domenica 30 gennaio 2011

Irlanda del Nord: dal Bloody Sunday ai giorni nostri, in lotta per la libertà

E’ il 30 gennaio del 1972 quando a Derry, in Irlanda del Nord, durante una manifestazione civile promossa dal Nothern Ireland Civil Rights Association, i soldati britannici uccidono quattordici civili inermi, cinque dei quali colpiti alle spalle. Le urla, il terrore e gli spari esplosi vigliaccamente dal primo battaglione del reggimento di paracadutisti di sua maestà furono gli infelici protagonisti di quella giornata. La situazione nella parte dell’Irlanda occupata era tragica, molti giovani irlandesi erano detenuti nelle prigioni con pochissima possibilità di essere rinviati a giudizio o di essere rilasciati grazie ad una nuova norma varata dal Governo di Londra che permetteva l’arresto preventivo per un tempo non definito a chiunque fosse solo minimamente sospettato di essere un militante nazionalista repubblicano. I manifestanti, armati di “pericolosissimi” fazzoletti bianchi, sventolati in segno di pace, furono ripetutamente colpiti da fucili ad alta capacità, calibro 7,62. L’immagine di padre Edward Daly che soccorre una delle vittime sventolando un fazzoletto bianco è forse lo scatto più significativo di quella fredda domenica invernale. Ogni anno, a Derry, la data del 30 gennaio viene ricordata con una tradizionale marcia commemorativa che ripercorre lo stesso tragitto intrapreso dai manifestanti nel 1972, alla quale oltre a migliaia di patrioti irlandesi, partecipano delegazioni da vari paesi europei e mondiali. 


Molto probabilmente, la marcia di commemorazione di quest’anno, che partirà regolarmente da Creggan per arrivare a Bogside, potrebbe essere l’ultima. Dopo la Relazione di Lord Saville e la conseguente ammissione di colpevolezza da parte britannica, alcuni familiari delle vittime hanno proposto di celebrare una festa più che una commemorazione. Altri, invece, sottolineano che la continuazione della marcia di commemorazione sia importante per i diritti civili e i diritti umani di tutti i popoli che lottano per la propria indipendenza. Dopo trentotto anni, il 15 giugno del 2010, il Rapporto di Lord Saville, voluto da Tony Blair nel 1998, ha reso pubblica la verità e ha dato ai familiari delle vittime uno spiraglio di giustizia. Nelle 5000 pagine della relazione Saville viene dimostrato, infatti, che il massacro del Bloody Sunday fu assolutamente ingiustificato e che nessuna delle persone uccise dai soldati della Compagnia di Supporto era armata con un’arma da fuoco o una bomba di qualsiasi tipo. Inoltre, viene sottolineato che nessuno stava minacciando di provocare la morte o lesioni gravi ai soldati e in nessun caso è stato dato alcun avviso prima di aprire il fuoco. Questa indagine che ha avuto un costo di circa 200 milioni di sterline e che è durata dodici anni, è seguita alla prima inchiesta del Widgery Tribunal, dove i militari e l’autorità vennero largamente prosciolti da ogni colpa, compreso l’ex capo di gabinetto di Tony Blair, Jonathan Powell, distorcendo la realtà e nascondendo le tragiche responsabilità del paese di sua maestà. Gli avvenimenti del 30 gennaio del 1972 costrinsero inoltre molti giovani irlandesi ad una scelta tanto drammatica quanto inevitabile: rispondere con le armi, come i loro padri prima di loro, a chi, con le armi, negava loro la libertà e cercava lo sradicamento dell’identità del loro Popolo. 

Ancora oggi, nonostante una pacificazione di facciata e una informazione lobotomizzata dei mass-media di massa, in Irlanda c’è ancora chi brandisce con orgoglio il vessillo della propria identità, in fede a quello che da sempre fu il motto dell’I.R.A, “tiochfaidh àr là” – in gaelico, il nostro giorno verrà -. Tuonano forti le recenti dichiarazioni della Real I.R.A. fatte in esclusiva al Sunday Tribune all’alba del nuovo anno con le quali si annuncia una espansione delle operazioni volte a colpire le istituzioni e il personale militare britannico. Nel ricordo delle vittime del Bloody Sunday e nell’avvicinarsi al trentennale della scomparsa di Bobby Sands, modello non destinato ai più, non ci resta che prendere esempio dal popolo irlandese, quello vero, quello puro, quello ribelle, che con una tenacia d’altri tempi ancora lotta per la propria terra, per la propria gente e per la propria autodeterminazione; quello che non si è scordato di chi, con il sangue, ha lottato per vedere l’isola verde una e unita e senza padroni stranieri. Gli stessi stranieri che tutt’oggi sono esportatori di democrazia alla ruota dei loro degni cugini d’oltreoceano.
da casaggì.org

lunedì 10 gennaio 2011

Cronaca di un omicidio.ALBERTO PRESENTE

Gli anniversari degli eccidi più feroci diventavano, in quegli anni allucinanti, altrettanti regolari appuntamenti con la morte. Era già successo a Milano, con Enrico Pedenovi ucciso ad un anno dalla morte di Sergio Ramelli. Così, anche il 10 gennaio 1979, ad un anno dalla strage di via Acca Larentia, per Roma è una giornata di terrore e per i camerati un'altra giornata di lutto. Lo scenario è quello della repressione: ogni manifestazione è vietata, tutte le sezioni sono blindate e i responsabili "diffidati". La sinistra mobilitata in presidi armati contro "le provocazioni".
I giovani di destra impediti a manifestare si ritrovano in cortei spontanei che cercano di convergere su via Acca Larentia. La Questura interviene, come sempre quando si tratta di manifestazioni di destra, in maniera pesantissima. Ne nascono scontri, tafferugli, inseguimenti. Durante uno di questi uno studente del Fronte, Alberto Giaquinto, 17 anni, viene colpito alla testa da un proiettile esploso, a distanza ravvicinata, da un agente in borghese: Alessio Speranza. E qui inizia il giallo infamante che, chi ha vissuto quegli anni, ricorderà benissimo.


La sera il telegiornale della Rai enfatizza gli scontri, esattamente con la stessa energia con la quale minimizzava le violenze di sinistra, dando ampio risalto alle immagini di un'insegna della Democrazia Cristiana bruciata... Quindi riferisce che "uno degli assaltatori" della sezione DC, armato di pistola, era stato affrontato da un agente di polizia che lo aveva colpito, ovviamente per legittima difesa. Le parole del commentatore sono accompagnate da un filmato del luogo in cui Giaquinto è stato colpito e la telecamera si sofferma anche su una pistola di grosso calibro lasciata a terra. "Questa è l'arma che impugnava il missino" affermano i solerti giornalisti cui non sembra vero di poter additare al pubblico la "violenza fascista".


Ma quella non era la verità. Giaquinto non era armato e non stava assalendo nessuno. Per anni la famiglia, gli avvocati, il partito, nonostante le potenti omertà e le coperture conniventi, denunciarono i responsabili di quello che appariva un autentico omicidio. Solo al processo, alcuni anni dopo, venne fuori la verità. Si scoprì che, contrariamente a quanto affermato nei verbali, Alberto Giaquinto non era stato colpito alla fronte, bensì alla nuca, quindi mentre fuggiva e non mentre attaccava. Ma soprattutto che fine aveva fatto la famosa pistola, mostrata nel filmato del telegiornale, quella che secondo la polizia Giaquinto impugnava? Sparita. Mai esistita. In realtà era stata messa lì, a terra, da un funzionario della Digos, per far ricadere le colpe sul giovane missino.


A tale proposito vi è anche la testimonianza di un militante di Democrazia Proletaria, che assistette all'omicidio: "Poi ho sentito lo sparo ed ho visto un ragazzo a terra. Stava morendo, ma quei tipi hanno allontanato tutti i cittadini che volevano portargli soccorso; lo hanno lasciato sul selciato per più di venti minuti scosso come da brividi di freddo. Ricordo come tremasse quel corpo. Non aveva pistole né vicino né lontano da lui, quel ragazzo non aveva fatto niente per morire così!".


La vicenda si è conclusa con una mite condanna dell'agente killer e dei funzionari complici. Rimane comunque emblematica delle responsabilità degli organi dello Stato nel creare una "strategia del terrore" a senso unico, rivolta sempre e solo contro la destra, per compiacere il nuovo padrone: il PCI.


L'IDEALE,LA LOTTA,LA VOGLIA DI CAMBIARE...ERAVATE IN POCHI,ORA SIAMO LA MAGGIORANZA DEGLI ITALIANI.


giovedì 6 gennaio 2011

VIDEO ACCA LARENTIA

ONORE AI CADUTI DI "ACCA LARENTIA"

La sera del 7 Gennaio 1978 un commando di terroristi rossi spara contro un gruppo di militanti del Fronte della Gioventù davanti la sezione del MSI di via Acca Larentia,nel quartiere Tuscolano di Roma.Franco Bigonzetti,Francesco Ciavatta,appena diciottenni,restano uccisi,mentre altri due giovani vengono feriti.Immediatamente,da tutta Roma,si precipitarono sul posto decine di militanti del FdG e del MSI.Dopo qualche ora scoppiano degli incidenti tra i missini e le forze dell'ordine,che caricano la folla: un ufficiale dei carabinieri spara ad altezza uomo colpendo Stefano Recchioni,della sezione "Colle Oppio".Morirà dopo due giorni di agonia.