venerdì 27 giugno 2014

LUIGI RIZZO, L’EROE DEI MAS

Non c’è marinaio  che si rispetti che non conosca Luigi Rizzo,  l’ eroe   dei Mas, a cui  rimane  indissolubilmente  legata la  “Festa della Marina “  che  trae  origine proprio dal ricordo della straordinaria impresa  da lui  compiuta nelle acque  di Premuda   il  10 giugno 1918:

“ L’affondamento della Santo Stefano “, avvenimento da me “drammatizzato” e rappresentato  presso molte delle Associazioni dei Marinai d’Italia  salentine nei primi anni ’90 (Gallipoli, Galatina, Taviano, Nardò, etc). Il Comandante Rizzo e i suoi  uomini, (tra cui il marò  leccese Francesco Bagnato)  riuscirono, con il piccolo mitico   Mas 15 (conservato  al Museo Storico del Risorgimento di Piazza Venezia) ad affondare  la  grande corazzata "Szent Istvan ", vanto e orgoglio  della  Marina imperiale austriaca. Fu una delle più belle e ardimentose imprese che siano state compiute sul mare nel conflitto 1915-18, un’  azione leggendaria a cui s’inchinò perfino un grande e severo  marinaio come  l’ammiraglio David Beatty, comandante in capo della Great Fleet, che espresse le più vive e sentite congratulazione  a Thaon di Revel, ma  ebbe anche una notevole importanza tattica e strategica poiché  stroncò sul nascere una pericolosa incursione della flotta  austriaca   contro lo sbarramento del canale di Otranto e di fatto  ribaltò la   situazione in Mediterraneo, dove fino allora la flotta austriaca aveva avuto una chiara superiorità, lasciando all'Italia  praticamente il totale controllo dell'Adriatico, tant’è che le navi austriache non tentarono più nessuna sortita offensiva fino al giorno della resa.

Ma chi era Luigi Rizzo? E’ presto detto. Un siciliano di pelle scura, un siculo-berbero come ce ne sono tanti in Sicilia. Era un "tuareg" del mare, perché  era nato sul mare  e tutta la sua infanzia ne fu meravigliata. Storie di mare gli raccontavano il padre e il fratello maggiore, entrambi naviganti nella Marina Mercantile; storie di guerra gli raccontavano il nonno, che combatté nel 1848 con i militi di Patria Risorgente, e lo zio, che aveva seguito Garibaldi dopo lo sbarco dei Mille a Marsala. A soli otto anni, Luigi aveva già fatto le sue scelte: la sua casa sarebbe stata la nave dove si muoveva a suo agio più che su qualsiasi altro terreno. A diciotto anni, conseguito il diploma presso l'Istituto Nautico di Messina,  è già  navigante. A  23 anni è  capitano e  pilota del porto di Messina: opera il salvataggio di un piroscafo che sta navigando nella tempesta. Gli viene assegnata la sua prima medaglia d'oro, al valor civile. Altre, d'oro e d'argento, ne seguiranno al valor militare.

Entrata in guerra l'Italia, il Tenente di Vascello Rizzo si mette subito in evidenza, imponendosi rapidamente all'attenzione generale per sangue freddo, perizia marinaresca, intraprendenza e sprezzo del pericolo. Gli viene assegnato il comando della Sezione MAS di Gradoe inizia una serie di scorribande  nel golfo di Trieste presidiato dagli austriaci. Siamo sul volgere del 1917 e l'Italia versa in una situazione assai difficile e delicata: Caporetto, con il nostro esercito in rotta,  inoltre due corazzate  austriache , la  “Wien”  e la  “Budapest”  che da mesi cannoneggiano sull'Isonzo e sul Piave, sia in appoggio delle truppe imperiali, sia per mettere fuori combattimento le nostre batterie costiere di Cortellazzo. Il morale delle truppe italiane è a terra, la situazione è insostenibile. E' un momento assai delicato per le sorti della nostra guerra. Bisogna far qualcosa prima che sia troppo tardi,  bisogna eliminare l'azione assillante e insostenibile delle due corazzate austriache, che sono entrambe ormeggiate nel porto di Trieste.  In questo momento assai delicato per le sorti della guerra, l'Ammiraglio Thaon di Revel, Capo di Stato Maggiore della Marina, s'affida al "corsaro di Milazzo". Sa che Rizzo è l'unico che può riuscire nell'impresa. E Rizzo non lo delude; penetra nel porto di Trieste e riesce ad affondare la “Wien” , danneggiando , inoltre , seriamente la  “Budapest”. 

A guerra finita, Rizzo ebbe  molti onori,  celebrazioni, titoli. Venne promosso Ammiraglio, nominato Conte di Grado, a lui furono dedicate molte strade, vie, Piazze e  perfino una diga. Ma per noi italiani , che siamo uno strano popolo,  Rizzo ebbe forse il  torto di non essere morto sul campo di  battaglia,  di non essere stato rapito in cielo dagli dei,  ebbe il torto soprattutto  di  rappresentare, certo non per sua colpa,  l'emblema di un regime.  

E ciò , con il mutare dei tempi e  della fortuna ( la caduta del regime)  , il sopraggiungere della vecchiaia e delle malattie , non gli poteva essere perdonato.   Tant'è che nel 1949  è costretto  a subire un  ridicolo  processo di epurazione con l'accusa , risultata del tutto infondata,  di aver tratto profitto dal regime,  e  contestualmente  viene  abolita la festa della Marina ,  perché legata  al  suo nome ormai chiaramente declinante.  Il  vecchio  eroe  finì per essere  dimenticato  e dovette  assistere  al trionfo  dei   parolai  pavidi  ,   di coloro che  salivano  sui carri dei vincitori e sbandieravano  il tricolore   senza mai aver imbracciato un fucile,  né mosso un dito per la  Patria ; dovette assistere    al trionfo  dei  vigliacchi, dei parassiti, degli invidiosi, degli  sciacalli che  da sempre tramano nell’ombra, dei vampiri  che succhiano il sangue dei nobili e dei coraggiosi  lui,  che era un eroe purissimo, e di questo  soffrì moltissimo,  fino al punto da ammalarsi seriamente. Gli fu diagnosticato un tumore ad un polmone.  Decise di andare a Roma, dov'era Raffaele Paolucci, altro eroe della prima guerra mondiale che era diventato medico di fama europea, che, dopo averlo visitato e avergli confermato la diagnosi, gli disse: “La cosa è grave. Bisogna asportare il   polmone prima che sia troppo tardi."

Rizzo gli rispose: " Raffaè,  fai quello che devi fare:  meglio morire una volta per tutte  che questo lento e penoso morire di ogni giorno. Qualcuno mi rimprovera di non essere morto sul campo di battaglia ,  ma è proprio lì  che io  avrei preferito morire , sul mio MAS,  magari subito dopo l'affondamento della Santo Stefano, piuttosto che assistere a ciò che oggi vedo in tutte le piazze italiane…” . “Ma tu non morirai mai” , rispose Paolucci. “  Perché  tu  sei la storia della Marina  Militare e  la storia  non si può cancellare con un tratto di gomma.” Rizzo morì  solo, in silenzio. Non ebbe cedimenti, debolezze,  non emise neppure un  lamento. Morì  così , com'era vissuto, due mesi dopo aver subito l'operazione. Era  l’inizio dell'estate del 1951 ed erano passati  33 anni dalla mitica impresa di Premuda. Il profumo delle zagare si spandeva prepotente nella campagna di Milazzo e  lui, l’eroe dei Mas, aveva da poco compiuto  64 anni.

di Augusto Benemeglio 

martedì 3 giugno 2014

La capitale dei ribelli ora è terra di Assad

Un grumo grigiastro di cemento schiacciato. Poi un altro e un altro ancora. Fino in fondo alla via. Fino al cuore dell'apocalisse. Tra una schiacciata di cemento e l'altra ritagli di mura ricamati da razzi e schegge di mortaio, fossili di palazzi trasformati in angoscianti colabrodo.
Un raccapricciante panorama di distruzione dove nessuno punterebbe sulla sopravvivenza di un essere umano. Eppure qui si è combattuto per tre anni. Qui un esercito di quasi duemila ribelli circondati dai familiari e da tanti ostaggi umani ritrovatisi prigionieri della battaglia ha resistito fino ai primi di maggio. Poi le trattative, gli accordi con il governo per la fine dei combattimenti, l'evacuazione concordata dei combattenti più irriducibili e l'internamento di altri in un centro di rieducazione dove alcuni ex miliziani jihadisti sono pronti a scendere a patti con il regime.
Così ai primi di maggio si è conclusa la battaglia di Homs. Tre anni fa quello scontro accesosi nel cuore di uno dei più importanti centri commerciali della Siria sembrava il primo passo verso l'inevitabile caduta del regime di Bashar Assad. Invece è successo tutto l'opposto. A tre anni di distanza Homs, la culla dei ribelli ha messo alla porta i propri figli, ha fatto spazio ai giganteschi manifesti di Bashar Assad che tappezzano l'entrata della città vecchia e dominano queste rovine. Sono i manifesti elettorali freschi di stampa, quelli da cui il presidente lancia i suoi sawa, ovvero gli «insieme» motto di questa campagna elettorale. Sawa buoni per ogni slogan, ma che qui a Homs diventano inevitabilmente «insieme per ricostruire», «insieme per combattere i nemici». Diventano, insomma, l'inno alla vittoria di un presidente destinato a restare al proprio posto e governare per altri sette anni. In attesa del voto di domani, anche in quest'inferno qualcosa rincomincia a risvegliarsi. Per scoprirlo basta infilarsi tra gli ammassi di ruderi, seguire il richiamo di un canto e di una preghiera. All'improvviso dopo tanta, infinita distruzione, un arco, una croce, l'entrata annerita di una chiesa. Il fuoco ha divorato la palazzina della portineria, ha mandato in cenere la biblioteca, dissolto il tetto. Dentro, tra le mura di pietra, tutto sembra intatto. Fasci di luce attraversano i crateri di una volta ferita dalle bombe, illuminano le donne e gli uomini cristiani inginocchiati nella navata. Sull'altare il barbone corvino di padre Zahri Khazal intona il Padre Nostro. I fedeli alzano le mani al cielo, se le passano sul volto, ringraziano il Signore. Sono appena ritornati e d'intatto hanno trovato solo la Chiesa della Santa Cintura della Madonna, la più conosciuta fra quelle siriaco-ortodosse dell'antica cittadella.
«Guarda cos'è rimasto della mia casa, guarda cosa mi hanno lasciato quagli assassini» urla fuori dalla chiesa Nadia Khattas. È tornata tre giorni fa e ha, per la prima volta in tre anni, rimesso piede in quel suo appartamento trasformato in dormitorio ribelle. Di quel che aveva lasciato sono rimasti un letto sfondato e un materasso pulcioso. Sui muri sforacchiati dai proiettili e dilaniati dalle granate ha appeso l'immaginetta di Gesù Cristo. Tutt'attorno i pacchi di coperte, gli scatoloni di pentole rientrati con lei. Chi difficilmente tornerà è suo figlio Marwan. Lui durante l'esodo di tre anni fa non seguì la madre, ma prese la via della Turchia. Una strada battuta, già allora dalle bande dei ribelli. Da allora mamma Nadia non l'ha né visto né sentito. L'unico suo ricordo è quella foto appesa accanto a quella del Signore. Una foto che la fa piangere e addolorare.
Fuori dall'appartamento di Nadia, nel piazzale della chiesa la messa e finita e anche padre Zehri Khazal non vede l'ora di raccontare. «Fino allo scorso anno ho continuato a entrare e uscire da questa cittadella. E quando mi hanno chiesto di non farmi più vedere ho continuato a lavorare per chiudere gli accordi di riconciliazione tra governo e ribelli. Siamo stati noi religiosi cristiani a mantenere vivo il dialogo nonostante la guerra. Ma non è bastato. Questa chiesa non è stata bruciata durante i combattimenti, ma è andata in fiamme mentre siglavamo l'intesa. L'ordine, ne sono convinto, è arrivato dall'estero. La maggior parte dei combattenti di Homs non erano jihadisti stranieri. Erano gente di qua, gente con cui si poteva discutere. Quando abbiamo raggiunto l'intesa finale qualcuno ha voluto farci capire che gli accordi tra siriani qui valgono zero.
di Gian Micalessin (ilgiornale.it)