venerdì 31 agosto 2012

La Droga: uno strumento di politica globale


Sulla scia della Seconda Guerra mondiale, le elite politiche statunitensi e britanniche si ritrovarono ad affrontare la minaccia del socialismo su scala globale. Nonostante le incombenti perplessità circa il futuro, decisero di reagire mobilitando risorse – pubbliche e nascoste – al fine di implementare un programma di “Roll Back” atto a invertire l’avanzata comunista mondiale.

Un vero e proprio blocco sulla strada della mobilitazione anti-comunista era rappresentato dal fatto che la maggior parte della popolazione statunitense era diffidente verso un progetto di politica estera di così ampia portata. Per lo statunitense medio il mondo era rappresentato unicamente dall’America del Nord e l’interesse per la politica estera era minimo. A causa di questo radicato isolazionismo, negli Stati Uniti, agli esordi della Guerra Fredda, spese governative ingenti nella politica estera erano fuori questione. Inoltre la CIA, principale fonte economica nel reame della politica estera americana, rappresentava, per la maggioranza degli americani nell’epoca post-bellica, un’agenzia come un’altra, mentre in realtà questa stava diventando un protagonista chiave. Pur perseguendo l’impegno di portare a termine massicce operazioni mondiali, la CIA chiese alla Casa Bianca una licenza per inserirsi in fonti di finanziamento alternativi. La droga figurava come il business più remunerativo tra quelli più noti. La natura criminale del business dettava quindi le regole del gioco. Mentre alcuni dei guadagni erano effettivamente utilizzati a supporto di operazioni sotto copertura, altri erano deviati verso l’arricchimento personale di agenti e dirigenti dell’agenzia oppure rimanevano nelle mani di gruppi finanziari con potere di lobby nell’amministrazione statunitense. Di conseguenza, la complicità nel business della droga iniziò a diffondersi verso il livello più alto dell’establishment nordamericano.

Il primo caso rappresentante le connessioni tra la CIA e il business delladroga risalgono al 1947, anno in cui Washington, preoccupato dell’ascesa del movimento comunista nella Francia post-bellica, si associò con la nota e spietata mafia corsa nella lotta contro la sinistra. Dal momento che il denaro non poteva essere riversato nella sgradevole alleanza attraverso canali ufficiali, una grossa fabbrica di eroina venne istituita a Marsiglia con l’assistenza della CIA, che alimentava l’affare. L’iniziativa imprenditoriale impiegava abitanti del posto, mentre la CIA organizzava il ciclo degli approvvigionamenti, ed il terrore fisico e psicologico contro i comunisti in Francia al fine impedì loro di raggiungere il potere.

Successivamente lo schema adottato è stato replicato nel mondo. All’inizio degli anni ’50 la CIA dirigeva un network di fabbriche di eroina nel Sud Est Asiatico e con parte dei guadagni sosteneva Chiang Kai-shek, che combatteva contro la Cina comunista. La CIA iniziò quindi a patrocinare il regime militare in Laos, rafforzando i propri legami nella regione del Triangolo d’oro comprendente Laos, Tailandia e Birmania, Paesi che hanno contribuito per il 70% della fornitura globale di oppio. La maggior parte della merce era diretta a Marsiglia e in Sicilia per il trattamento effettuato dalle fabbriche gestite dalla mafia corsa e siciliana. In Sicilia, l’associazione criminale che gestiva diverse fabbriche di droga era stata fondata da Lucky Luciano, un gangster americano nato in Italia e rideportatovi dopo la Seconda Guerra mondiale. Le informazioni non classificate non lasciano alcun dubbio circa il lavoro che Luciano svolgeva per l’intelligence americana. L’uomo è stato, senza grosse motivazioni, rilasciato dalla prigione americana nel 1946 prima di aver scontato la sua condanna; l’associazione criminale italiana che operava sotto il controllo statunitense condivideva i guadagni con i patroni americani, i quali utilizzavano il denaro per portare avanti una guerra segreta contro il partito comunista italiano.

La CIA continuò a prelevare denaro dal Triangolo d’oro durante la Guerra del Vietnam. La droga proveniente da questa regione veniva trafficata illegalmente negli Stati Uniti e distribuita a basi militari americane all’estero. Ne deriva che molti dei veterani della Guerra del Vietnam sono rimasti segnati non solo dalla guerra, ma anche dall’uso di narcotici. Le attività legate al traffico della droga portate avanti dalla CIA dovevano rimanere segrete, ma evitare di venire a conoscenza di azioni così gravi era difficile. Uno scandalo enorme scoppiò infatti negli anni ’80 coinvolgendo la banca Nugan Hand di Sydney, con filiali registrate alle isole Cayman, e il precedente direttore della CIA W. Colby avente funzione di consigliere legale. La CIA ha utilizzato lasuddetta banca per operazioni di riciclaggio di denaro sporco nella gestione dei proventi derivanti dal traffico di droga e armi in Indocina.

La geografia dei traffici di droga appoggiati dalla CIA si ampliò costantemente. Negli anni ’80, lo scambio armi per droga è stato replicato per finanziare i Contras del Nicaragua, ma dopo essere stato scoperto il Comitato delle relazioni estere del Senato americano ha dovuto aprire un’inchiesta. Una frase del rapporto del Senato sul famoso accadimento affermava: “I decisori statunitensi non erano immuni all’idea che i soldi della droga fossero una soluzione ideale al problema del finanziamento del Contras”. Questa dichiarazione, in linea generale, potrebbe dimostrare che le attività della CIA erano strettamente collegate alla politica estera americana. Il business della CIA nel narcotraffico si è diffuso senza precedenti quando gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica entrarono indirettamente in conflitto in Afghanistan. La comunità dell’intelligence americana finanziò generosamente i Mujahiddin, in parte con i soldi derivanti dal narcotraffico. Gli aerei statunitensi che consegnavano armi alla nazione rientravano carichi di eroina. Secondo giudizi indipendenti, all’epoca, circa il 50% del consumo di eroina negli Stati Uniti proveniva dall’Afghanistan.

La mafia, la CIA e George Bush di Pete Brewton (New York: S.P.I. Books, 1992) offre una serie di dati concreti che provano i legami esistenti tra il direttore della CIA e il Presidente americano G. Bush e la mafia. Lo stesso Presidente, in certe fasi della sua carriera, combinò la propria funzione pubblica con la politica e il business della droga. L’establishment americano ha concluso che ladroga oltre ad essere stata impiegata per circostanze politiche, potrebbe tornare utile nel raggiungimento di obiettivi geopolitici di lungo termine. Quando P. Brenner divenne capo di Baghdad con un’autorità che nemmeno S. Hussein si sognava, non fece alcun tentativo per innalzare una barriera contro l’ondata del narcotraffico che travolse l’Iraq. Inoltre è importate notare che il business della droga, durante il governo di S. Hussein, era un problema inesistente nel paese. “Questa è la panacea di ogni rivolta. Drogateli, rendeteli dipendenti come pesci affamati. In seguito, dopo aver preso il controllo della loro radio e televisione, storditeli con la propaganda…”. BAGHDAD: la città che non ha mai visto l’eroina, una dipendenza mortale, fino a Marzo del 2003, ora è sommersa di stupefacenti, inclusa l’eroina.

Secondo un rapporto pubblicato dal giornale “The Indipendent” di Londra, i cittadini di Baghdad si lamentavano che la droga, come l’eroina e la cocaina, erano smerciate per le strade delle metropoli irachene. “Alcune relazioni suggeriscono che il traffico di droga e armi era sostenuto dalla CIA, al fine di finanziare le sue operazioni segrete internazionali”, scrive Brenda Stardom. Nel suo rapporto, un abitante di Baghdad spiegava: “Saresti impiccato per il traffico di droga. Ma ora si può ottenere eroina, cocaina, qualsiasi cosa”. I civili tossicodipendenti non hanno nessuna volontà di resistere, mentre la trionfante Washington, che ottenne le risorse del paese, è incurante del fatto che questa gente è condannata all’estinzione.

* * * * * *

L’operazione anti-terroristica lanciata immediatamente dopo il dramma dell’11 Settembre è giunta a conclusione in Afghanistan 11 anni dopo. Washington tratta la questione come un successo, ma evitare l’opinione pubblica genera gravi effetti collaterali. L’Afghanistan è stato abbandonato in uno stato di distruzione, con interi villaggi annientati, migliaia di persone decedute, prigionieri, campi di concentramento e rifugiati in tutto il paese.
Sconfiggere il business della droga era l’obiettivo più pubblicizzato dell’intera Guerra al terrore americana, ma il risultato e gli obiettivi della campagna erano completamente diversi. Nelle mani della coalizione occidentale, l’Afghanistan si è trasformato nel principale produttore mondiale di droga. Gli USA e il business della droga si sono intrecciati sin dalla fine del secondo conflitto mondiale. Per Washington, la droga è stata a lungo un elemento strutturale della politica estera, oltre all’enorme mercato nero mondiale che alimenta l’economia “legittima” dell’Occidente… Un dollaro destinato al commercio della droga rende fino a $12.000, nella migliore delle ipotesi. Il costo dell’eroina afgano aumenta nettamente man mano che ci si sposta a nord del Paese – in Pakistan ammonta a circa $650 al chilo, $1.200 in Kyrgyzstan, raggiungendo i $70 al grammo nella città di Mosca. Un chilo di eroina equivale a 200.000 dosi e una dipendenza disperata inizia dopo 3 o 4 dosi.

Il capitale “legittimo” sarebbe temporaneamente insostenibile senza il trascinante mercato nero globale. Entrambi i componenti dell’economia mondiale sono incentrati sugli Stati Uniti. Washington è consapevole che la produzione di droga può essere messa in atto solo dopo aver soddisfatto il requisito principale, cioè che gli utili finali non creino un effetto a cascata sul produttore. Diversamente, il mercato nero si sgretolerebbe all’istante. La mafia che gestisce il traffico di droga in linea riesce ad ottenere il 90% dei ricavi dall’eroina. Accanto ad altri soggetti coinvolti nel traffico, coloro chelavorano la materia prima ricevono il 2% del guadagno, gli agricoltori di papavero il 6% e i commercianti di oppio il 2%. La produttività del mercato nero utilizza anche aree coltivate a prezzi marginali. Promuovere un conflitto armato nella zona agricola è il modo più semplice per attenuare i costi richiesti dagli agricoltori, considerando che le armi sono la merce con più alto valore equivalente. La formula è che più sanguinoso è il conflitto e più alti sono i ricavi dalle vendite di armi e droga. L’instabilità, associata al controllo del disordine, rappresenta il motore del mercato nero. I due fattori armonizzano la domanda e l’offerta, tuttavia per assottigliare i costi e non avere difficoltà occorre diffondere aspirazioni separatiste. Il comandante della situazione dovrebbe impegnarsi con gruppi etnici, clan o fazioni religiose piuttosto che con enti statali.

L’Afghanistan ha distribuito un totale di circa 50 tonnellate di oppio durante la metà degli anni ’80, ma la cifra è balzata a 600 tonnellate entro il 1990, un anno dopo il ritiro dei sovietici. Dopo aver sequestrato il 90% del territorio afgano e preso controllo della coltivazione di papavero locale, i talebani si sono scrollati di dosso la presa della CIA e del dipartimento di Stato americano, causando la perdita della quota statunitense dei circa 130 miliardi di dollari di profitto che la mafia poteva ottenere se le forniture venivano incanalate con successo in Asia centrale. Riprendere il controllo della produzione di eroina dal potere dei talebani era l’obiettivo fondamentale dietro la campagna statunitense in Afghanistan. Al momento la missione è compiuta, gran parte dell’eroina viene acquistata e trasmessa dalla CIA e dal Pentagono ad altri paesi. Dopo aver costruito le basi militari in Kyrgyzstan, Uzbekistan e Tagikistan e insediato il governo di H. Karzai, Washington ha aperto nuove rotte di approvvigionamento, eliminando i concorrenti e facendo sì che la capacità degli stabilimenti di trasformazione dell’oppio in eroina non siano mai privi di lavoro.

Al momento, l’Afghanistan rappresenta il 75% del mercato globale di eroina, l’80% del mercato europeo e il 35% del mercato statunitense. Circa il 65% del rifornimento di droga dell’Afghanistan attraversa l’Asia centrale post-sovietica e anche se questa disposizione sarà leggermente modificata, il traffico persisterà anche dopo il ritiro della coalizione occidentale dall’Afghanistan. L’alleanza criminale tra la CIA e i talebani è un fatto noto e non svanirà. Attualmente, i gruppi criminali albanesi del Kosovo possiedono un ruolo di primo piano nel commercio internazionale della droga. L’indipendenza del Kosovo dalla Serbia ha permesso agli Stati Uniti di pianificare un nuovo punto di appoggio per il business della droga, con particolare riguardo all’Europa. Oltre un milione di albanesi risiedono in Europa occidentale e la maggior parte di loro sopravvive grazie a diversi affari illegali, soprattutto quello della droga. Senza dubbio, gli Stati Uniti hanno deliberatamente presentato all’Europa un problema che d’ora in poi aumenterà.

Secondo l’agenzia anti-narcotici russa, circa 100.000 persone in tutto il mondo – più di quante uccise dall’esplosione nucleare che distrusse Hiroshima – muoiono ogni anno a causa degli stupefacenti provenienti dall’Afghanistan. In questo contesto, in Russia, il bilancio è di circa 30.000 vittime. L’agenzia russa sul controllo della droga afferma che la produttività è raddoppiata negli ultimi dieci anni e ad oggi il 90% delle dosi di droga consumate globalmente – un totale di 7 miliardi – rappresentano eroina. La tossicodipendenza sta invadendo l’odierna Russia e nel mix con l’abuso di alcool sta mettendo in pericolo l’esistenza stessa della nazione. La Russia è molto attiva nell’incoraggiare la lotta internazionale contro la droga – il Ministro degli esteri S. Lavrov, per esempio, ha ricordato al forum anti-droga 2010 che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite osserva il problema della droga come una minaccia alla pace e alla sicurezza globale. Il suo punto di vista era che il mandato della coalizione in Afghanistan dovrebbe essere aggiornato per includere delle misure ben più robuste, incluso lo sradicamento dei campi di oppio e lo smantellamento delle fabbriche di droga. I passi per contrastare la produzione di stupefacenti in Afghanistan dovrebbero essere altrettanto decisi di quelli scattati in America Latina contro il traffico di cocaina, afferma Lavrov sottolineando anche, che un coordinamento in tempo reale tra la Russia e la NATO, lungo il confine con l’Afghanistan, potrebbe essere di grande aiuto. Mosca ha mandato per anni segnali in merito, ma l’atteggiamento della NATO sembra essere impassibile.

Il capo dell’agenzia russa del controllo della droga V. Ivanov ha affermato nel 2010 che la Russia ha fornito delle informazioni riservate agli Stati Uniti e all’amministrazione afgana riguardo 175 stabilimenti di droga in Afghanistan, eppure nessuno di questi è stato smantellato. I fondi continuano quindi ad accumularsi sui conti bancari di coloro che gestiscono questi traffici ed è chiaro che questa condizione richiede un fronte anti-narcotico molto più ampio. Mosca perderà solo tempo e vedrà sempre più russi morire se attende una mossa dell’Occidente per sottoscrivere tali iniziative. È giunto il momento di adottare misure drastiche contro coloro che diffondono la morte confezionata in dosi.

di Dmitrij Sedov
(Traduzione di Angela De Martiis)

mercoledì 29 agosto 2012

La sindrome di Stoccolma





Tra le tantissime polemiche estive, sicuramente degna di nota è quella tra Famiglia cristiana e Comunione e liberazione. Il settimanale cattolico ha accusato la platea dell’annuale festa di Rimini di una tendenza alla standing ovation nei confronti del potente di turno: ieri Berlusconi, oggi Monti. 

Lasciando da parte gli applausometri, dalla kermesse di Cl sono uscite non poche dichiarazioni che, in chiaro o meno, suonavano come un auspicio o almeno una fatalista accettazione di un prolungamento della cura Monti. Vittadini, della Compagnia delle opere, come Bonanni, della Cisl, si sono apertamente schierati con Casini nell’auspicare una rinomina di Monti. 

Non passa giorno che il Messaggero – che è sempre il quotidiano di Caltagirone – non pubblichi editoriali che sostengono il fallimento del maggioritario e auspicano un ritorno al proporzionale e soprattutto alla possibilità per i partiti (che torneranno ad essere molti e di varie dimensioni) di fare accordi di governo e di programma dopo le elezioni anziché prima. I commenti in oggetto non mancano di sottolineare che con gli attuali sondaggi nessun partito sarebbe in grado di determinare la formazione di un governo e quindi, inevitabilmente, ci vuole una grande intesa e Napolitano deve favorirla. 

Ma per fare questo Napolitano deve essere ancora al Quirinale e quindi bisogna anticipare le elezioni per non permettere che la prossima fase sia gestita da qualcun altro. Quindi, dinanzi all’evidente disastro sinora compiuto dal governo tecnico e dalla politica del più tasse per tutti, facciamo finta di credere al libro dei sogni presentato da Monti nei giorni scorsi col pacchetto di proposte per la crescita. Diciamo che finora Monti ci ha fatto male, ma ce lo siamo meritato, che la medicina è amara ma poi arriverà lo zuccherino, che anche le mazzate servono per educare i bambini. 

E gli italiani sembra che a furia di mazzate siano stati educati a dovere. E chi non la pensa così – ovviamente – è un fascista...

Marcello de Angelis (Secolo d'Italia)

lunedì 27 agosto 2012

Con Nello Musumeci PRESIDENTE DEI SICILIANI!


Non ci sono stati colpi di coda. Solo colpi di testa. Deposto il re la terra degli angioini degli Aragonesi e dei Borboni pensa già al prossimo capitano. 
La mela marcia democristiana(con quella punta di sinistra e di franchi tiratori che non guasta mai) arrivato al quinto rimpasto,che sa di quinto matrimonio maledetto,si fa da parte tra le inchieste e le polemiche. 

Sicilia ultima regione d'Italia,ma la regione col più grande desiderio di riscatto. La sfida parte dal "grande sud" di miccichè. Restiamo uniti, raccogliamo i pezzi, puntiamo sul migliore. Il più pulito. Nello Musumeci non è solo il candidato del centrodestra ma è soprattutto l'arteficie del buon governo del palazzo dei vicerè. 

Su di lui nessuno scandalo, solo riconoscimenti. Dopo le liti e le incomprensioni con il coach di Arcore adesso è lui che viene messo in campo, dalla panchina di roma alla sedia piu alta dell'attacco. Contro "Crocetta" e contro tutti. La testa di ponte va conquistata e ci voleva un uomo amato da tutti, con carattere e una storia alle spalle. Perche e l'uomo giusto, un camerata intellegibile. E' l'asta del cambiamento. La fiducia adesso è solo per lui, per noi tutti. Nello ringrazia va avanti e fa sapere che non ci saranno rinviati a giudizio nelle sue liste.

 Sembra scontato ma non lo è. Non di questi tempi. Non con questi ritmi. Gli ultimi due governatori sono stati blindati dalle coalizioni di centro destra e sono finiti entrambi nei registri della giustizia tra le pagine della cronaca. I siciliani ringraziano. Ma il malaffare democristiano è ai titoli di coda. Il sequel è diverso. I protagonisti anche, le comparse forse. Il si arriva da tutti, angelino soprattutto. 

La destra va rifatta, reincollata dopo gli aborti di queste legislature partitocratici. La libertà non è un frutto che cresce tutte le stagioni. I siciliani l'hanno capito. Musumeci puo e deve essere la sfida del futuro, la destra quella vera, colga la palla al balzo. 

Si scatenino gli eserciti, noi faremo la nostra parte. 

Casaggì Milazzo

giovedì 23 agosto 2012

I 10 paradossi dell'Eurozona nella calda estate della finanza



La crisi dei debiti sovrani unita a un sistema finanziario internazionale ampiamente deregolamentato è una miscela esplosiva per la serenità dei mercati finanziari, mai come in questo momento simili a delle giostre, con violenti e quotidiani saliscendi. Resta il fatto che questi incresciosi movimenti di capitali da un asset all'altro stanno facendo allo stesso tempo fiorire dei paradossi. Ecco, in questa selezione, una raccolta dei 10 più eclatanti.

1) L'euro crollerà? E allora perché il Bund sprizza salute?
In molti hanno profetizzato seri rischi per la moneta unica europea negli ultimi tempi. A luglio, per citarne uno, il presidente del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde ha indicato che l'euro ha tre mesi di vita, in assenza di riforme sostenziali (così si è espresso anche il finanziere ungherese George Soros). Allora, se l'euro è davvero così messo male pare un controsenso rifugiarsi sul Bund tedesco (che infatti è intorno ai minimi storici) considerando che la Germania sarebbe pienamente invischiata in un'eventuale debacle dell'euro: alcuni studi indicano che con la rivalutazione del marco che ne conseguirebbe l'economia tedesca andrebbe immediatamente in profonda recessione con Pil in caduta di oltre cinque punti percentuali.

2) Spread su, Borse giù ma l'euro tiene
Se l'Eurozona è in crisi come mai la valuta che ne rappresenta l'area, pur avendo perso da inizio anno circa il 7% nei confronti del dollaro, tiene tutto sommato in questa fase di turbolenza finanziaria? Va certamente meglio di Borse (Piazza Affari è a -17% da marzo) e spread (che dai minimi di aprile sotto quota 300 viaggia ormai stabilmente sopra 450 punti).

3) Davvero In 15 mesi è cambiata la storia dell'Italia?
Ad aprile 2011 lo spread tra BTp e Bund era era di poco superiore a quota 100. Oggi, come visto è sopra 450 con frequenti escursioni oltre quota 500. Eppure nel frattempo, tra manovre lacrime e sangue, il governo Monti ha sinora applicato un mix di austerity da 65 miliardi di euro. È possibile che in appena poco più di un anno, e nonostante l'approvazione di riforme strutturali, il quadro dell'Italia sia così peggiorato rispetto a 15 mesi fa

4) L'Irlanda (salvata) sottrae imprese alla concorrenza

Come spiegare anche la gestione del salvataggio dell'Irlanda? Al pari di Portogallo e Grecia l'Irlanda ha ricevuto gli aiuti da parte della cosiddetta troika (Ue-Bce-Fmi): ovvero prestiti a tassi agevolati per oltre 70 miliardi di euro. Ma l'Irlanda ha ricevuto un altro straordinario aiuto: quello di poter applicare un'aliquota fiscale del 12,5% alle imprese. Un vantaggio non da poco che spinge naturalmente molte aziende dell'Eurozona a spostare la sede a Dublino penalizzando in questo modo gli altri Stati dell'area euro che non possono permettersi queste aliquote da semi-paradiso fiscale. Che Unione è quella che consente a uno dei Paesi di sfavorire gli alleati attraverso l'applicazione di una fiscalità di favore a uno dei suoi membri?

5) La Bce è l'unica tra le big che non può stampare moneta
Le Banche centrali di Giappone, Svizzera, Inghilterra e Stati Uniti hanno in comune la facoltà di poter stampare moneta ponendosi difatti come prestatori di ultima istanza. La Banca centrale europea non può farlo. Questa mancanza di potere, che spesso agisce come formidabile deterrente contro attacchi speculativi, è considerata da molti economisti il primo problema da risolvere per risolvere una volta per tutte la crisi dei debiti sovrani dell'Eurozona.

6) Euribor
Se è vero che l'Euribor è il tasso a cui una media di 43 banche, prevalentemente dell'area euro, si prestano denaro fra loro, non si capisce perché sia così basso in una fase, come quella attuale, caratterizzata da una crisi generalizzata del mercato interbancario e dalla scarsa fiducia tra i vari istituti che preferiscono rivolgersi direttamente presso lo sportello della Bce per chiedere soldi. Certo, sull'Euribor così come per il britannico Libor, incombono pesanti accuse di manipolazione. Resta il fatto che, al di là di quelli che saranno gli accertamenti della giustizia, un Euribor così basso (3 mesi allo 0,38% e un 1 mese allo 0,15%) non si è mai visto nella storia dell'euro.

7) Stati Uniti e Inghilterra hanno un deficit/Pil simile alla Grecia
Il rendimento dei Tresaury statunitensi e dei Gilt britannici è in linea con quello del Bund tedesco: ovvero i mercati attribuiscono a Inghilterra e Stati Uniti un alto livello di affidabilità. È paradossale però se si guarda al fortissimo indebitamento dei Paesi anglosassoni (comprendendo debito pubblico, di imprese e famiglie) e al deficit/Pil che viaggia intorno al 10%, lo stello livello della Grecia.

8) Le banche italiane valgono meno di McDonald's
Un altro paradosso di questa crisi finanziaria è che le banche italiane valgono in Borsa poco più di 50 miliardi di euro, un valore inferiore alla quotazione della sola McDonald's (74 miliardi) e di altre 84 aziende al mondo. La Apple, ad esempio, vale circa otto volte il sistema bancario italiano.

9) Indici di Borsa oscillano ormai come titoli derivati
Nelle ultime settimane gli indici di Borsa, in particolare quelli di Milano e Madrid, hanno subito violentissime oscillazioni al ribasso e al rialzo, con scostamenti anche superiori al 6%. Se in passato questi movimenti erano più rarefatti, adesso stanno diventando all'ordine del giorno. Avvicinando paradossalmente la volatilità di questi indici - e dei titoli a larga capitalizzazione che li compongono, molti dei quali nei portafogli di piccoli risparmiatori - a quella che si vede abitualmente nel mercato dei derivati (warrant, opzioni, ecc.).

10) Derivati ben oltre i livelli della crisi subprime
C'è chi ama ricordare che l'attuale crisi dei debiti sovrani è un'onda lunga della crisi dei derivati sui mutui subprime propagata nel mondo dagli Stati Uniti dall'estate del 2007. Da allora, secondo le indicazioni della Banca dei regolamenti internazionali, il mercato dei titoli derivati anziché diminuire, si è rafforzato. Tanto che oggi questi contratti valgono nove volte il Pil del pianeta. E questo, per dirla tutta, è il paradosso dei paradossi.

venerdì 10 agosto 2012

Tecnocratica e senz'anima. L'Europa così non funziona



Nel 1998, Mario Monti, in un suo breve libro, Intervista sull'Italia in Europa (Laterza), auspicava una sostanziale dissoluzione degli Stati nazionali a vantaggio di un superstato europeo. Il pamphlet era dato alle stampe nei mesi cruciali della fase di avvio per l'approdo all'euro e il professore, commissario a Bruxelles, tratteggiava le sue idee sull'Europa, non certo il continente dei popoli, sedimentato in una cultura millenaria comune, bensì una sovrastruttura tecnocratica che doveva mirare alla gestione economica del mercato. Tra Maastricht e i primi anni del Duemila l'idea neoilluminista di un'Europa a direzione centralista e tecnocratica è stata egemone nei giornali, nelle università, nei luoghi dove si è formata l'alleanza tra salotti giacobini e “poteri forti”. Cosa non solo teorizzata ma avvenuta nei fatti quando agli Stati nazionali è stato sottratto il governo dell'economia, tratto distintivo della sovranità accanto all'esercizio della forza militare. Europa forza gentile fu il titolo di un altro libro, a firma di Tommaso Padoa-Schioppa, che uscì in occasione del varo dell'euro e che vedeva in Bruxelles una forza buona chiamata a domare il senso di nazionalità. Nondimeno, un anno prima di diventare Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano pubblicò Altiero Spinelli e l'Europa (il Mulino) dove si auspicava il «mettere insieme delle sovranità, delle funzioni, dei poteri, per esercitarli a livello sovranazionale», contro le «forme di nazionalità esasperata».

Alla prova dei fatti l'Europa così concepita si è dimostrata un fallimento, non solo perché ha prodotto una spaventosa crisi economica, non ciclica ma epocale, ma soprattutto perché - come ha scritto Giorgio Israel - sta «sgretolando le culture nazionali che dovevano essere i mattoni costitutivi dell'identità culturale del continente». In altre parole, quella pluralità nazionale che per secoli è stata la ricchezza dell'Occidente, parte essenziale della civiltà europea, è stata distrutta dal burosauro tecnocratico.

Se è vero, come ricorda, Federico Chabod, nel suo classico L'idea di nazione, che dire senso di «nazionalità, significa dire senso di individualità storica», il sedimento storico non può essere generato in laboratorio. Per secoli la forza dell'Occidente è stata la libertà degli individui, consacrata dalle costruzioni giuridiche e soprattutto da un potere riconoscibile ed emendabile. Il potere delle tecnocrazie, invece, appare indistinto e lontano. Scruton salda in un binomio indissolubile nazione e democrazia: «Le democrazie devono la loro esistenza alla fedeltà nazionale». E aggiunge che «dovunque l'esperienza di nazionalità sia debole o inesistente, la democrazia ha mancato di attecchire». Lo storico polacco Ernst Kantorowicz fa risalire a Federico II l'origine dell'unità giuridica e culturale dell'Occidente attraverso la nozione di Europa imperialis, una res pubblica universae christianitatis, dove il potere non è tirannia ma è chiamato a rappresentare la communitas, un popolo unito dalla storia. Un ruolo che valse a Federico II il riconoscimento postumo di Nietzsche che lo definì: «Il primo europeo di mio gusto». Lo jus publicum europeaum, ben descritto da Carl Schmitt nel Nomos della terra, come «diritto interstatale», che delimita «l'ordinamento spaziale della respublica cristiana medievale», non ha avuto, dunque, quella modernizzazione evolutiva che necessitava come base della costruzione europea. L'Europa dei tecnocrati ha evidentemente tradito i postulati culturali della possibile unità europea, negando quello che Scruton definisce il «dono principale delle giurisdizioni nazionali».

E non si esagera nel ritenere che l'Europa giacobina dei poteri forti sia antidemocratica, priva di radicamento popolare. L'Unione di oggi, quella di Bruxelles è un dato solo formale che ha distrutto le virtù delle nazionalità ed è priva di «quell'anima» dei popoli teorizzata da Charles Péguy o del Volksgeist caro e Herder e Fichte. E non gode neanche di un fondamento plebiscitario: in Italia non c'è mai stato un referendum sull'Europa, mentre le consultazioni popolari di Francia e Olanda hanno bocciato la Costituzione europea.

Per secoli lo Stato nazionale, grazie al suo radicamento culturale, si è dimostrato un modello di prosperità economica e di democrazia. E occorre domandarsi quanto della crisi dell'Occidente sia da imputare all'abbandono delle strutture nazionali. Il peggio ammoniva Gustave Flaubert è quando la bêtise (la stupidità) di un certo universalismo si allea con la canaille, che per mantenere i propri privilegi economici, mira a sovvertire le gerarchie della storia.

di Gennaro Sangiuliano

giovedì 9 agosto 2012

SFIDUCIA SUBITO

IN CASO DI DISSESTO
-120 dipendenti comunali perderebbero il lavoro
-le ditte riceverebbero solo il 40% del dovuto
-fallimenti a catena
-aumento a dismisura delle tasse
PINO POTRA' GOVERNARE "INCONTRASTATO"



ATREJU 2012


#SENZA PAURA.

ATREJU 2012.
12-16 SETTEMBRE, ROMA.


giovedì 2 agosto 2012

Strage di Bologna: 32 anni di menzogne





E con questo 2 Agosto, saranno 32. Trentadue anni di menzogne. Trentadue anni di silenzi, depistaggi, incarceramenti preventivi, false prove e falsi testimoni. Non dobbiamo dimenticarcene, perchè la verità su Bologna, non riguarda solo i morti e i feriti di quel maledetto 2 Agosto, ma ci vede tutti vittime: come ambiente politico ed umano, che ancora oggi sconta una condanna “morale” del tutto insensata. Perchè non ci sono solo tre persone ingiustamente condannate, non dimentichiamocelo. E non dimentichiamoci, neanche, che c’è tra queste chi ancora sta pagando per colpe non sue. Anzi: che sta pagando per avere detto la verità in sede processuale, finendo così nella trappola tesa agli altri due.

Non sappiamo se, un giorno, i tempi saranno sufficientemente maturi per sollevare il velo su quei fatti, ed affermare una verità storica definitiva, inevitabilmente diversa da quella processuale: che “verità” non è.

 Come la morte di Cossiga e di altri importanti nomi della I Repubblica hanno recentemente dimostrato, non basta che la classe politica del tempo scompaia perchè si possa arrivare a qualche verità. Non basterà una generazione, probabilmente. Forse neanche due. Perchè gli interessi, e le trame, che stanno dietro questa oscura vicenda, non finiscono certo con il semplice ricambio generazionale della classe politica: sono vive e vegete. Mettere in discussione la verità processuale sulla strage di Bologna, significherebbe ridiscutere tante cose: troppe per questo sistema perennemente in affanno.

Ma, siamo certi, arriverà prima o poi l’ora della verità. E noi tutti, sin da ora, saremo pronti a farci sentire. Come abbiamo fatto, e come continueremo a fare. Per non dimenticare, mai.





di Comunità Militante Raido

mercoledì 1 agosto 2012

"AMORE E CORAGGIO": RECENSIONE DEL DISCO DEGLI NSP...



"Amore e coraggio" è il titolo del primo album degli Nsp. Un ottimo lavoro, autofinanziato e portato a termine dopo anni di sforzi e di sudore dalla formazione romana. Nove brani e un buon ritmo, per un disco che certamente farà parlare. Una nuova linfa per la musica identitaria, nel solco della tradizione rock, con sonorità accattivanti, una buona qualità di registrazione, buona esecuzione degli strumenti e buona voce. Elementi che non si trovano troppo spesso nei lavori che nascono dal basso e che solitamente vantano grande passione, ma qualità approssimative e dozzinali. Non è il loro caso.

Dirompente il primo brano ("Lma"), che molti avevano già sentito in rete o dal vivo nei concerti degli ultimi anni (quello del luglio 2009 a Casaggì, nel quale si esibirono gli Nsp, ce li fece piacere subito). Notevoli anche le altre canzoni, con buona varietà di temi e un excursus nella storia e nella identità militante della propria comunità di riferimento ("Castrum" e "Solstitium"). Da sottolineare "La mia gente", caratterizzata da un testo di livello, che meglio non poteva esprimere la tensione ideale ed emotiva che sta alla base della nostra scelta di vita. Bella anche "Cinquantatre" dedicata a Trieste e ai moti di rivolta per l'italianità e  "Renuncio", dedicata ad Evita Peron. Un plauso particolare per "Stornello". Simpatica "Archeofà" e orecchiabile "Senza Nome", con buona disposizione di strofe e rime. In tutti i brani e da sottolineare la cura negli accordi e nella sovrapposizione degli strumenti, che non fa mai perdere di livello all'insieme del suono. 

Ciò che conta di chi fa musica identitaria, poi, è la condotta quotidiana, la capacità di mettere in pratica quei concetti su se stessi, la volontà di far vivere quelle note nei gesti di tutti i giorni. E' anche per questo che consigliamo questo disco: perchè conosciamo chi lo ha realizzato.

Un grande in bocca al lupo agli Nsp.


       

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