trasformazione sarebbe stata percepita da tutti come una grande, forse unica opportunità di crescita turistica per Milazzo. I neo imprenditori che autonomamente e con propri capitali decisero di investire lì, stavano praticamente servendo all'amministrazione ed alla cittadinanza l'occasione di divenire a costo zero cuore di un vero e proprio“distretto del divertimento” concetto e realtà che tanto bene avevano saputo creare e mantenere al Nord Italia, in Romagna, ma che in anni recenti abbiamo, anzi hanno,saputo replicare con successo nelle aree di Marzamemi, Marina di Ragusa etc, aree che oggi tutti conosciamo, amiamo e che non conoscono crisi.

Ed invece, la Rinascita del Borgo, perché di ciò si è trattato, è stata sin dall'inizio percepita come un problema piuttosto che un'opportunità, sia dalle amministrazioni che non l'aveva affatto promossa e si trovarono (impreparati) a doverla gestire, cosi come le forze dell'ordine chiamati, e dai residenti del borgo che da un momento all'altro si sono ritrovati al centro di un evento unico, quasi incomprensibile, visto che fino a qualche anno prima al borgo (lo ricordo bene) non avevamo neanche le strade! Alcuni residenti o proprietari,c'è da dire, hanno capito cosa stava succedendo, hanno ristrutturato casa, l'hanno affittata o venduta ad un prezzo inimmaginabile fino a pochi anni prima, altri vi hanno realizzato o fatto realizzare un' attività, avviando cosi un processo positivo di miglioramento contagioso dell'area e di nuova e ritrovata percezione di se stessi, stavolta in positivo, fieri di essere “borghitani” che io stesso ricordo con emozione.

Purtroppo però un fenomeno sociale di tale portata non può non essere governato, indirizzato o semplicemente gestito da chi detiene le redini della città. Guardando indietro dopo quasi 20 anni pare evidente che a questa spinta imprenditoriale dal basso che ha visto il Borgo rinascere e divenire protagonista non ha fatto seguito da parte del Comune un riconoscimento di questo nuovo status di area su cui puntare ed investire per il futuro. Nel corso di questi quasi 20 anni sarebbe stato naturale e quanto mai opportuno creare nuovi parcheggi, che invece sono addirittura diminuiti, si sarebbe dovuto creare un servizio shuttle dal lungomare o da Ponente; si sarebbe dovuta richiedere una costante presenza deterrente(no solo reprimente) delle forze dell'ordine, si sarebbe dovute istallare un sistema di vigilanza anche elettronica di un area frequentata nei fine settimana da migliaia di persone; si sarebbe dovuto rafforzare il servizio di spazzamento e potenziare la presenza di bidoni per la spazzatura. Proprio per la spazzatura il borgo poteva e potrebbe ancora essere il fiore all'occhiello dell'amministrazione se si avviasse una vera raccolta differenziata mirata per i locali (bottiglie, cartone, lattine).
Ancora, si sarebbe dovuto costituire un tavolo di confronto tra amministrazione-cittadini residenti e cittadini imprenditori del borgo. Forse chi ha promosso la raccolta firme di questi giorni questa storia non la conosce e forse chi la ha firmata confonde la giusta e necessaria regolamentazione delle attività, della viabilità e quant'altro con una voglia di ritorno ad un passato nostalgicamente sempre percepito come migliore, ma oggettivamente non auspicabile per nessuno dei contendenti.

Per quanto riguarda la questione musica, certamente certi eccessi non fanno bene a nessuno, e non fanno certo piacere a tutti i titolari di locali del Borgo, perché non tutti i titolari interpretano l'offerta musicale nello stesso modo, ma mi sento di dire che la situazione è migliorata notevolmente, rispetto agli anni passati. Complice anche la crisi che coinvolge tutti, oggi al Borgo i locali sono in numero decisamente minore(circa la metà di 5 anni fa) e di certo meno rumorosi. Le attività dal vivo o con dj avvengono solo il venerdì e sabato con qualche incremento a luglio ed agosto, ma almeno d'estate, concedeteci di massimizzare le poche opportunità rimaste (i recenti fatti purtroppo dimostrano che non esiste questa sensibilità, soprattutto nelle forze dell'ordine). Per quanto riguarda gli orari, oltre ad essere una pratica diffusa in tutte le principali località turistiche d'Italia, è pieno diritto del sindaco, essendo responsabile dell'ordine pubblico sul suo territorio, incentivare il turismo anche attraverso ordinanze che superano l'obsoleta legge del TULPS che regolamentava le attività musicali e che stabiliva il limite della mezzanotte, legge che risale al 1929, due regimi fa, in pieno periodo fascista (!). Tali ordinanze non fanno altro che rispondere alle mutate esigenze sociali che vedono sempre più posticipata l'uscita notturna, in particolare d'estate. Se in una città turistica il limite delle 1.30 stabilito dal sindaco sembra eccessivo allora vale la frase ricorrente degli ultimi tempi: “Milazzo non è un paese per giovani”.

Non dimentichiamo inoltre l'importanza che l'offerta musicale dei locali gioca nell'arduo tentativo di trattenere sul nostro territorio i giovani che altrimenti si metterò sulle loro auto per passare le loro serate a molti chilometri da Milazzo con i conseguenti forti rischi dovuti all'associazione di alcool e guida.
In conclusione se certamente i locali hanno alcune responsabilità, forse alcuni più di altri e forse più in passato che oggi, essi sicuramente non sono responsabili di tutto il male del Borgo e credo fermamente che piuttosto rappresentino ancora una risorsa per Milazzo. Oggi infatti dopo i fasti, gli eccessi ed il declino del passato, il Borgo resiste ancora e ha le carte in regola per continuare, rinnovandosi come sta facendo, ed essere un punto di riferimento per Milazzo e dintorni. Per fare ciò non servono denunce ed aizzatori dell'ultima ora ma un impegno reciproco alla convivenza trovando punti di incontro tra imprenditori dei locali e residenti con il fondamentale ruolo mediatore e pro attivo del Comune ed una nuova sensibilità delle forze dell'ordine troppo spesso presenti al borgo solo in forma repressiva piuttosto che preventiva.

PS: A tal proposito tra la stesura e la pubblicazione di questo pezzo c'è stato un venerdì di mezzo, nel quale alle ore 1.40, quindi appena 10 minuti dopo lo scadere dell'ora X, e quando avevamo già abbassato il volume avviandoci a finire con l'ultimo pezzo molto tranquillo, abbiamo ricevuto nel mio locale la visita della polizia, i cui rappresentanti, gentilmente ed umanamente mi hanno comunicato che questi 10 minuti oltre il permesso delle 1.30 costeranno alla mia attività 1250€ di sanzione ovvero 125 € al minuto! Come se non bastasse sarò anche denunciato penalmente per schiamazzi notturni e disturbo alla quiete pubblica. Quanta umanità! Preciso che la mia musica avviene tutta all'interno del locale e con un volume a quell'ora equiparabile a quello di una stereo. Se la sanzione dovesse essere confermata mi troverò costretto ad annullare tutti gli eventi previsti per l'estate 2012, con buona pace mia e di chi ne avrebbe beneficiato. I nostri concorrenti extra milazzesi ringraziano sentitamente per cotanta solerzia e senso del dovere.
In definitiva, non posso far altro che concludere questo “sfogo” come ho iniziato, confermando che meglio chiudere bottega e andarsene di nuovo, tornando qui da pensionati: MILAZZO NON E' UN PAESE PER GIOVANI. 

sabato 7 luglio 2012

Salerno 07.07.1972 - CARLO VIVE!


Nemmeno trascorsi due anni dalla morte di Ugo Venturini a Genova, un altro giovane missino cadde a Salerno per colpa dell’odio comunista. Il suo nome era Carlo Falvella. 

Il padre, Michele, proveniva dalla Basilicata, era un professore di scuola media superiore, cattolico tradizionalista e mutilato di guerra. La madre, di origine abruzzese, era missina convinta, spesso girava per Salerno con i manifesti del Movimento Sociale Italiano attaccati agli sportelli e al cofano della macchina. Sei figli, cinque maschi e una femmina. 

Carlo, studente di filosofia e Vicepresidente degli Universitari di destra salernitani, aveva abbracciato la vita politica proprio grazie alla tenacia e alla passione della madre. Purtroppo era affetto da una gravissima forma di miopia. Infatti, Carlo, era già stato operato tre volte di cataratta e solo il progresso della scienza oculistica poteva salvarlo dalla cecità totale. 

Mancavano cinque minuti alle ventidue del 7 luglio 1972, quando i Carabinieri di Salerno furono allertati da una telefonata per una furibonda rissa in via Velia. Carlo Falvella e l’amico Giovanni Alfinito, prima di rincasare, furono notati da un gruppo di tre persone, Giovanni Marini, Francesco Mastrogiovanni e Gennaro Scariati, tutti appartenenti alla sinistra extraparlamentare. 

Al loro incontro Marini estrasse il coltello e colpì Alfinito all’inguine. Carlo Falvella, per difendere l’amico, si lanciò contro Marini ed entrambi caddero a terra. Ma durante la colluttazione Carlo Falvella fu colpito gravemente alla aorta. Nonostante il trasporto immediato all’ospedale e un intervento chirurgico Carlo Falvella morì.

Marini fu subito arrestato mentre Mastrogiovanni e Scariati si diedero alla latitanza. Alle esequie parteciparono circa ventimila persone, quasi tutte appartenenti al Movimento Sociale Italiano, il giorno prima in città era arrivato anche il Segretario Nazionale Giorgio Almirante. Assenti tutti gli altri partiti ma anche le figure istituzionali quali il sindaco di Salerno, Gaspare Russo, e il Presidente della Provincia, Carbone. 

Dopo quattro giorni dalla morte di Carlo Falvella, il Secolo d’Italia, organo ufficiale del Movimento Sociale Italiano, pubblicò in prima pagina il titolo “Un altro martire per la gioventù d’Italia. Dopo Venturini il sacrificio di Carlo Falvella”. Anche la federazione salernitana del Patito Comunista Italiano espresse il proprio sdegno per la scomparsa della giovane vita. Nei giorni successivi a Salerno accadde di tutto. Una vera e propria campagna innocentista a difesa di Giovanni Marini. Da Salerno a Milano, slogan, manifestazioni e addirittura la scrittura e la diffusione di quattro canzoni tutte ispirate allo stesso episodio. Soccorso rosso militante pubblicò un pamphlet dal titolo “Il caso Marini” proprio mentre era in corso il processo. 

Ma anche intellettuali dal calibro di Dario Fo, Franca Rame e un giovane avvocato destinato a una grande carriera, Giuliano Spazzali. In realtà chi era Giovanni Marini? Era un militante anarchico con alle spalle una storia in comune con quella di migliaia di proletari meridionali. Era nato in un piccolo paese, Sacco, in Campania, e all’età di dieci anni si era trasferito a Salerno con la famiglia. Cresciuto in una situazione sociale di disgregazione e miseria, iniziò presto a ribellarsi contro le cause dell’emarginazione. A diciannove anni, dopo la maturità in ragioneria, fu subito bollato come sovversivo e gli fu impossibile trovare impiego. 

Fu costretto a sopravvivere con lavori saltuari per alcuni anni e militò a lungo nel Partito Comunista Italiano per poi uscire definitivamente per le sue posizioni anarchiche. Al termine del processo, nel 1974, fu condannato a dodici anni di reclusione per omicidio preterintenzionale aggravato e concorso in rissa. Nel 1975, in appello, la condanna fu ridotta a nove anni. Mastrogiovanni e Scariati, invece, furono assolti dall’accusa di rissa. Già nel 1979, Giovanni Marini uscì dal carcere e rimase per due anni sotto libertà vigilata. Trovò lavoro come assistente sociale, a Padula, quindici chilometri da Salerno. Ma non riuscì a integrarsi e scivolò gradualmente nell’alcolismo. 

Nel dicembre del 1982, Marini fu nuovamente arrestato insieme ad altre persone con l’accusa di appartenenza alle Brigate Rosse. Morì a Salerno nel 2001 a quarantanove anni. Ventinove anni dopo la morte di Carlo Falvella.

Articolo tratto da LIBERO-MENTE, il blog per non dimenticare...

mercoledì 4 luglio 2012

Voltagabbana e Voltamutande


Articolo di Massimo Fini,pubblicato sul Fatto Quotidiano,che descrive in maniera esaustiva il problema che affligge il centro-destra italiano.La colpa non è di Berlusconi ..ma...


Marco Travaglio raccontava qualche giorno fa degli ‘antemarcia’ cioè, flaianamente parlando, degli specialisti nel salire, all’ultimo momento, sul carro del vincitore. Fenomeno che da noi ha una lunghissima tradizione che risale alla nascita dell’Italia unitaria. Si cominciò col garibaldinismo. Se tutti quelli che dicevano di aver partecipato alla spedizione dei Mille l’avessero fatta, i Mille non sarebbero stati mille, ma qualche milione.
Si è continuato con gli ‘antemarcia’ propriamente detti, i fascisti che millantavano di aver partecipato alla peraltro ridicola ‘Marcia su Roma’. Il 25 aprile 1945 si assistette al miracolo gaudioso: gli italiani da tutti fascisti, o quasi, che erano stati, erano diventati, in un sol giorno, tutti antifascisti. Arturo Tofanelli, il fondatore di “Tempo illustrato”, il primo rotocalco italiano, mi raccontò che quel giorno stava tornando in treno da Torino a Milano. Affacciato al finestrino vedeva brillare, a centinaia, dei cerchietti ma, a causa del riflesso, non capiva cosa fossero. A una sosta del treno ne raccolse uno: era il distintivo del Pnf di cui gli italiani si stavano sbarazzando.
I ‘retromarcia’ sono una variante degli ‘antemarcia’. È gente troppo pubblicamente compromessa con l’antico regime per poter salire subito sul carro del vincitore. Hanno bisogno di fare prima un po’ di retromarcia che consiste nello sparare sul Capo che hanno caninamente servito per anni, ricavandone ogni sorta di prebende. Martelli adversus Craxi.
Adesso è l’ora di Berlusconi. Il 23 maggio ho aperto il Corriere e ho letto questa dichiarazione: “Il Cavaliere è un leader finito”. Di chi era? Di Di Pietro, di Vendola o almeno di Bersani? Era di Marcello Pera. Berlusconi sarà anche un uomo finito, ma Pera non è mai esistito. Presidente del Senato dal 2001 al 2006 di lui si ricorda solo una memorabile confessione: “In casa mi piace stare in mutande” (davanti a Berlusconi invece se le calava).
Pera fa parte di quel gruppo di ‘professori’, si fa per dire, di cui il Cavaliere,amò circondarsi all’inizio della sua avventura politica (sbagliando perché gli intellettuali sono i più infìdi, i primi a lasciare la nave che affonda e non per nulla Bossi non ne ha mai voluto sapere).
Nelle riunioni di Forza Italia poi Pdl, i ‘professori’ si distinguevano più degli altri, ed è tutto dire, negli applausi scroscianti a ogni cazzata che diceva il Capo. La cosa era talmente bulgara che una volta che Saverio Vertone si dimenticò di battere le mani fu preso da Berlusconi letteralmente per le orecchie, che divennero rosse di vergogna.
Adesso è la volta di Schifani, un’altra ameba: “Il governo di Berlusconi è caduto per gli errori del Pdl”. Ho l’impressione che fra poco dovremo cominciare a difendere il nano di Arcore. Perché Berlusconi è quello che è, ma in quello che fa ci mette tutta la sua enorme energia. Alla fine degli anni 80 lo intervistai ad Arcore sul calcio
In quell’intervista mi raccontò che quando, ragazzo, aveva messo su, con Confalonieri e altri amici di gioventù, una squadretta di calcio, era lui, alle nove di mattina, a tracciare col gesso le linee del campo, dell’area di rigore, di quella del portiere, eccetera. Gli altri, per questi lavori di bassa manovalanza, se la squagliavano. Credo fosse sincero. Berlusconi è quello che è. Ma i Pera, gli Schifani, i Cicchitto, i Bonaiuti e gli infiniti altri sono dei saprofiti, dei parassiti, delle zecche che gli hanno succhiato il sangue. E se Berlusconi può fare, o aver fatto paura, questi fanno solo schifo.
Massimo Fini

martedì 3 luglio 2012

DA SEMPRE..


Itaca e la destra. All'ombra di un sogno trasformato in cenere




Itaca è una metafora pericolosa. Nel 1946 Italo Calvino la utilizzò, sulle colonne dell’Unità, per raccontare “il mito del ritorno a casa: il dover tornare a casa su mezzi di fortuna, per paesi irti di nemici. E’ la storia degli otto settembre, la storia di tutti gli Otto settembre della Storia”. Un’interpretazione suggestiva, non fosse che Ulisse e i suoi intraprendono il loro viaggio verso casa al termine di una guerra vittoriosa in terra altrui, il solo Ulisse si salva, e di Otto settembre, purtroppo, “la Storia” conosce solo il nostro.

Quella di Calvino era la lettura sentimental-consolatoria di un Paese. Una quindicina d’anni dopo, Luigi Comencini la codificò da par suo nel magistrale Tutti a casa. Ve lo ricordate? “Colonnello, è successa una cosa incredibile, i tedeschi si sono alleati con gli americani e ci stanno sparando addosso” diceva concitato al telefono il tenente Innocenzi con la faccia di Alberto Sordi. Per esorcizzare il dramma, ci andavamo specializzando nella farsa. Nel tempo è diventata una seconda pelle.

Itaca è la destra, dicono in molti, più o meno compunti. Nel 1997 scrissi un pamphlet che si intitolava Per farla finita con la destra, e insomma sul tema credo di avere già dato. Se ci ritorno è perché sono uno fedele alle amicizie e quella con il direttore di Totalità ne fa parte.

Storicamente parlando, la Destra in Italia non è mai esistita e se si guarda bene l’Italia fu fatta nonostante la destra, quella reazionaria, quella del trono e dell’altare, quella codificata dal Congresso di Vienna… Nella storia di Francia c’è de Maistre e l’elogio del boia, in quella nostra preunitaria c’è Monaldo Leopardi, l’ultimo spadifero: non è la stessa cosa…

La Destra storica, si dirà, quella è esistita, e ci portò al pareggio del bilancio. Se qualcuno si accontenta di così poco, non sarò così crudele dal negarglielo, anche se aveva più a che fare con la geometria parlamentare che con i principi. Curiosamente, è quella che da Indro Montanelli a Marco Travaglio, passando per Michele Serra, viene sempre citata come punto di riferimento di una vera destra moderna, non populista né cialtrona, tantomeno trasformista (povero Giolitti). Sfugge come un’Italia analfabeta, dove non c’era il suffragio universale e si votava per censo possa essere presa come punto di riferimento di una rinnovata modernità, ma nella foga polemica, si sa, noi italiani non ci facciamo mancare nulla.

Fascismo, il convitato di pietra della nostra storia

In Italia la destra è stata una foglia di fico. Serviva a celare il frutto proibito del fascismo, risultato indigesto dopo una ventennale consumazione, eppure l’unica creazione politologica indigena, insieme con i Comuni e le Signorie, il che dovrebbe far riflettere. Nel panorama politico del Novecento, il fascismo è stato un po’ come la statua del Commendatore nel Don Giovanni di Mozart: ingombrante, minaccioso e letale. Strozzò nella culla un sistema democratico-parlamentare fragile e impreparato alla modernità: le masse e i partiti di massa, l’industrializzazione, la politica delle grandi potenze.

Si sforzò, e fallì, nell’impresa di far coincidere una gloria universale con una politica nazionale, ciò che Mario Missiroli definì la grandezza e la tragedia italiana: una nazione piccola incapace, per la sua storia pregressa, a rassegnarsi a un piccolo ruolo. Era come avere un metabolismo da ricchi in un corpo da poveri.

Il fascismo portò con sé l’antifascismo, ma anche, e sopratutto per l’Itaca di cui si parla, il neofascismo. Non bisogna nascondersi dietro un dito: politicamente parlando, destra era l’etichetta per cercare di smerciare un prodotto altrimenti invendibile. La Destra nazionale, la Costituente di Destra, la Grande Destra, la Destra degli Italiani, tutti loghi, tutti marchi, tutti brand fasulli, il trionfo del tarocco…

L’antifascismo intanto fece l’Italia. La fece nella logica calviniana sentimental-consolatoria e a suo modo cinica, ma la fece. Un Paese senza ambizioni nazionali, però faticatore, un po’ Arlecchino e un po’ Pulcinella, per far dimenticare il Capitan Fracassa e Matamoro finito in tragedia, individualmente simpatico, ma senza carattere, da amare, ma senza prendere sul serio. I partiti chiamati a rappresentarlo, la Democrazia cristiana e il Pci, erano del resto il contrario di un partito nazionale: il primo prendeva ordini dal Vaticano, l’altro da Mosca. Dal 1948 al 1989, da noi fu più importante, come potere, gestire il ministero delle Poste che non il ministero degli Esteri.

E’ questa Italia ad aver fatto gli italiani. Quanto all’altra, minoritaria e sconfitta, minoritaria perché sconfitta, politicamente sterile, si adagiò fra il mugugno, la rassegnazione, il rifiuto. Individualmente fece la sua strada, professioni, commerci, riuscite sociali ed economiche, ma non rappresentò mai un’alternativa: era il mondo dei vinti, popolato di revenants, di fantasmi, e aggrappato all’idea di un Paese più immaginario che reale: le vecchie zie di longanesiana memoria, gli ufficiali in pensione, il decoro borghese, le poesie imparate a memoria… Il suo elettorato si consumò fra il Msi e la Dc, il primo per spaventare la seconda, la seconda per tenere sotto tutela il primo, ruota di scorta da usare, sino alla fine degli anni Cinquanta, ruota bucata e inservibile dopo…

Se volessimo essere sinceri con noi stessi, dovremmo dire che fu questa la Destra del Paese: qualunquista e conformista, nostalgica, bigotta e clientelare, timorosa del nuovo, aggrappata al vecchio, né reazionaria né conservatrice, semplicemente per lo status quo, senza passato e senza futuro. L’unica che abbiamo conosciuto.

La destra senza più il nemico

Poi ci fu la caduta del Muro di Berlino, la fine del comunismo, il venir meno del bipolarismo e con essi  l’intero sistema della cosiddetta Prima repubblica crollò. Si era retto perché c’era unaconventio ad excludendum che inibiva il Pci dal governo nazionale, pur non negandogli il potere locale, ma questo significava un sistema di fatto bloccato, senza alternanza e con un centro ondivago, con una parcellizzazione delle forze in campo che faceva di partiti minuscoli gli aghi della bilancia di alleanze eterogenee, il tutto con l’occupazione manu civili dei partiti sulla società, uno spreco di risorse, un aumento del debito pubblico, della corruzione e dell’inefficienza, un moltiplicarsi di governi e di crisi di governo (governi balneari, governi monocolori, governi delle larghe intese, governi programmatici, governi di solidarietà nazionale, più di quaranta in quarant’anni…).

Negli anni Novanta, l’Italia si ritrovò così a essere un Paese da rifondare. Non c’era nulla che valesse la pena conservare, non c’era niente di cui piangere. Il crollo delle ideologie toglieva inoltre peso ai giudizi e ai pregiudizi garanti del precedente potere: essere corrotti era peggio che essere fascisti, essere comunisti non era più un titolo di merito, essere democristiani tornava a significare non essere niente… Schematizzando, era l’Italia antifascista che era giunta al capolinea, l’altra, lo abbiamo detto, si era chiamata fuori dal gioco condannandosi per di più alla sterilità politica: un partito inutile, incapace di qualsiasi elaborazione critica.

L’Odissea, in fondo, cominciò allora. Si partì per la guerra, ma già con i Proci in casa, più preoccupati a vendere quei pochi gioielli di famiglia rimasti che a forgiare le armi per la battaglia. Si scambiò Berlusconi per Agamennone, o, più semplicemente, sbagliammo ancora una volta l’acquisto dello straniero…

Dalla sua Berlusconi aveva il pragmatismo. Era il figlio, o forse il fratello, data l’età, di quei personaggi della commedia all’italiana che sono la fotografia dell’Italia del secondo dopoguerra: strafottenti, bugiardi, ruffiani, simpatici, inaffidabili, gli eroi del Sorpasso, della Voglia matta, di In nome del popolo italiano… Con in più però il successo, elemento non secondario, e sufficiente sensibilità per capire che si era chiuso un ciclo e che davanti si apriva una prateria per chi sapesse e volesse cavalcare.

E i nostri greci? Il minimo che si possa dire è che erano inadeguati. Si erano cullati nel rifiuto della storia, e ora la storia gli cadeva sulla testa. Non avendo mai fatto i conti con il proprio passato, ne erano diventati la caricatura e in più non erano mai stati in grado di prepararsi un futuro. A disagio nel “libera tutti” della fine delle ideologie, gli mancava la duttilità e la pazienza per costruire un soggetto nuovo. La spocchia e la presunzione tipica di chi confonde la tattica con la strategia, ne accorciava ancor più la vista; la voglia frenetica di esserci, di partecipare alla vittoria, fece il resto. Per arrivare più velocemente alla meta, si spogliarono di tutto. Nudi alla meta, appunto.

Cosa resta dopo vent’anni

Vent’anni dopo (il doppio dell’Iliade), che cosa resta? Un pugno di ex ministri. E’ scomparso un partito, e con esso un’identità, e per la maggior parte si è confluiti obtorto collo in un contenitore più vasto. In quell’arco di tempo, l’alternativa alla Prima repubblica si è rivelata fallimentare: niente riforme, la dignità nazionale ridotta a solita malinconica operetta, il Paese più o meno spaccato a metà, un numero elevato di concubine, qualche cognato e molti sicofanti, l’Italia consegnata mani e piedi a un governo di tecnici non eletto. Più che a Troia,  si sono accampati a Roma e c’è chi ha messo le tende a Montecarlo.

Però c’è sempre Itaca, dicono. Ma non è vero, e se anche fosse vero non ne ho nessuna nostalgia e me ne ero andato tanti anni prima proprio per questo. Era sterile, non vi cresceva nulla e in fondo non era casa mia. Ci ero arrivato navigando, come succede a chi va per mare e sa che i porti sono un male necessario. Non mi piaceva l’Italia, non mi piaceva l’immagine dell’Italia che mi veniva raccontata sui libri di storia, ero figlio di un’epoca che non sentivo mia, i gusti della maggioranza dei miei coetanei non mi appartenevano.

Ero antimoderno ancora prima di saperlo, ero scontroso, orgoglioso, timido e solitario. Appartenevo a una generazione che non aveva fatto a tempo a perdere una guerra, e però mi sentivo più in sintonia con i vinti che con i vincitori: l’orgoglio della vittoria mi ha sempre fatto orrore, ma è difficile rassegnarsi alla sconfitta senza neppure aver avuto il tempo di combattere…

Così, per quel poco che può contare, ho cercato di invertire la tendenza. Credo che la storia di una nazione la si debba assumere per intero, non la si può scegliere, come si fa con la carne o la frutta al mercato. Bisogna accettare il bene e il male, farne tesoro, ricavarne una lezione, meditare su grandezze e miserie. L’esatto contrario di quello che ha fatto l’Italia, che infatti resta un Paese fragile, compiaciuto quasi dei suoi difetti al punto di trasformarli in pregi.

Per fare politica occorre cultura

Ora, per fare politica, bisogna avere un’idea della politica, ovvero un’idea di ciò che si vorrebbe essere, altrimenti si fa del minuto commercio, si vivacchia, “si lavicchia”, avrebbe detto Totò… Ecco, noi continuiamo a lavicchiare e anche il berlusconismo è stato, alla fine, un accontentarsi sempre e comunque di lavicchiare… Per fare politica nell’ottica di cui sopra (per l’altra c’è Lusi, c’è Di Pietro, c’è Fini, mettete voi i nomi che volete, sono interscambiabili), ci vuole cultura.

Le Signorie, i Comuni, il Risorgimento, furono un fatto culturale prima che politico. Lo fu anche il fascismo, e Mussolini fu il primo politico del suo tempo a poter visitare una mostra d’arte futurista sapendo di che cosa si trattava. Ci era nato dentro, ci era nato insieme, ne parlava la lingua. Lo è stato il comunismo, quello originale e quello import-export (e per restare all’Italia lo sappiamo bene): è quella semina che produsse il successivo raccolto, e l’essere poi appassito non inficia il valore di quello sforzo.

Fra le due guerre prima, per mezzo secolo dopo, il comunismo è stata una straordinaria arma di seduzione intellettuale e i suoi residui passivi ancora permangono. Se si vuole, anche il berlusconismo ha avuto una sua cultura, l’essere in sintonia con un’epoca: la tv commerciale e i nuovi media, l’apparire, il successo tutto e subito, il liberismo spinto, il culto del corpo e della giovinezza, l’impresa e non l’impiego, il privato e non il pubblico…

C’era un’Italia stanca di una recita politica, economica, sociale che non portava da nessuna parte: il berlusconismo le diede l’illusione del cambiamento. Se dopo si ridusse a lavicchiare, come dicevo prima, è perché era una cultura troppo light, preferiva l’accordo, voleva la logica del consenso, praticava l’acquisto più che la convinzione. Ma questa è un’altra storia, anche se c’è da chiedersi come, e in che modo, in quest’altra storia stessero i suoi alleati greci.

Le coordinate di Itaca

Se nei miei vent’anni mi è capitato dunque di ormeggiare a Itaca, l’impressione, quarant’anni dopo, è che non sia cambiato nulla: le stesse taverne, gli stessi avventori, gli stessi piatti e gli stessi vini con risse annesse, le medesime puttane. E’ quello che capitò agli émigrés dell’Ancien Regime, scampati alla Rivoluzione francese e tornati in patria dopo Napoleone. Niente avevano imparato, niente avevano dimenticato.

La parola Destra è un mantra salvifico, vuol dire tutto perché non dice più niente, è un palliativo nei confronti dei nostri fallimenti. Si critica tanto l’illuminismo progressista, ma il tradizionalismo della destra è speculare: il primo insegue sempre il bene futuro dell’umanità, il secondo compiange sempre le tenebre in cui l’umanità è caduta. Peccano entrambi, anche se in maniera diversa, di irrealismo, ma la destra ha l’aggravante di un’atemporalità che la rende sterile.

Atemporalità. Sento già l’obiezione, e vorrei mi fosse almeno questa volta risparmiata. Sono qui per un dovere d’amicizia, l’ho detto all’inizio, e quindi i principi, gli archetipi, il mondo della tradizione, di grazia, vorrei se ne facesse a meno. Li do tutti per buoni, li accetto a prescindere: ma, è un modesto consiglio, se volete far politica dovrete farne a meno. E’ zavorra, non andreste da nessuna parte.

C’è comunque chi dice che destra e sinistra abbiano ancora un senso, siano discriminanti in virtù dell’atemporalità appunto della prima, della prosaica modernità della seconda. Proviamo a fare qualche esempio.

L’eutanasia è di destra o di sinistra? E la procreazione assistita? Si deve stare sempre con l’Occidente o si accettano anche le ragioni dell’Oriente? Si esporta la democrazia liberale con le armi o si pensa che ogni nazione debba scegliersi la propria strada? Siamo con i mercati per la globalizzazione o riteniamo che le frontiere abbiano ancora un senso? Vogliamo più industrializzazione, oppure puntiamo alla decrescita? Difendiamo la famiglia tradizionale o ci apriamo alle coppie di fatto? La cittadinanza per ius sanguinis o anche per chi ci lavora e paga le tasse? E l’omosessualità, e l’ideologia dei diritti dell’uomo, e la laicità dello Stato?

Le destre che stavano a Itaca nella mia gioventù, lo dico con cognizione di causa, erano interessanti intellettualmente, ma innocue politicamente. Facevano parte di un combinato disposto a cui il neofascismo offriva una dimora, scomoda, ma pur sempre una dimora. Lì potevano anche azzuffarsi e polemizzare: erano all’ombra di un sogno tramutatosi in cenere.

Adesso che anche quella cenere è stata spazzata via, bisognerebbe reinventarsi tutto da capo e, diciamoci la verità, nessuno è in grado di farlo. Vedo sbarcare in quel porto greci che in questi ultimi vent’anni si erano finti americani, o che vent’anni prima, appunto, si erano venduti al più potente alleato, oggi da loro sbeffeggiato.

Vedo greci duri e puri che esibiscono le loro dubbie decorazioni, ma tengono nascoste nel cassetto le onoreficenze e le prebende  che intanto intascarono: direzioni, posti, premi, incarichi, programmi… Perché poi in questa guerra di Troia  non c’è quasi più nessuno, fra quelli che ora a Itaca vorrebbero svernare, disposto ad ammettere di averla combattuta per conto terzi e per il puro bene proprio.

Il Cavaliere è tornato a essere il male, loro sono tornati a essere gli idealisti di sempre, crociati dell’idea. Poi dice che uno si butta a sinistra, per dirla ancora con Totò, principe della risata e principe, visti i tempi, della politica.

Vogliamo dirlo che è stata anche la fiera degli ossimori. Anarchico conservatore. Fascista libertario. Democratico individualista. Teorico del proporzionale presidenzialista, liberal comunitario, comunista nazionalista, populista aristocratico…. La fantasia, ammettiamolo, a destra non ha mai fatto difetto.

La miopia politica e culturale genitori del disastro

C’è stata una miopia politica? E’ una domanda talmente retorica che quasi me ne vergogno. E però, per averla posta, e per avervi dato una risposta in termini assertivi, non ieri o l’altro ieri, ma nel 1995, me ne dissero di tutti i colori, per usare un linguaggio  forbito. Solo che non ci voleva una mente particolarmente brillante, bastava infatti la mia, per accorgersi che quei greci di Itaca andavano incontro al disastro: bottini di battaglia, ma non la vittoria, e tantomeno la conquista di una moderna Troia.

Sarebbero scomparsi, come infatti è avvenuto.

C’è stata una miopia culturale? Idem come sopra, ma vale la pena di soffermarcisi, sia pure in breve. La classe dirigente politica, senza offesa, era mediocre, eterne seconde file che solo la falce dell’anagrafe portò insieme e d’improvviso alla ribalta. Erano i gregari a vita e di una vita e le eccezioni, si sa, confermano le regole. Aspettarsi di più avrebbe avuto del miracoloso, ma i miracoli sono merce rara: dopo lo sdoganamento berlusconiano, anche in cielo c’era chi aveva diritto al suo riposo.

C’erano però gli intellettuali. Dal 1994 al 1998 ho avuto una tribuna privilegiata. Dirigevo le pagine culturali del Giornale, berlusconiano, certo, ma di un Berlusconi appena sceso in campo con un’armata Brancaleone dove c’era di tutto: residui socialisti, spezzoni democristiani, leghisti e nazionalisti,  fascisti, neofascisti, postfascisti e libertari… Non starò qui a fare un’esegesi culturale di quegli anni, ma la delusione, quella sì, è un qualcosa che va sottolineato.

Mi ritrovai collaboratori per i quali il fascismo non era ma passato, altri che dopo averci sguazzato dentro si riscoprivano liberali, altri ancora che si facevano consiglieri di quello stesso principe fino al giorno prima sbertucciato, o che dopo aver proclamato chiaro e forte la fine della dicotomia destra-sinistra, forte e chiaro ne stabilivano ora l’irrimediabilità.

Era la sagra dell’ipocrisia, del falso e dell’ignoranza e ci vorrebbe un Balzac per darne conto. E’ che si erano rotti gli argini, arrivava la piena, ma c’era più melma che limo. In maggioranza veniva da Itaca, e questo è un altro dei motivi per cui non ci voglio tornare.

Rimango a Troia con Cardini

Fra gli interventi ospitati da Totalità, quello di Franco Cardini mi ha emozionato. Cerco sempre di tenere a bada l’età, ma mi accorgo che invecchiando il ciglio si fa comunque meno asciutto. Mi capita al cinema, se parlo in pubblico di un amico che non c’è più, se leggo articoli o libri in cui si rispecchia una parte della mia vita. Fra me e Cardini ci sono una decina d’anni o poco più, e quindi siamo vecchi tutti e due, ma quando lui ne aveva trenta ed era già più o meno in cattedra, io ne avevo venti ed ero un disgraziato senza arte né parte che voleva fare la rivoluzione e disprezzava gli intellettuali. In più Franco era cattolico e medievista, e io ero un ateo pagano (chi di ossimoro ferisce…) irrimediabilmente moderno nella mia imberbe antimodernità.

Per farla breve, mi sembrava uno dei tanti professori di cui era lastricata la via della cosiddetta destra universitaria, una via più trombonesca che aristocratica: era bravo certo, era colto, certo, ma era comunque un accademico, ovvero noia infinita al peggio, passione ben temperata al meglio.

Dieci anni dopo, lui ormai un brillante storico quarantenne e io un trentenne sempre appassionato di politica e sempre senza né arte né parte, facemmo conoscenza in un seminario di studi, Al di là della Destra e della sinistra. Costanti ed evoluzioni di un patrimonio culturale, organizzato dallaNuova destra, di cui facevo parte, in Veneto. Della categoria degli accademici sopra ricordata, Cardini era naturalmente del secondo tipo, ma per un ignorante e un estremista del pensiero quale allora io ero, più che un pregio questo era un difetto. Fosse stato un accademico scarso e palloso, non avrei neppure perso tempo a sfogliarlo; l’essere invece interessante e intelligente me ne rendeva imprescindibile la lettura, ma inconcepibile l’utilizzo. Detto in parole povere e stupide, a chi come me sognava la presa del potere culturale, che cosa serviva sapere tutto sulla cavalleria medievale?

In quei tre giorni di convegno Franco si presentò con un eskimo e un basco da guerrigliero, la barba e il fisico alla Hemingway. Tenne un intervento sui concetti di festa e di comunità che a distanza di trent’anni ancora ricordo. Era, al suo massimo livello, una lectio magistralis, una conversazione colta, una chiacchierata fra amici, un brindisi di compleanno, un’orazione funebre e una mozione degli affetti. Era, insomma, un racconto, l’affabulazione straordinaria intorno a un tema che si tramutava in storia e memoria, passato e presente, ricordo, rimpianto e promessa. Nel recuperare radici che a un pensiero distratto potevano apparire disseccate, Cardini le faceva brillare davanti agli occhi e ne rendeva comprensibile il senso, il significato, la contemporaneità.

Ecco, tutto questo semplicemente per dire che è per me un onore starmene fra le rovine di Troia in sua compagnia.

di Stenio Solinas