lunedì 29 aprile 2013

A Sergio Ramelli, nell'anniversario della morte.


Lo ricordiamo col suo sorriso, come molte fotografie ce lo dipingono e come molti amici lo ricordano. Aveva diciotto anni, ma un commando di sciacalli di Avanguardia Operaia, in nome dell'antifascismo, lo massacrò sotto casa a colpi di chiave inglese, spaccandogli il cranio, nella Milano degli "anni di piombo" dove "uccidere un fascista non è reato". Sergio rimase in coma per 47 giorni, prima di spegnersi in una fredda stanza di ospedale, coi ragazzi del Fronte della Gioventù al suo capezzale.

Sergio fu vittima di una violenza cieca, ideologica e feroce. La violenza dell'antifascismo militante, che lo aveva preso di mira a scuola, al Liceo Molinari, dove era stato ritenuto "colpevole" di aver scritto un tema nel quale criticava l'operato delle Brigate Rosse, già responsabili del duplice omicidio di due militanti missini a Padova, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. Ne seguirono i "processi politici", le aggressioni verbali e fisiche, le minacce vergate sulle mura del quartiere. Fino a quando la sua foto non venne recapitata nelle mani del servizio d'ordine di Avanguardia Operaia, che decise di passare alle vie di fatto e di eliminarlo utilizzando le chiavi inglesi Hazet 36, purtroppo assai in voga in quei terribili giorni.

Al suo funerale, partecipato da molti attivisti della destra politica, si cercò di vietare il corteo funebre, mentre nel consiglio comunale milanese la notizia della sua morte venne accolta con un applauso corale, come nel peggiore degli incubi. Qualche anno più tardi venne scoperto il covo di via Bligny. a Milano, dove fu rinvenuto un vero e proprio archivio tenuto segreto per decenni dalla sinistra extraparlamentare milanese, che aveva schedato e colpito decine di attivisti di destra, magistrati, poliziotti, politici e personalità ritenute scomode. Il processo per l'omicidio Ramelli si concluse con condanne ridicole, con pene abbreviate e con assassini rilasciati dopo pochi anni di carcerazione.

Nel primo anniversario della morte di Sergio, il 29 aprile del 1976, Prima Linea "festeggiò" con un altro omicidio, quello di Enrico Pedenovi, consigliere del Msi milanese. Lo ricordiamo, assieme a tutte le vittime di quella stagione di sangue e di odio.

Mai più infamia, mai più antifascismo.
SERGIO ED ENRICO PRESENTI!
 

giovedì 25 aprile 2013

25 aprile. Che ci sarà mai da celebrare?



Lo storico Renzo De Felice affermò che la peggiore eredità che il Fascismo ci ha lasciato è l’antifascismo che, a suo dire, era una scusa per praticare l’intolleranza violenta con delle false coperture morali. E ne trovò conferma sulla sua pelle quando, ormai alla fine della sua carriera, si vide impedire l’ingresso all’Università di Roma da un gruppo dei centri a-sociali che cercarono di aggredirlo dandogli addirittura del nazista. Poco dopo, nel febbraio del 1996, qualcuno gli incendiò la casa. Tre mesi dopo l’uomo considerato anche all’estero “il massimo studioso del fascismo” morì.
Probabilmente chiedendosi, lui che aveva alle spalle anche una lunga militanza comunista e poi socialista, in che cavolo di Paese avesse vissuto se, a 50 anni dalla fine della guerra, un anziano professore di storia dovesse rischiare il linciaggio e la vita propria e dei propri familiari solo per aver scritto dei libri di storia. Il 25 aprile, spiegano molti antifascisti – quelli giovani – serve a celebrare il ricordo imperituro di chi, con la guerra partigiana, ci ha regalato la libertà e la democrazia di cui oggi godiamo. Purtroppo, a dire il vero, la democrazia gli italiani di allora l’hanno ricevuta, allo stesso modo degli iracheni di oggi, dagli americani. Dopo una guerra fatta di bombardamenti sulle città e un’invasione. Questa è la storia e non c’entra nulla l’ideologia.
I partigiani furono protagonisti di una guerra civile combattuta contro italiani che ritenevano di combattere per l’Italia con una visione diametralmente opposta. Con il 25 aprile si festeggia la sconfitta dei secondi, più che la vittoria dei primi. Il che ci può anche stare, le guerre sono così: c’è uno che vince e uno che perde. E il vincitore di rado fa sconti al vinto. Dai tempi di Brenno, almeno. La domanda è: che cosa c’entrano i nostri figli – e ormai i nostri nipoti – con quella guerra? E perché i discendenti di chi quella guerra l’ha persa dovrebbero ancora essere trattati come i vinti di una guerra che non hanno combattuto e nemmeno visto da lontano perché sono nati decenni dopo che era finita? E, soprattutto, perché a trattarli così dovrebbero essere persone che anch’esse non hanno combattuto nessuna guerra per liberare alcunché, ma hanno solo scelto di schierarsi dalla parte di chi vinse allora per reclamare il diritto di negare, oggi, la libertà ad altri? Sono queste le domande che, ogni anno, noi figli della generazione di italiani che combatté quella guerra – e ormai genitori e nonni di altri italiani – ci poniamo. Aveva ragione De Felice. Per questo gli bruciarono la casa. Sono passati 17 anni da quell’attentato dimenticato. In Italia è cambiato tutto. Ma, almeno oggi, sembra non sia cambiato niente
di Marcello De Angelis (secoloditalia.it)

mercoledì 24 aprile 2013

Buontempo ci ha lasciato. Insegnò ai giovani a combattere per quello in cui credevano



Altro che “pecora”, era un leone. È sempre stato un leone Teodoro Buontempo, Teo per gli amici, e di amici ne aveva tanti. Buontempo ci ha lasciati a 67 anni e lo piange non solo la famiglia, la moglie Marina e i tre figli, ma tutta una comunità umana, della quale Teodoro è stato per decenni protagonista. Iniziato in ambito locale, il suo impegno politico lo ha fatto apprezzare ben oltre la città di Roma, dove pure è stato consigliere capitolino dal 1981 ininterrottamente al 1997 e dove ha sempre svolto la sua attività di dirigente di partito, di parlamentare, di assessore regionale e oggi di presidente della Destra, che nel 2007 contribuì a fondare insieme con Francesco Storace. Buontempo era un leader naturale, e lo ha dimostrato guidando il Fronte della Gioventù di Roma (l’organizzazione giovanile del Msi) nei difficilissimi anni di piombo, esponendosi sempre in prima persona e pagando costi altissimi per  il suo impegno per i più deboli, per le fasce sociali più disagiate, per gli emarginati, per coloro che non avevano nessuno che li difendesse. Come una volta, al Casilino, da consigliere comunale fu chiamato da una donna che aveva un figlio in sedia a rotelle e che aveva innumerevoli difficoltà nella vita di tutti i giorni a causa dei marciapiede troppo alti: malgrado le reiterate richieste della donna all’amministrazione comunale, nessuno aveva fatto niente. 
Teodoro senza pensarci su prese un piccone e abbatté le barriere architettoniche, in particolare il ciglio di un marciapiede su cui la carrozzella non poteva salire, e se ne andò. E di episodi come questo ce ne sono a centinaia, che hanno visto Buontempo nelle strade di Nuova Ostia a controllare lo stato delle case popolari o al deposito dell’Atac per verificare l’inquinamento dei mezzi. Per questo Buontempo era amato a Roma, per questo era molto popolare: era l’unico missino che potesse andare impunemente in un certo bar al centro di Roma frequentato e gestito da estremisti di sinistra (e negli anni Settanta i comunisti erano una cosa seria) ed essere accolto amichevolmente, con il rispetto che si deve a un avversario coraggioso e leale. E le sue intuizioni politiche, spesso estemporanee, contribuirono non poco all’affermarsi del Msi a Roma. Come quando gli venne l’idea – che realizzò in pochi giorni – di creare una radio di destra, Radio Alternativa, che ubicò nei locali del Fronte della Gioventù a via Sommacampagna. La radio, che fu insonorizzata con le famose confezioni di cartone delle uova dallo stesso Buontempo con l’aiuto di attivisti di buona volontà, divenne in brevissimo tempo un punto di riferimento per i missini non solo della capitale, ma di tutta Italia. Molti giovani che sarebbero diventati deputati, senatori, ministri di questo Paese passarono per le stanze diRadio Alternativa dove Teodoro sempre indaffarato chiedeva una sigaretta. Fece conoscere la musica alternativa, allora guardata con diffidenza persino nell’ambiente missino. Ma ebbe ragione lui. E poi dibattiti culturali, discussioni, recensioni, musica, politica, impegno sociale. Fu una radio libera davvero rivoluzionaria.
Buontempo era nato a Carunchio, in provincia di Chieti, il 21 gennaio 1946. Dopo aver studiato a Ortona a mare dove iniziò anche a fare politica, nel 1968 si trasferì a Roma dove partecipò alle prime lotte stidentesche. Per le sue qualità si impose come dirigente della Giovane Italia (la precedente organizzazione giovanile missina) per poi diventare, nel 1972, il primo segretario del neonato Fronte della Gioventù di Roma, incarico che conserverà sino al 1977. Contestualmente, lavorava al Secolo d’Italia, diventando capocronista, e occupandosi sempre dei problemi della città e di politica. Dal 1988 al 1992 è stato il “federale” di Roma, ossia segretario della federazione romana. Membro del Comitato centrale e della direzione nazionale del Msi-Dn, è stato deputato nelle legislature XI, XII, XIII e XIV. Ha ricoperto la carica di segretario regionale di Alleanza nazionale nel Lazio nonché membro dell’Assemblea nazionale dl partito. Rimase iscritto al gruppo parlamentare di Alleanza Nazionale fino al 27 luglio 2007, quando passò al gruppo misto della Camera per poi entrare alla Destra. Nel 2008 divenne consigliere provinciale fino a che, nel 2010, la governatrice della Regione Lazio Renata Polverini lo vuole come assessore alla Casa e alla Tutela consumatori. In questa veste si è occupato delle periferie polemizzando spesso con urbanisti progressisti, teoreti dei palazzoni alla Corviale o alla Tor Bella Monaca con la semplicissima argomentazione: «Scusate – diceva spesso – ma dove sta scritto che una casa popolare debba per forza essere anche brutta?». E a proposito di case, memorabile fu la sua battaglia contro gli enti inutili, detentori, e questa fu la sua denuncia, di moltissimi immobili anche di pregio, assegnati magari agli amici degli amici di chi governava. E non era demagogia: per dimostrare che quegli enti esistevano, non facevano nulla ma costavano salato alla collettività, affittò un pullman e portò i giornalisti in un singolare tour per le sedi e i possedimenti degli enti inutili.
Insomma, un politico anti-politico, che aveva dietro di sé tutti i giovani missini di Roma ma che riusciva a dialogare e convincere i “vertici” del partito della necessità di svecchiare l’azione politica, indirizzandola verso le sfide sociali. Così come non si contano le iniziative politiche o gli incarichi di partito e istituzionali che ha avuto, allo stesso modo non si contano le volte che è stato aggredito, picchiato, fermato dalle forze dell’ordine, o le volte che gli hanno distrutto o incendiato l’automobile. E tutte le volte ricominciava, tornava a fare quello che aveva sempre fatto, armato solo dei suoi ideali e della sua caparbia determinazione. E incoraggiava tutti con quella sua caratteristica voce roca che non dimenticheremo mai.
di Antonio Pannullo (secoloditalia.it)

martedì 23 aprile 2013

Contro le antenne Muos a Niscemi un fronte trasversale di popolo a difesa della salute



Ormai tutto è deciso. Stando agli impegni presi dal governo italiano con l’amministrazione Usa sin dal 2005, sarà nel comune di Niscemi (Cl) una delle quattro aree che dovrà ospitare il Muos, la mega antenna che guiderà la rotta, durante le azioni di guerra, dei fantascientifici droni, gli aerei senza pilota in dotazione alle forze armate americane. I lavori d’installazione del Mobile User Objective System dovranno essere ultimati entro e non oltre il 2013. Sono però in pochi, fra gli oltre venticinquemila abitanti del comune a metà strada tra Caltanissetta e Gela, a volere vedere sopra le proprie teste le tre antenne circolari alte fino a 150 metri.
I rischi per la salute sarebbero“altissimi i rischi ”. L’allarme è di due ricercatori del Politecnico di Torino: “L’entrata in funzione dei trasmettitori del Muos – secondo le rilevazioni di Zucchetti e Coraddu- avrà come conseguenza un incremento del rischio di contrarre vari tipi di disturbi e malattie, tra cui alcuni tumori del sistema emolinfatico, come evidenziato in numerosi studi epidemiologici”.
Ad unirsi a questo allarme, ultimo in ordine di tempo, è il neo-presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta, che ha annunciato la revoca delle autorizzazioni per i lavori d’installazione delle mega antenne, facendo esplodere il caso a livello nazionale: “Vogliamo tutte le garanzie per la tutela della salute dei cittadini”, ha fatto sapere il titolare di Palazzo d’Orleans, sede della presidenza regionale. Una decisione presa senza avvertire il Presidente del Consiglio Mario Monti, in piena adesione con quello spirito “rivoluzionario” che, a detta dello stesso Crocetta, dovrebbe contraddistinguere la sua azione amministrativa.
La questione stavolta è davvero seria. Se non è esplosa la “crisi diplomatica”, poco ci manca. Infatti, l’ambasciata americana a Roma ha espresso immediatamente il proprio dissenso. Con linguaggio asciutto, il governo Obama ha fatto arrivare un monito lapidario: “L’Italia trarrà un beneficio dal Muos”. Una tirata d’orecchio che non ammette fraintendimenti: un salto nel passato che rammenta le logiche dello scontro glaciale tra Usa e Urss.
La storia delle proteste anti Muos non nasce però oggi. I dissapori contro l’installazione delle mega antenne vengono da lontano. Un fronte assolutamente vario e popolare, ma nella sua dialettica trasversale. Il comitato “No Muos”, vicino all’area della sinistra antagonista, è infatti nato già nel febbraio del 2009. Ma l’ultima iniziativa in ordine di tempo è soltanto di pochi giorni fa. Nella notte tra giovedì e venerdì, infatti, gli aderenti al “No Muos” hanno tentato di bloccare quattro camion e due gru, scortati dalle forze dell’ordine, diretti a Niscemi per i lavori di costruzione delle antenne. Stando alla testimonianza degli attivisti, a margine dei blocchi ci sarebbero stati dei tafferugli con i militari dell’Arma dei Carabinieri. Ma a prendere parte al fronte delle proteste ci sono pure gli attivisti dell’area non-conforme che nel settembre del 2012 ha fondato il comitato TerraNostra, sigla che riunisce attorno a sé alcune realtà del panorama identitario siciliano. Fra queste lo Spazio Libero Cervantes di Catania, la sezione palermitana di CasaPound, la Tana dei lupi di Vittoria, ma anche la Giovane Italia, l’organizzazione giovanile del Pdl. Convergenza che di per sé rappresenta già una novità politica a destra, luogo politico dove l’opportunità di “fare rete” ha suscitato sempre parecchi distinguo.
Esiste pure una notizia nella notizia. Infatti, è a margine della giornata di mobilitazione indetta contro il Muos nella città di Niscemi per giorno 5 di ottobre dello scorso anno, che sarebbe esploso un piccolo “giallo”. A rendersene protagonista è la Questura di Caltanissetta, che, a poche ore dal corteo cittadino, ha fatto recapitare un provvedimento di “diffida” ai responsabili del comitato TerraNostra” per presunti motivi di “ordine pubblico”. Iniziativa che ha suscitato uno vasto fronte di polemiche. In primo luogo quelle degli aderenti al Comitato, che si sono dati appuntamento a Caltanissetta, in contemporanea alla manifestazione di Niscemi, per protestare contro l’atto a firma del Questore nisseno. Una iniziativa choc che ha visto gli attivisti di Terra Nostra sfilare imbavagliati lungo le vie del centro di Caltanissetta, per denunciare quella che – ha detto loro- ha avuto tutto il sapore di un “provvedimento liberticida”.
In difesa del Comitato è arrivata pure l’iniziativa del parlamentare Pdl Basilio Catanoso, che ha presentato alla Camera dei Deputati una interrogazione a risposta scritta al Ministro dell’Interno Cancellieri, per verificare se dietro all’iniziativa del Questore nisseno sia ravvisabile una qualche “violazione dell’articolo 17 della Costituzione italiana”, articolo dove viene sancito a chiare lettere il diritto inalienabile per tutti i “cittadini di riunirsi pacificamente e senz’armi”.
 di Fernando M. Adonia (barbadillo.it)

lunedì 22 aprile 2013

Verso le mete infallibili..


MILAZZO:Gli sport senza spettatori



Aldilà della provocazione, fortunatamente  ogni sport a Milazzo vive di un seguito numeroso.

Ma di questo passo, potremmo vedere qualche società sportiva impossibilitata a sostenere ulteriori campionati, dilettantistici o professionistici che siano. Queste righe non vogliono allarmare inutilmente, ma vogliono semplicemente informare dando spazio a chi non è stato ascoltato o ancor peggio ha ricevuto promesse e nient’altro.
Le ultime tasse comunali non danno libertà alle società di poter investire sui loro vivai giovanili.

Se una società sportiva volesse  utilizzare il manto erboso del Grotta Polifemo dovrebbe pagare 40 euro più 7 euro per ogni atleta. Nonostante ciò,la manutenzione del manto erboso dovrà essere gestita dalle società che usufruiscono dello stadio.
Tutti gli altri campi da gioco, invece, avranno una tassa fissa di 3 euro per atleta e di 25 euro per società. E qui sorge spontanea una domanda. Come si può chiedere la seguente tassa se fino ad oggi quasi tutte le spese dei servizi (persino il custode) sono sempre state a carico delle società? Come può un’amministrazione che nemmeno garantisce l’illuminazione pubblica determinare una simile richiesta?

Le Aquile del Tirreno è la squadra di rugby di Barcellona/Milazzo, primo in classifica indiscusso nel campionato di serie C che si appresta ad affrontare la finale per fare il salto di categoria. Nel mese di Novembre ai ragazzi è stato negato il normale svolgimento dell’allenamento e dopo l’invasione pacifica di una delegazione della squadra seniores, del settore giovanile e del minirugby all’interno di una seduta del Consiglio comunale, nella quale chiedevano la completa gestione del “Fussazzu”, venivano rimbalzati con promesse non ancora mantenute. Il campionato continua e di conseguenza le spese costringono la squadra ad autofinanziarsi, creando uno spazio all’interno della struttura per far accomodare i sempre più numerosi spettatori (la tribuna è inagibile).

Situazione paradossale la  vive la pallavolo milazzese, un tempo punta di diamante dello sport cittadino. Per usufruire del Palasport si dovrà pagare 7 euro per ogni atleta e 40 euro da parte della società. Ma oltre il danno, anche la beffa. Al palasport non è stata concessa l’agibilità e quindi ogni partita si svolge senza pubblico. Un tempo gli spalti del PalaTukery erano gremiti per assistere alle imprese della C.S.I. del professor Pippo Maio e adesso nessuno può più seguire le gare.

La gente nonostante questo non ha intenzione di mollare.In questi giorni si è costituito un comitato cittadino spontaneo, che già da subito si è mobilitato per raccogliere più firme possibili tentando di tener in vita lo sport agonistico.
Sperando che l’amministrazione comunale non rimanga indifferente,ancora una volta,d’innanzi la passione della cittadinanza e la voglia di riscatto degli sportivi milazzesi.
dal primo numero di InformAzione

mercoledì 17 aprile 2013

TRAGEDIA MILAZZESE: ATTO TERZO


Dopo il dissesto e la sospensione del consiglio comunale ecco la nomina degli assessori  mancanti


Che cosa hanno in comune un professore di Liceo, un florovivaista e un non precisato imprenditore turistico? Se fossimo in teatro potremmo pensare ad una trama Pirandelliana, dove tre personaggi apparentemente non collegati si ritrovano improvvisamente “costretti” a stare insieme. Purtroppo il palcoscenico di questa tragicomica situazione è lo sventurato Comune di Milazzo e a differenza dei classici di Pirandello i nostri tre individui hanno un filo conduttore comune e tristemente marcato, quel filo conduttore che, giorno dopo giorno sta trascinando la nostra città in buco nero dal quale faticheremo non poco ad uscire.

Nel sabato Pasquale un ispirato Carmelo Pino, rimarcando l'importanza delle scelte fatte e ribadendo la competenza delle persone preposte agli incarichi mancanti, ha presentato alla cittadinanza la sua ultima “creazione” ovvero la nomina di Dario Russo, Gaetano Nanì e Salvatore Gitto agli assessorati rimasti vacanti. Tra lo sgomento generale rimangono solo dei fedelissimi dei F.lli Pino a  lodare la decisione non capendo, o peggio ancora non volendo capire che questo è l'ennesimo “stupro” perpetuato ai danni della nostra città. Una città che versa in condizioni economiche deficitarie non può e non vuole vedersi gestita da questo ennesimo manipolo di improponibili, nominati da un improponibile Sindaco che decide di accerchiarsi di amici o comunque soggetti politicamente inesistenti tra la gente, ma che da oggi avranno il ruolo istituzionale tanto agognato...Gaetano Nanì lo conosciamo,  già esperto comunale a titolo gratuito e soprattutto grande fedelissimo del sindaco, sarà il delegato alle attività produttive.

La scelta di Salvatore Gitto potrebbe sembrare forse la meno peggiore: florovivaista della piana e facente parte del ex gruppo consiliare eletto nelle liste di Pino avrà la delega all'ambiente e all'igiene urbana.Dulcis in fundo arriviamo alla nomina del prof. Dario Russo, personaggio molto conosciuto a Milazzo: docente di storia e filosofia del Liceo Scientifico anche lui come Nanì già esperto a titolo gratuito della giunta Pino ma soprattutto rappresentante di quella sinistra retrograda, insignificante e complice della peggior amministrazione comunale della Storia di Milazzo. La nomina del prof. Russo non soltanto rivela come Carmelo Pino pensi soltanto ai suoi interessi e non ai problemi della città, ma è soprattutto  la dimostrazione inequivocabile di come quella sinistra, fallita e mai voluta dai milazzesi, si trovi ancora una volta all'interno del “Palazzo” senza alcun valore meritocratico e soprattutto senza alcun riscontro popolare/elettorale.

Assistiamo sconcertati all'ennesima deriva a sinistra di questa sciagurata giunta, rimarcata anche dalla  nomina a vice-sindaco del già assessore factotum prof.ssa Scolaro, esponente tristemente nota del Partito Democratico che a Milazzo verrà ricordata come colei che ha ucciso la cultura con la chiusura del Teatro Trifiletti. E tra nomine improponibili e conferme inconfermabili nessuno dalla amministrazione riesce ad accorgersi dei problemi dei cittadini, forzati a chiudere le loro attività, impossibilitati a partecipare attivamente al risveglio culturale e turistico della città, costretti inermi ad assistere allo scempio dell'ente da spettatori purtroppo paganti.

Il tragicomico palcoscenico milazzese si trova cosi rimpolpato da nuovi “attori” pronti a diventare protagonisti assoluti del dramma che affligge Milazzo dalla ormai lontana estate del 2010. Il teatro però ci insegna che quando la rappresentazione diventa assurda ed insopportabile, il pubblico, fino a quel momento straziato ed inerme, esprime il suo dissenso in maniera spesso forte e colorita. E' questo che la cittadinanza milazzese dovrà fare “armandosi” metaforicamente di pomodori ed ortaggi vari. Da pubblico fin troppo pagante ed accondiscendente, dovrà trasformarsi attivamente in pubblico critico pronto finalmente a porre fine alla grande tragedia chiamata amministrazione Pino, prima che questi registi incapaci ed incompetenti insieme a questi scadenti attori riescano a concludere la loro triste e folle rappresentazione che terminerà, da buon dramma che si rispetti, con la morte del protagonista principale...la nostra amata Milazzo.

dal primo numero di InformAzione
                                                              

martedì 16 aprile 2013

Sono passati 40 anni dal rogo di Primavalle, ma alla fine nessuno ha pagato...


È facile e comodo quarant’anni dopo esecrare un crimine come quello di Primavalle. Era allora che si doveva dire la verità, rendere giustizia alle vittime e punire i colpevoli, ma i giornali non la dissero, e vedremo il perché. Sono passati quarant’anni dal rogo di Primavalle, quello in cui un bambino di dieci anni, Stefano, e un giovane di 22, Virgilio, persero la vita nell’incendio che distrusse la loro casa dove abitavano con i genitori e con i fratelli, rimasti tutti feriti in modo più o meno grave. Militanti di Potere Operaio, formazione extraparlamentare dell’epoca, appiccarono il fuoco all’appartamento popolare della famiglia Mattei, in via Bernardo da Bibbiena 33, lotto 15, scala D, interno 5, con della benzina, due litri, secondo le perizie. Gli assassini si chiamano Achille Lollo, Manlio Clavo e Marino Grillo, e per loro uccidere un fascista non era reato, anzi, un’operazione meritoria. Come sembrò anche in seguito a esponenti della sinistra italiana che per loro attivarono una rete di solidarietà formidabile, che giunse anche alla pubblicazione di un libretto, Primavalle, incendio a porte chiuse, in cui si sosteneva l’innocenza dei tre. Libretto redatto da un gruppo di giornalisti “democratici”. 

Dario Fo e Franca Rame si adoperarono per attivare “Soccorso rosso” in favore di chi aveva causato la morte di un bambino e di un giovane, e con loro altri autorevoli esponenti della sinistra, come Umberto Terracini, presidente dell’assemblea costituente, che oltre a Lollo difese anche Marini, l’omicida di Carlo Falvella, e Panzieri, condannato per l’assassinio di Mantakas. Ma non solo lui. Il quotidiano Lotta Continua il giorno dopo titolò: «La provocazione fascista oltre ogni limite: è arrivata al punto di assassinare i suoi figli». Sì, perché la tesi di tutte le sinistre e non solo delle sinistre fu quella di una faida interna tra fascisti, che per qualche settimana resse, per poi essere frantumata dalle perizie, dai fatti, dall’opinione pubblica, dalla magistratura e, nel 2005, dallo stesso Lollo che, dal Brasile, ammise che quella notte lui c’era e non da solo. Solo il Movimento Sociale e i suoi dirigenti e militanti conoscevano da tempo la verità, da sempre, e tentarono con ogni mezzo di diffonderla, vanamente; ma molti italiani neanche sapevano cosa fosse successo quella notte di 40 anni fa nel popolare quartiere di Primavalle, perché all’intera vicenda fu messa per decenni una sordina mediatica, i morti erano di serie B, figli di un dio minore, di loro non si doveva parlare e, soprattutto, gli assassini non erano tali. Non è successo solo per i morti di Primavalle, ma per tutti i morti “fascisti”, ignorati dall’opinione pubblica e dai mass media “democratici”.

Mario Mattei, il capofamiglia, era il segretario della sezione missina di Primavalle, la “Giarabub”, e il figlio maggiore, Virgilio, morto nel rogo, militava nei “Volontari nazionali”, formazione del Msi. Era una famiglia proletaria, di un quartiere popolare, ma era fascista, e questo l’intelleghentzia comunista non lo poteva tollerare: non poteva tollerare che il Msi a Primavalle non solo esistesse, ma che avesse anche un certo seguito. E così assalti e attentati erano quotidiani, come nelle sezioni dei Msi della vicina Monte Mario, via Assarotti, e in tutti gli altri quartieri popolari dove il Msi è stato sempre presente con rappresentanze significative: dal Prenestino a Portonaccio, da Torre Maura a Tor Pignattara, da Centocelle al Quadraro e in molti altri quartieri. E ovunque la sinistra tentava di cacciarli con le bombe, col fuoco, con aggressioni quotidiane, che talvolta costarono la vita ai giovani di destra. Nell’orazione funebre nella chiesa dei Sette Santo Fondatori il segretario del Msi Giorgio Almirante, che ebbe il non facile compito di gestire un movimento ostracizzato da tutti, perseguitato, disprezzato, odiato, disse tra l’altro che «questo crimine è talmente efferato che, pur conoscendone la precis amatrice politica, stentiamo a definirlo politico. Il teppismo, la delinquenza, non hanno colore», disse, ma poi, abbandonando la cautela con la quale cercò sempre di non scatenare una nuova guerra civile, aggiunse: «Il teppismo, no. La l’odio, l’odio sì. L’odio ha un solo colore, il colore rosso». E non sembri semplice retorica, perché questo sfogo in realtà apre uno squarcio sul clima di ossessiva intolleranza che caratterizzava quegli anni. La questione gira sempre intorno a quella frase, uscita direttamente dalla guerra civile italiana, «uccidere un fascista non è reato».

Il rogo era certamente annunciato, perché Potere Operaio aveva deciso una vasta offensiva contro il Msi di Primavalle: le autovetture e le moto dei “fascisti” avrebbero dovuto essere incendiate, così come gli esercizi commerciali di esponenti della destra nonché attentati con la benzina nelle loro abitazioni. Nei giorni precedenti Lollo, che abitava in zona e che si distinse anche come caporione del liceo Castelnuovo, vera palestra di demagogia e di violenza, si rivolse più volte ad Aldo Speranza, netturbino repubblicano amico dei Mattei, per sapere i nomi e gli indirizzi dei “fascisti” del quartiere per poi poterli colpire. In una occasione Speranza fu condotto da Lollo in un appartamento di Trastevere, “covo” dei radical-chic di Potop, abitato da Marino Clavo ma di proprietà di Diana Perrone, miliardaria nipote del proprietario del Messaggero, giornale che guarda caso sin dai primi giorni propugnò la pista interna per il rogo, poi smentita dai fatti e in tempi recenti dallo stesso Lollo, seguito in questa mistificazione della verità da tutti i quotidiani, anche quelli che oggi condannano il rogo di Primavalle perché costretti dalla storia. In questo appartamento poi furono trovati sia il nastro adesivo sia i fogli a quadretti usati per la rivendicazione. E in questo appartamento Lollo e gli altri mostrarono a Speranza l’esplosivo con cui fu fatta esplodere la sezione del Msi. E il 7 aprile effettivamente fu data alle fiamme la macchina del missino Marcello Schiaoncin in via Pietro Bembo, l’11 aprile una bomba devastava la sezione di via Domenico Svampa, atti rivendicati dalla “Brigata Tanas”. Fina alla mattina del 16 aprile con la strage a casa Mattei, anche questo rivendicato dalla Brigata Tanas. 

A fine anno l’istruttoria si concluse con il rinvio giudizio per i reati di strage, incendio doloso, pubblica intimidazione, fabbricazione, detenzione e porto di congegni esplosivi gli esponenti di Potere Operaio Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo, questi ultimi due latitanti. La sentenza è stata emessa dal giudice istruttore Francesco Amato su richiesta del pubblico ministero Domenico Sica. I tre furono condannati a 18 anni per omicidio preterintenzionale, ma Clavo e Grillo non hanno scontato neanche un giorno. Ma la grancassa antifascista ha sempre surrettiziamente continuato a propalare la tesi della faida interna, come poi fu fatto anche per altri omicidi di ragazzi, a cominciare da quello di Mantakas. Se Lollo nel 2005 non avesse confessato, per gli antifascisti di professione sarebbe ancora una faida, ed è su questo che bisogna riflettere: su come la macchina della menzogna gestita dalla sinistra ha modificato in questi anni la storia italiana. E nei casi in cui un Lollo non ha confessato, è rimasta solo la menzogna…
di Antonio Pannullo (Secolo d'Italia)

lunedì 15 aprile 2013

Ci vorrebbe Gentile per ricostruire l'Italia


Raro esempio di filosofo che trasferì il pensiero nella prassi di governo, raccolse il meglio della nostra cultura e gli diede forma. Proprio ciò che oggi ci manca

Di Giovanni Gentile ricorre oggi l'anniversario del suo assassinio in Firenze, nel 1944. Pensare l'Italia è il titolo di un saggio con un'antologia gentiliana che ho curato per gli eredi Gentile, che vedrà la luce quest'anno.

Ma è davvero il senso della filosofia civile gentiliana. Gentile pensò l'Italia e nel pensiero trovò l'anima, il destino e la missione d'Italia e la pensò prima dell'avvento del fascismo. Gentile cercò di tracciare quasi un'escatologia italiana che corre parallela alla storia d'Italia, come una storia della redenzione spirituale d'Italia. Uso l'espressione escatologia nel suo senso pieno e religioso, perché in Gentile vi fu l'ultimo poderoso tentativo di pensare l'Italia mediante una teologia civile, nel solco di Vico, una riforma religiosa rivolta alla politica e una religione civile legata all'amor patrio, allo spiritualismo politico e al pensiero nazionale. I precursori del pensiero unitario, Gentile li chiama infatti profeti, a partire da Dante; il Risorgimento lo vede come la Resurrezione dell'Italia, attuare l'Italia è per lui una missione fondata sulla religione della patria e sul suo primato morale e civile, ma anche culturale. Mazzini e Gioberti rivivono nel pensiero gentiliano come dioscuri di un'Italia pensata col cuore.

Secondo Gentile è Dante, «pervaso da una filosofia di gran lunga superiore» ai poeti classici, il precursore del pensiero italiano e dello Stato unitario; è lui «padre nostro, primo degli italiani», scrive Gentile nel suo commento al canto di Sordello. Prima che poeta, Dante è filosofo, devoto a quella madonna filosofia «figlia d'Iddio, regina di tutto, nobilissima e bellissima filosofia», come scrive Gentile citando Dante in una prolusione del 1907 all'Università di Palermo. Per realizzare la sua impresa Gentile convoca nella sua opera gli stati generali dell'Italia antica e moderna - filosofi, artisti, poeti ed eroi - e ne rintraccia il pensiero vivente, come già lo chiamava Mazzini; un pensiero vivente e vibrante nel suo eterno, incessante divenire. Impresa concepibile dentro la sua filosofia dell'Attualismo dove il pensiero ravviva il passato e lo pone in atto.

Il 10 febbraio del 1921 Piero Gobetti organizzò una conferenza di Gentile a Torino, in un ciclo di incontri con Croce, Salvemini e Prezzolini. Scrisse per l'occasione Gobetti su Ordine nuovo: «Questo insegnamento di vitalità intensa, d'operosità necessaria, di serenità, d'umanità scaturisce dall'opera di G. Gentile. Egli ha fatto scendere la filosofia dalle astruserie professorali nella concretezza della vita. È giusto che in lui gl'individui riconoscano un maestro di moralità, e tutta una nuova generazione s'ispiri al suo pensiero per rinnovarsi». Due anni dopo, facendo I miei conti con l'idealismo attuale, Gobetti si rimangiò quel giudizio, a suo stesso dire compromettente, dicendo che voleva solo propagandare la conferenza. Ma non si possono scrivere quelle cose e poi attribuirle a un'esigenza promozionale... Quale dei due Gobetti era sincero? Nel frattempo Gentile era diventato Ministro della pubblica istruzione con Mussolini.

Nessun filosofo prima di Gentile ha avuto la possibilità di trasferire la sua teoria nella prassi, il pensiero nell'azione di governo, disseminarlo nella scuola, nell'università, nella cultura e nelle istituzioni del suo tempo. Salvo brevi esperienze ministeriali di De Sanctis, Bonghi e Croce, nessun intellettuale ebbe la possibilità di incidere nella storia e nella cultura italiana come Gentile, né prima né dopo di lui. E Gentile incise, ampiamente, profondamente, efficacemente. Raro caso di filosofo al potere che realmente produsse effetti concreti, nonostante il regime autocratico (o proprio per questo?). Delle sue eredità ancora si parla. Come in un corpo coerente e proteso all'unità, l'impianto teorico dell'Attualismo si annoda alla filosofia civile, anzi si unisce nel nome di quella filosofia dell'identità che è la sua impronta principale.

C'è in Gentile lo sforzo di dar compimento consapevole al motto post-risorgimentale di fare gli italiani dopo aver fatto l'Italia e di esprimere un pensiero italiano dopo aver dato un corpo allo Stato unitario. Quasi una visione organicistica del pensiero italiano che compone in unità le sue sparse membra, come è accaduto col processo storico che ha riunito le sparse membra locali nel corpo intero dello Stato. Gentile pensa l'Italia attraverso la sua tradizione, i suoi poeti che considera anche filosofi, da Dante a Leopardi, la circolazione del pensiero nella filosofia italiana e il formarsi dell'idealismo, la costruzione concettuale del Risorgimento come categoria filosofica ed etica, la filosofia della guerra e lo spiritualismo politico, la centralità della scuola e del processo educativo, la formazione di una coscienza civile nazionale, il rapporto con la religione, l'umanesimo del lavoro e la visione comunitaria. Nel pensiero italiano Gentile convoglia la storia, l'arte e la vita spirituale della nazione.

Premessa inevitabile, anzi precondizione assoluta, del suo pensiero filosofico e civile, è il suo carattere, la sua indole personale: quella specie di fiducia nella storia, nella cultura e negli esiti della vita, quell'ardore a cimentarsi, di tempra rinascimentale e risorgimentale, quel confidare nella forza costruttiva e audace del pensiero. Gentile esplicitò nella sua opera teoretica maggiore una vera professione di ottimismo filosofico. «Una coerente concezione religiosa del mondo dev'essere ottimistica, senza negare il dolore e il male e l'errore», scrive nella Teoria generale dello Spirito come atto puro. E in tutte le sue pagine si respira questa fiducia nel pensiero ardente che innalza l'uomo attraverso le opere e lo fa eterno. L'ottimismo gentiliano non si arresta neanche davanti al padre del pessimismo, Leopardi, che Gentile prima vede come contraltare tragico all'idealismo, ma poi passando da «l'astratta obbiettività» alla «vita reale», Gentile ravvisa un effetto opposto al suo pessimismo, al punto da concludere spingendosi oltre De Sanctis: «La filosofia leopardiana si converte in una delle più vigorose forme di ottimismo altamente umano».

Ecco di nuovo quella fiducia baldanzosa e gioviale nell'affrontare la vita e il pensiero, «quella sorta d'ingenuità fanciullesca ed eroica» di cui parlò poi suo figlio Benedetto. Non solo della sua potenza di pensiero, ma anche della sua fiducia eroica e fattiva nella vita e nelle opere avrebbe bisogno oggi l'Italia smorta per risorgere. E invece, Gentile resta ancora un frutto proibito per l'Italia presente; che è poi un'Italia sempre più assente.

di Marcello Veneziani (ilgiornale.it)

sabato 13 aprile 2013

Quando l'informazione viene dalla militanza: il lancio del nuovo giornale di Casaggi Milazzo


  • Il giornalismo come frontiera della militanza. Da Tatarella a Veneziani, il mito dell'informazione scorretta é correttamente definito. Casaggi presenta a Milazzo e ai milazzesi la sua ultima fatica canonica: InformAzione, il giornale gratuito della comunità militante. Cultura, politica, militanza. Territorio, attualità, approfondimento. La sciarpa che ha avvolto questa nuova avventura è fatta di carta, quella su cui gli articoli da noi disegnati, hanno fatto bella mostra nella via G.Medici dalle 17 alle 20. 

    Tanti curiosi, a volte affezionati, amici e conoscenti o semplici cittadini, si sono avvicinati o lasciati avvicinare esprimendo solidarietà per questa manifestazione di pensiero nel telos vacante creato dall'informazione milazzese con la i minuscola. Questo numero zero, partorito nella nostra sede di via c.colombo 7, è il primo mattone di un muro lungo 3 anni.

    Presto, ma non troppo, il secondo numero come promesso con altri inserti, speciali, interviste esclusive e approfondimenti tematici. Il giornale, nonostante la timida ed astratta opposizione dei faziosi retorici appartenenti alla leva rossa, sarà il custode primario del cammino della destra milazzese, pathos permettendo, chi vivrà vedrà... Fuori dagli schemi.












giovedì 11 aprile 2013

"Arriva InformAzione, il nuovo modo di informare la gente"



Questo sabato (13/04) in via Giacomo Medici,in prossimità della Chiesa di San Giacomo, verrà distribuito gratuitamente il nuovo bollettino d'informazione della nostra comunità militante. Il primo numero del giornalino chiamato "InformAzione"  sarà presentato ai cittadini nel classico formato cartaceo e tratterà le tematiche politiche annesse a Milazzo, ma anche quelle culturali e di attualità.

InformAzione si rivolge a tutti i cittadini che vogliono essere informati dal basso, da chi fa la militanza per strada e nelle piazze, ed ha una panoramica ben diversa da chi alloca le stanze del potere.

Nonostante le critiche e i comunicati dei movimenti giovanili di sinistra,con i quali mettono in risalto la loro pochezza culturale e intellettuale,tirando fuori dal cassetto la “storia del fascista” (sempre di grande moda),saremo in strada a combattere per la nostra idea,di sociale,di militanza,di destra.

Per informare la gente che una reale alternativa c’è,e non sono loro,sempre più impegnati a rimpinguare le file dell’amministrazione Pino.


 L'appuntamento é questo sabato dalle 17:00 alle 20:00

mercoledì 10 aprile 2013

Skoll, il rock identitario e la musica alternativa


Abbiamo incontrato Skoll, artista milanese (militante) della musica alternativa di destra che oscilla tra il cantautorato e il rock aggressivo. 
Come nasce la tua carriera artistica?
Anche se non credo che un percorso artistico possa nascere in alcun modo da un progetto pianificato, fin dal principio (circa 13 anni fa) cominciai a fare musica con l’obiettivo di diffondere un mondo fatto di valori, storie, ideali che veniva relegato, sbrigativamente e troppo superficialmente, nelle zone d’ombra della cultura di questo Paese.
Non si trattava, appunto, di una precisa volontà o di un piano teorico, piuttosto di una naturale e inevitabile forma di espressione nata da un profondo sentire. Un mondo al quale appartenevo, umano, politico e musicale, che aveva tanto da raccontare ma che soffriva indiscutibilmente sul piano formale: la mia idea era quella di proporre una musica che veicolasse tematiche e messaggi diversi senza cadere nella trappola mortale della forma canzone approssimativa, qualitativamente improvvisata, inadeguata e fuori dal tempo. In un certo senso, imposi a me stesso, nel percorso artistico che stavo iniziando, di non pensare di rivolgermi a una realtà sommersa, underground che avrebbe accettato, per generosità e forte senso di appartenenza comunitaria, anche una proposta musicale più semplice. L’impegno e la volontà di proporre qualcosa di più articolato, che avesse gli strumenti per competere tranquillamente con quello che succedeva nel resto del mondo cantautoriale italiano, era un atto dovuto proprio verso quel mondo, il mio mondo. Un fatto di appartenenza, non una cosa di poco conto. Alla fine, così, ho potuto anche proporre una musica che, pur restando sempre piuttosto sorda al canto delle sirene e lontana dalle strade conformi già battute da tanti, ha sempre cercato di andare oltre i muri e rivolgersi a tutti. In questi 13 anni ho fatto più di 200 concerti (anche in Canada, Spagna, Germania, Francia, Olanda, Belgio) e 7 dischi prodotti dall’etichetta indipendente RTP – Perimetro (una realtà che ha contribuito non poco a diffondere la cultura non conforme).
Come si vive da artista di Area? Cosa vuol dire essere di destra nel mondo della musica?
Alla musica italiana, per un solido retaggio culturale di questo Paese, non è permesso percorrere strade e tematiche nuove. La cultura popolare italiana (musica, televisione, cinema e così via), è un sistema di blocco esercitato a quasi tutti i livelli da rimasugli del ’68. I gangli vitali del sistema della cultura popolare, produttori, distributori, discografici, registi, uomini di spettacolo e giornalisti del settore, vengono in gran parte da quella esperienza. Anche se, evidentemente, da parte di questa generazione di riciclati e immortali non ci sono più motivazioni forti a proseguire esplicite lotte ideali (ormai diluite da litrate di champagne, pacchi di denaro e serate passate in salotti radical- chic a teorizzare sui conflitti di classe), esercitare un blocco culturale non costa fatica, segue la direzione del vento e autoconvince, chi lo esercita, di avere proseguito la missione politica con nuovi strumenti. Un modo, un po’ ridicolo, per pulirsi la coscienza dopo avere buttato via, nel concreto, tutto quello a cui si era giurato eterna fedeltà in gioventù. La cultura pop italiana è in una evidente situazione di stallo, del tutto impermeabile a cambiamenti e linguaggi nuovi. È naturale che per un artista di Area, etichettato come “diverso” a priori, nel solco della “tollerante” tradizione di sinistra (tutte le idee vanno bene, ma non quelle diverse dalle nostre), risulta quasi impossibile farsi conoscere passando dai canali mediatici canonici (televisione in particolare). Lo dico senza alcun piagnisteo. Non nutro alcuna ambizione musicale di tipo “professionale”. Per me, la musica non è una professione ma esclusivamente una passione… una forma di espressione che mi permette di comunicare senza filtri o imposizioni commerciali. Non sono un professionista e non scalpito per diventarlo. Chi vuole, alla fine, mi trova, trova i miei brani, trova i miei dischi. Chi non vuole, non mi ascolti. La rete, nel bene e nel male, sta spezzando molte catene e finirà per rompere il blocco esercitato dai manovratori della cultura popolare di questo Paese.
Chi ti ha ispirato particolarmente in ambito musicale?
Anche se, da un punto di vista strettamente musicale, la mia produzione si inserisce nel solco del classico rock cantautoriale italiano, amo diversi generi e mi incuriosiscono le contaminazioni. In questi anni, del resto, ho realizzato dischi con differenze di sonorità abbastanza sostanziali. Sono fermamente convinto che la musica di qualità scavalchi i confini di genere: la bella musica è bella musica e basta, sia che si tratti di leggera, metal, sinfonica, industrial… La musica italiana ha dalla sua, nella forma canzone, alcuni autori che scrivono testi estremamente interessanti. Una caratteristica difficile da trovare all’estero dove, troppo spesso, c’è una tendenza alla banalizzazione. È una questione di cultura e di lingua. Generalizzando, a causa del target commerciale, si può estendere il discorso anche ai sottoprodotti di musica pop italiani. La musica pop, infatti, si rivolge a un pubblico enorme. Per questo motivo, deve parlare un linguaggio comprensibile alle masse. Inevitabile, di conseguenza, la massificazione e la banalizzazione del linguaggio (anche musicale) oltre che l’inutilità di un’autentica espressione artistica. Per fortuna, sopravvivono eccezioni. Adoro Franco Battiato, un genio; mi piacciono molto Enrico Ruggeri e Davide Van Des Froos; mi coinvolgono molto il folk rock del musicista ceco Daniel Landa e la potenza sonora di gruppi come i Rammstein.
Il tuo rapporto con Mishima?
Anni fa, ho realizzato un concept album dedicato a Yukio Mishima e al Giappone tradizionale. Un disco rock piuttosto duro, sia nelle tematiche che nella musica, che intitolai semplicemente “Sole e acciaio”, come il titolo della più importante opera politica di Mishima. Il personale tributo a un uomo di stupefacente ricchezza culturale e di grande complessità interiore, comunemente banalizzato oltre ogni limite dopo il suicidio del 1970. In questi anni ho studiato a fondo le opere e la vita di Mishima. Ho letto tutto quello che ho potuto, ho assimilato, ho scritto molto (tra cui un capitolo del mio ultimo libro) e ho restituito anche attraverso la musica. Confinare Yukio Mishima al solo ruolo di grandissimo romanziere è un equivoco che, alimentato dal conformismo che per evidente inadeguatezza e senso di inferiorità nasconde gli aspetti politicamente scorretti dei grandi geni del passato, preclude irrimediabilmente la comprensione totale dell’artista e dell’uomo.
Recentemente, è uscito in libreria il tuo ultimo libro “Questo mondo non basta. Uomini ed eroi” (edizioni Ritter). Vuoi parlarne?
Si tratta di un libro fatto di storie, personaggi storici, riflessioni sul presente, suggestioni e racconti di famiglia che nasce prendendo spunto da alcune mie canzoni. La musica, però, in questo caso rimane sullo sfondo di un percorso articolato e di un mondo fatto di realtà, uomini e donne a me molto cari. Le mie canzoni sono state così il pretesto per racchiudere, tra le pagine di un libro, parte di questo mio mondo. Nella seconda parte del volume, invece, è stata pubblicata una mia breve biografia e discografia (accompagnata da una serie di testimonianze fotografiche dei miei concerti) scritta dalla giornalista Cristina Di Giorgi.
Hai suonato anche con Gatto Panceri? Chi suona nella tua band?
Una decina di anni fa ho suonato con Gatto Panceri a Follonica, in un concerto in piazza organizzato dal Movimento per la Vita. Sono contento di avere aperto un suo concerto perché lo considero davvero un ottimo autore. Quella sera c’era tantissima gente, circa 4000 persone, e io avevo cominciato a suonare da poco: fu una bella prova. Da molti anni, i musicisti che suonano con me sono gli stessi. In particolare, Fabio Constantinescu, alle chitarre e al basso, e Davide Picone, al pianoforte e alle tastiere. Devo molto a entrambi: Fabio, con la sua grande bravura e precisione tecnica (anche agli arrangiamenti) è un supporto fondamentale anche nel lavoro di studio; Davide, con la sua preparazione e formazione musicale, è una grande risorsa soprattutto dal vivo.
Prossimi progetti?
Stiamo lavorando al prossimo disco che uscirà in primavera. Per quanto possa sembrare strano, considerando l’aspetto identitario della mia musica, questo sarà il mio primo lavoro dedicato esclusivamente all’Italia. Ho voluto rispondere, indirettamente, a chi oggi trasmette ogni giorno un’immagine depressa e mediocre di questo Paese. L’ho fatto a modo mio: scrivendo musiche e parole. Non si tratta, però, di canzoni “contro”. Chi conosce la mia discografia sa che in tutti questi anni con la mia musica ho sempre proposto alternative positive, modelli, esempi. In un momento di grande difficoltà, con un governo non votato da nessuno che sta devastando l’economia reale dall’alto di teorie economiche impregnate di una chiara ideologia e di teoremi lontani anni luce dalla realtà, ho sentito il bisogno di mostrare un’Italia diversa per proporre dei percorsi alternativi. Di fronte al disastro economico degli ultimi mesi causato da chi non capisce la differenza tra economia e finanza e tra la teoria dei numeri e la pratica dell’autentico lavoro, ho scritto di italiani che hanno, loro sì, fatto il bene dell’Italia. In questo disco canterò dei ragazzi che hanno fatto il Risorgimento con slancio ideale, pensando alla bandiera e non alla politica; degli alpinisti di Ardito Desio che si sono aggrappati disperatamente alle pareti assassine del K2 per piantarci in cima un tricolore; dei leggendari soldati italiani della battaglia di Isbuscenskij; dell’originalità e genialità futurista; di Paolo Borsellino e di chi, come lui, si è sacrificato dimostrando che un solo uomo con la schiena dritta vale infinitamente di più di una moltitudine piegata a ogni tipo di compromesso, come quello tra politica e mafia. La mediocrità, anche quella di governo, non può nulla di fronte all’esempio. I numeri e le parole hanno poco valore, gli uomini restano.
di Antonio Lodetti (ilgiornale.it)
Il nuovo cd di "skoll" in uscita a metà aprlile.

lunedì 8 aprile 2013

IN ARRIVO..


FINALMENTE CI SIAMO! IN ARRIVO.. 
LA PRIMA DI Informazione Milazzo


SABATO 13 APRILE dalle 17:00 alle 20:00
Via Giacomo Medici - Milazzo.



L'INFORMAZIONE CHE NON TI ASPETTI • L'INFORMAZIONE NON CONFORME • L'INFORMAZIONE IDENTITARIA• 

distribuzione gratuita del bollettino d'informAzione della comunità militante!


giovedì 4 aprile 2013

Carbone bagnato.L’egopatia di Rosario Crocetta che vuole rifare l’Italia con la Sicilia che non ci sta più


Cominciamo da un’inversione. Prima il sottotitolo: “Dalla Sicilia che vorrei, all’Italia che verrà”. Dopo di che, il titolo: “E io non ci sto”. Nientemeno un libro di Rosario Crocetta, editore Longanesi, che con l’egopatia esibita già in copertina non sta facendo il verso a un Antonio Ingroia, già autore di “Io so”, ma sta – sotto, sotto – rivelando tutto il suo “carbone bagnato” che è, per voi del nord, la famosa “coda di paglia”.
Fare l’Italia che verrà con la Sicilia, sinceramente, è disgrazia che non si augura a nessuno. E’ la famosa linea della palma di sciasciana metafora: quanto più spuntano ciuffi di datteri lungo le strade, tanto più ne deriva di degrado sociale, politico e culturale perché il famoso “Modello Sicilia”, il marchio da cui ne ricava lustro e applausi Crocetta, il governatore assiso a Palermo, è tutto nella sua testa. E nella sua furbizia.
Fare l’Italia con la Sicilia che vorrebbe Crocetta, poi, è presunzione. Ed è qui che il carbone comincia a bagnarsi perché se il famoso “Modello” è quello di abolire le province, le famose nove costosissime mele di Sicilia adesso diventate trentatré consorzi altrettanto salati nella moltiplicazione di sedi e di “commissari nominati ad acta” (come neppure il peggiore dei pupari clientelari osava immaginare), il carbone già gronda d’acquazzina, se si pensa che il famoso “Modello” partì con la decisione di mettere in giunta Antonio Zichichi e Franco Battiato.
Meritatamente fatti assessori, scienziato e musicista sono stati vigliaccamente cacciati e come si fa, dunque, ad asciugare la torba grillina se poi tutta questa giostra di raggi cosmici e dervisci tourneur che girano va a concludersi con la nomina di Michela Stancheris, sua segretaria personale?
Fare il mondo con la Sicilia, questo vogliono fare, perché qui c’è tutto lo “stupor mundi” finito nelle mani di tutta una comitiva fatta di presidente e staff, alloggiata presso Castel di Tusa, dove si riguardano le performance televisive del presidente da Giletti, da Fabio Fazio, da Daria Bignardi, e compulsano oggi la prefazione al libro di Pietro Grasso. A conferma, per il ragazzo di Gela, di essere definitivamente entrato nell’esclusivo circolo dei civili, cioè nell’antimafia che conta.
Già segretaria del Crocetta, la dottoressa è stata fatta assessore per sostituire Battiato, ma – siamo maliziosi, è vero – a conferma della virtù richiesta dall’attuale giunta di governo: la presunzione. Fosse solo per questo messaggio della Stancheris a Lady Gaga: “I am working in Sicily, for the candidate as President of this region, His name is Rosario Crocetta. Why dont’t you help us?”.

Un colpo di pistola in bocca
Il “modello Sicilia” di Crocetta, si sa, si fonda sulla predilezione di scegliere assessori di primo pelo per le amministrazioni più delicate, come la studentessa Nelli Scilabra, chiamata alla “Formazione” che non è proprio una passeggiata ma un mostro burocratico da 800 milioni di euro. E se alla “Sanità” c’è Lucia Borsellino, figlia di cotanta storia, nel vortice di pensate risolte da Crocetta al ritmo di due conferenze stampa al giorno, una garanzia di continuità c’è. Ed è tutta nella regia sottotraccia, quella che Giuseppe Lumia, notabile dell’apparato Pd, assicura alla Sicilia di cui tutti ci dobbiamo accontentare già dai tempi del predecessore di Crocetta.
Ma il “Modello Sicilia”, ahinoi, il modello fatto di verità, si preannuncia con un colpo di pistola. E’ quello che si caccia in bocca Edoardo Bongiorno, titolare dell’Hotel Oriente di Lipari, disperato per dover accogliere nel suo storico albergo non più i turisti, ma solo e soltanto debiti, banche e usurai. Ed è un modello fatto di carbone tutto asciutto. Crocetta, con tutto il carico di buona fede, “non ci sta”. Non ci sta neppure la recensione in questo pezzo, la faremo dopo.
di Pietrangelo Buttafuoco
ilfoglio.it

mercoledì 3 aprile 2013

Caso Battiato: quando l’arte politica è monopolio degli artisti.

Nell’epoca dei tecnocrati, in cui va di moda la politica “dei competenti” per merito, anche gli artisti devono fare la loro parte. Capita però che talvolta si esageri tra moderatume, partitocrazia e “partiti di testa”.
L’arte di fare politica è diventata la politica di fare arte. E non è una novità. In tempi di crisi, si schieravano i letterati in prima linea. Lo sapeva bene Lorenzo de’Medici, che ferito durante un assalto dalle truppe dei Della Rovere, dovette cedere il comando al famoso letterato Bernardo Dovizzi da Bibbiena, che ovviamente dovette ritirarsi per incapacità militare. La vicenda del Ducato di Urbino ricorda molto quella della Giunta Crocetta, cinquecento anni dopo. Il governatore siciliano, conscio della spiacevole situazione socio-economica in cui versa l’Isola, ha mandato al macello due vacche sacre come Franco Battiato, noto cantautore catanese, e il prof. Antonio Zichichi.
Nell’epoca dei tecnocrati, in cui va di moda la politica “dei competenti” per merito, anche gli artisti devono fare la loro parte. Capita però che talvolta si esageri tra moderatume, partitocrazia e “partiti di testa”. Capita che un Franco Battiato messo a suo agio durante un convegno a Bruxelles, abituato ad un certo linguaggio spesso metaforico spesso perverso, esordisca così «Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa. È una cosa inaccettabile». Secondo Battiato sarebbe meglio che «aprissero un casino». Forse avrà dimenticato per un un’ora di essere l’Assessore al Turismo della Regione punta di diamante della «villeggiatura, unica cosa che si può ancora fare» secondo un altro intellettuale catanese, Pietrangelo Buttafuoco, che aggiunge, sul caso in questione «io gli avevo persino fatto un appello affettuoso: bisogna tenersi alla larga dalla vicende siciliane».
 La lista degli “sconvolti” è lunga e trasversale, quasi come se paradossalmente, l’artista sia riuscito a mettere d’accordo tutti, repubblicani e democratici, guelfi e ghibellini: dalla Mussolini alla Boldrini, da Grasso a Grillo, dalla Fornero alla Santanchè. E Crocetta, che non avrebbe addirittura dormito la notte a suo dire, si è così potuto sbarazzare di un Assessore scomodo, spesso assenteista e forse semplicemente incompreso. Come quando si presentò senza cravatta all’Assemblea Regionale e fu rimproverato dal Presidente Ardizzone, come un comune scolaretto al primo giorno di scuola. Ma l’affaire Battiato ha ancora qualcosa di stonato. Pochi giorni prima infatti aveva esclamato “la destra non appartiene al genere umano”. Stavolta però le proteste sono rimaste evidentemente su musicassetta, perchè nessuno le ha ancora ascoltate. Certo “l’era del cinghiale bianco” aveva illuso molti destrorsi, ma evidentemente, nonostante le sue amicizie di area, Battiato è agli antipodi del “genus dei regimi” anche se, scusate l’anagramma, parla tanto come un “negus di regime”. A poco sono servite le sue chiarificazioni sul fatto che il riferimento fosse alla “prostituzione della scorsa legislatura, nello specifico, alla compravendita di deputati e senatori”. Forse avrebbe dovuto aggiungere “di centrodestra” per essere scagionato dai travaglini di turno.
In un solo colpo, il Duca di Palermo e amico dei grillini, il Presidente Crocetta, manda a casa un altro che a casa non è mai tornato: Antonio Zichichi, residente a Ginevra. Mai un solo giorno di presenza per lui a Palazzo dei Normanni ma solo tante parole. Capita anche agli artisti e ai tecnici di perdere il “centro di gravità permanente”. La lezione che il prof Battiato ha imparato questa volta, l’avrà letta tra le righe di Machiavelli, amico del Lorenzo de’Medici: in politica, l’arte è uno strumento ma non un fine.
di Santi Cautela per lintellettualedissidente.it