martedì 29 novembre 2016

Mandiamolo

29/12/15, "Se perdo il referendum considero fallita la mia esperienza politica";
10/01/16, "Se sulla madre di queste battaglie, ossia la riforma costituzionale, i cittadini non sono d'accordo, hanno tutto il diritto di dirlo ed io ho il dovere di prenderne atto";
20/01/16, "Se perdessi il referendum, considererei conclusa la mia esperienza perchè credo profondamente nel valore della dignità della cosa pubblica";
25/01/16, "Io non sono come gli altri, non posso restare aggrappato alla politica. Se sulle riforme gli italiani diranno di no, prendo la borsettina e torno a casa";
7/02/16, "Se perdo al referendum prendo atto del fatto che ho perso";
12/03/16, "Se perdiamo il referendum è doveroso trarne conseguenze, è sacrosanto non solo che il governo vada a casa ma che io consideri terminata la mia esperienza politica";
20/03/16, "Se mi va male, se perdo la sfida della credibilità o il referendum del 2016, vada via subito e non mi vedete più";
18/04/16, "Certo, io se perdo vado a casa";
2/05/16, "La rottamazione non vale solo quando si voleva noi... Se non riesco vado a casa";
4/05/16, "Ma se perdo non resto come i vecchi politici aggrappato alla poltrona";
8/05/16, "Se io perdo, con che faccia rimango. Ma non è che vado a casa, smetto di fare politica";
- 21/05/16, "Se lo perdiamo, vado a casa. Per serietà. Non resto aggrappato alla poltrona";
22/05/16, "Se il referendum dovesse andare male non continueremmo il nostro progetto politico";
29/06/16, "Dicono che io ho sbagliato a dire che se perdo vado a casa: e secondo voi io posso diventare un pollo da batteria che perde e fa finta di nulla? Pensano forse che io possa diventare come loro?";
2/08/16, "Sono sicuro che vincerò il referendum, ma non so perchè questa sarebbe la mia vittoria, non è il referendum di Renzi. Vincerò".

martedì 15 marzo 2016

Referendum 17 Aprile ‪#‎LaBellezzaNonSiTrivella‬



‪#‎Referendum‬ ‪#‎17Aprile‬

La decisione di tenere il referendum sulle trivelle il 17 aprile rappresenta l'ennesimo tentativo del governo Renzi di sabotare la volontà popolare.
Si buttano centinaia di milioni di euro con il solo scopo di impedire il raggiungimento del quorum. É una vergogna.
La nostra posizione é nota: trivellare a mare, in luoghi straordinari della Sicilia é una follia. Peraltro tutto avviene senza alcuna reale contropartita per i cittadini.
Una grande mobilitazione popolare potrà bloccare questo tentativo insulso di uccidere la democrazia.
‪#‎LaBellezzaNonSiTrivella‬

Ad Angelo.


A Massimo

"Massimino, quando ci vedremo, canteremo la stessa canzone. Ed il vino dentro al nostro bicchiere avrà un sapore di Rivoluzione". 

In ricordo di Massimo Morsello, nell'anniversario della scomparsa.

martedì 8 marzo 2016

17 APRILE 2016 – REFERENDUM CONTRO LE TRIVELLE


Il 17 aprile 2016 il popolo italiano sarà chiamato a votare per il Referendum contro le Trivelle in mare. L’invito è di votare SI’per abrogare la norma introdotta dall’ultima Legge di Stabilità che permette alle attuali concessioni di estrazione e di ricerca di petrolio e gas che insistono nella zona di mare vicina alla costa di non avere più scadenza. Con la Legge di Stabilità 2016, infatti, le licenze già in essere entro le 12 miglia dalla costa sono diventate “sine die”.
Le trivelle sono il simbolo tecnologico del PETROLIO: vecchia energia fossile causa di inquinamento, dipendenza economica, conflitti, protagonismo delle grandi lobby. La vera posta in gioco di questo Referendum è quella di far esprimere gli italiani sulle scelte energetiche strategiche che deve compiere il nostro Paese, in ogni settore economico e sociale per un’economia più giusta, rinnovabile e decarbonizzata. Non dobbiamo continuare a difendere le grandi lobby petrolifere e del fossile, ma affermare la volontà dei cittadini, che vorrebbero meno inquinamento, e delle migliaia di imprese che stanno investendo sulla sostenibilità ambientale e sociale. Per pochi barili di petrolio non vale certo la pena mettere a rischio il nostro ambiente marino e terrestre ed economie importanti come la pesca e il turismo, vere ricchezze del nostro Paese. Intanto, mancano strategia e scelte concrete per realizzare gli obiettivi di riduzione delle emissioni fissati dalla COP21 nel vertice di Parigi per combattere i cambiamenti climatici, in cui si è sancita la volontà di limitare l’aumento del riscaldamento globale a 1,5°C.
Quindi il vero quesito è: Vuoi che l’Italia investa sull’efficienza energetica, sul 100% fonti rinnovabili, sulla ricerca e l’innovazione?
Al Referendum del 17 Aprile inviteremo i cittadini a votare SI’, perché vogliamo che il nostro Paese prenda con decisione la strada che ci porterà fuori dalle vecchie fonti fossili, innovi il nostro sistema produttivo, combatta con coerenza l’inquinamento e la febbre del Pianeta.
Il Governo, rimanendo sordo agli appelli per l’Election Day che avrebbe permesso l’accorpamento del Referendum con le elezioni amministrative, ha deciso di sprecare soldi pubblici per 360 milioni di euro per anticipare al massimo la data del voto, puntando così sul fallimento della partecipazione degli elettori al Referendum.
Il Governo sta scommettendo sul silenzio del popolo italiano! Noi scommettiamo su tutti i cittadini che vorranno far sentire la loro voce e si mobiliteranno per il voto.
Per essere più efficaci, abbiamo costituito il Comitato nazionale “Vota SI’ per fermare le trivelle” per unire le forze di tutte le organizzazioni sociali e produttive affinché la Campagna referendaria diventi l’occasione per mettere al centro del dibattito pubblico le scelte energetiche strategiche che dovrà fare il nostro Paese, per un’economia più giusta e innovativa. Ci impegniamo ognuno nel proprio ambito e insieme per invitare gli italiani a recarsi al voto e votare SI’.
Il Comitato nazionale promuoverà comitati territoriali per moltiplicare la mobilitazione e diffondere capillarmente l’informazione in tutti i territori e metterà a disposizione strumenti comuni di comunicazione, di approfondimento e di mobilitazione. Inoltre, si coordinerà con i Comitati delle Regioni proponenti il Referendum.

da FareVerde.it

giovedì 7 gennaio 2016

Acca Larentia, a 38 anni dalla strage.


Il 7 gennaio 1978, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, militanti del Fronte della Gioventù, furono trucidati a colpi di mitraglietta davanti alla sezione romana del MSI da cinque persone incappucciate. Nelle ore seguenti, si radunarono tutti gli attivisti missini per una manifestazione di solidarietà e, quando uno di loro vide un giornalista che spegneva la sigaretta nel sangue raggrumato dei giovani uccisi, scoppiarono disordini e scontri; intervenne la polizia che sparò ad altezza uomo colpendo in piena fronte Stefano Recchioni, ragazzo di 19 anni che morì sul colpo. Gli attentatori, anche dopo le indagini, sono rimasti impuniti.
Oggi non si spara, non si uccide per politica, ma si lotta ugualmente con armi diverse. Noi scegliamo quella del dialogo, del rispetto reciproco, del ricordo maturo e consapevole privo di risentimento. Scegliamo di onorare chi è morto per una Fede, un'Idea in cui credeva che è stata difesa con dignità fino alla fine. Quei ragazzi, che avevano la mia età, si sono visti stroncare la loro giovane vita da un odio immotivato, spregevole, che ha continuato ad imperversare per anni, mietendo vittime e restando spesso a piede libero. Dovete leggere queste storie, interessarvi di quelle vite, guardare i corpi inermi di quei giovani per capire cosa è stato davvero l'antifascismo e perchè questo sia frutto di un'ideologia malata e sanguinaria che non deve ripetersi.

"Sono le voci dei caduti che ci indicano la Via." 
Franco, Francesco, Stefano, onore a Voi.

mercoledì 21 ottobre 2015

Riflessioni post alluvione.

Sono i giorni della disperazione e del dolore,sono i giorni di chi ha perso i tanti sacrifici fatti da anni di duro lavoro nelle campagne di bastione, lavoro che ha segnato i corpi e la vita dei nostri amici , dei nostri parenti,oggi non hanno più la casa, i ricordi, gli effetti personali,hanno perso tutto.
Quella maledetta mattina è stata segnata dal grido di aiuto e di disperazione della gente che ancora echeggia nelle nostre orecchie ,da Rosa aggrappata ad un palo per non essere trascinata dalle acque del mela, dall'amico Ciccio avanti negli anni che cerca di salvarsi e salvare l'anziana moglie lasciando perdere anni di storia vissuta nella sua umile casa e Franco e poi Peppino, Felice, Maruzza, Nino,Carmela e tanti altri e poi le grida e i pianti dei bambini.
Ognuno gridava per fare sentire la propria voce coperta dal rumore violento dell'acqua e dal fango e dalla distruzione di ogni cosa, per farsi notare ed essere aiutato ,uno scenario apocalittico si presentava ai nostri occhi .
Il fango diventava forza della natura e non si arrestava, trascinava e travolgeva tutto ciò che gli impediva il libero accesso verso mare.
Mai visto niente di così catastrofico.
Ma quelle scene e la tragedia vissuta dalla gente di Bastione, invece di unire le forze politiche della città che per eventi del genere è opportuno unirsi, compattarsi mettere da parte magliette,colori e appartenenze e creare un tutt'uno con la gente, non si è verificato ,a causa di pochi che volevano speculare davanti alla tragedia lasciata dalla natura in virtù di qualche vantaggio politico – elettorale, non ha fatto altro che dividere .
Cominciamo a leggere sui web e ad ascoltare il balletto delle dichiarazioni inopportune di alcuni, che vanno alla ricerca di possibili responsabili per ciò che è successo e per ciò che non si è fatto fino ad oggi, indebitamente sostituendosi alla Magistratura unica Istituzione dello Stato a cui compete il ruolo.
Il Politico,l’amministratore pubblico devono fare altro,affrontare il problema e portarlo a soluzione,oggi purtroppo tutto ciò non accade, stiamo attraversando una brutta stagione della politica con troppi personalismi e troppi individualismi.
In un recente passato non si demandava alle proprie responsabilità,si affrontavano i problemi con sapienza e determinazione, si interveniva con vigore, si rilasciavano dichiarazioni equilibrate affinchè tutti si sentissero parte , coinvolti in un progetto di solidarietà , ognuno con le proprie capacità mettendo a disposizione la propria esperienza a dare soluzioni.
Non si cercava il punto per dividere ma si privilegiavano quelli che univano per portare e rendere più efficace e incisivo l’aiuto da portare.
Purtroppo questa nostra Sicilia, oggi, ha una classe dirigente e di governo che non riesce a spendere le risorse comunitarie,rimandando indietro al governo di Roma preziose risorse finanziarie.
In questi anni, le amministrazioni locali hanno sperato molto nel potere sostitutivo del Commissario dello Stato per gli interventi e per la mitigazione e il dissesto idrogeologico del territorio siciliano.
La struttura commissariale dello stato presso la regione è presente dal 2011 .
Il problema dell’ esondazione dei torrenti in provincia di Messina è antico ,ci ricordiamo dei morti di Messina dei primi anni 2000 a quelli del 2009 con i vari disastri del territorio e dell’ambiente determinati nel 2008-2009-2011 e ai più recenti di Lipari e oggi della nostra città.
Un problema trattato con superficialità,nonostante le richieste.
L'assessore Regionale al Territorio Croce ieri anche Commissario dello Stato per il dissesto idrogeologico è un Messinese ,la gente del nostro territorio punta molto sul suo interessamento e lo chiama alle sue responsabilità politiche e di governo.
Credo che non ci sia più tempo per cercare responsabilità pregresse, bisogna recuperare il tempo perduto, bisogna recuperare ciò che non si è fatto o non si è potuto fare durante la sua gestione commissariale per la nostra provincia.
La nostra Deputazione tutta deve allontanare egoismi personali e di partito e per l’interesse collettivo unirsi e chiedere al governo di Roma leggi obbiettivo per il risanamento e la messa insicurezza della nostra terra, per intervenire liberandosi da lacci e lacciuoli dei vincoli gravanti sul territorio.
Abbiamo visto e sperimentato che il Governatore Crocetta non è nelle condizioni di farlo, ma tutta la deputazione lo può fare ,i rappresentanti della gente di Sicilia lo possono richiedere,il parlamento Siciliano può chiedere a norma dello statuto ciò. Uniti si raggiungono gli obbiettivi,!
Bisogna superare competenze varie e mettere la gente nelle condizioni di svegliarsi al mattino per guardare la propria famiglia e il sole che ti illumina.
Il dissesto idrogeologico la pulizia e messa in sicurezza dei torrenti in Sicilia devono essere risolti, basta morti! basta distruzioni!
Tutto ciò, deve essere un imperativo categorico dell’assessore Croce distinguendosi da Crocetta e dai suoi sodali.
In questo Comune nei nostri uffici, decine di conferenze di servizio sono state fatte a cominciare dai primi dissesti idrogeologici della via manica dal 2008/2009/2011 a seguire ed ancora oggi.
E gli interventi realizzati sono stati tutti portati a termine a carico del bilancio comunale ,quindi dei Milazzesi.
Fiumi di parole scritti da vari Enti competenti ,dal Genio Civile alla Provincia, dall'Assessorato al Territorio all'Arpa,alla Protezione Civile Provinciale e Regionale e così via,ma ad oggi un centesimo di quanto richiesto negli anni e di ciò che è stato subito dalla gente non si è visto.
Danni incalcolabili alle strutture pubbliche, e al patrimonio comunale, ai privati, agli imprenditori del florovivaismo, agli agricoltori ai quali ad oggi non è stato riconosciuto nulla solo chiacchiere e promesse.
Ricordo ancora le proteste sollevate dal nostro Municipio al governo Prodi, quando nel 2007 con un atto improvvido dell'allora ministro dell'ambiente e territorio Pecoraro Scanio ,ritirava dal registro della Corte dei Conti Sez. di Roma, il decreto di finanziamento Ministeriale che riconosceva al Comune di Milazzo 3.900.000,00 euro per la messa in sicurezza del costone roccioso della manica e del Castello e 5.000.000,00 euro per le Saie che attraversano la città di Barcellona.
Questo sciagurato provvedimento ha fatto si, che ancora oggi non sì è potuto mettere in sicurezza il costone della manica, causando problemi al territorio e alla gente del capo, così come a seguito dell'esondazione dei torrenti che attraversano Barcellona nel 2011 le saie hanno allagato la città.
Diciamo ancora grazie a questi Signori!
Ciò che dico è tutto riscontrabile presso gli uffici.
Un governo Regionale che blatera e non esegue, che non concretizza, ed è notizia di oggi che dopo quasi sette anni si ricorda di cominciare gli interventi per mettere in sicurezza il territorio a Giampilieri, che conta i suoi 39 morti.
Noi siamo stati fino ad ora più fortunati,ma fino a quando?
Ecco cos’è la Regione di questi tempi il nulla,il vuoto!
Oggi è opportuno parlare solo delle cose che si possono subito fare e risolvere i problemi, non diamo spazio a prese di posizioni e a dichiarazioni avventate, non inauguriamo la stagione del tutti contro sulla tragedia consumata!

giovedì 2 luglio 2015

la "buona scuola" (di renzi) che ti ruba il futuro

Il governo Renzi approva il suo modello di "buona scuola".

L'ennesimo passo verso lo smantellamento della scuola pubblica è compiuto, nel silenzio generale e senza dibattiti preventivi. 
Il mondo della formazione si aziendalizza e il sapere diventa merce, mentendo intatti i punti deboli del comparto-scuola: strutture inadeguate, docenti impreparati e faziosi, tagli al personale, precarizzazione generale.

L'istruzione cessa di essere un diritto e diventa un prodotto da accompagnare alla massificazione in atto e al processo di riduzione dell'esistente alla logica del profitto e della produttività; un primo passo verso la creazione del consumatore di domani, privo di identità, di coscienza critica e di radici, di spunti vitali, solidali e comunitari.

Se questa è la "buona scuola", siamo fieri di essere quelli dell'ultimo banco.

L'istruzione cessa di essere un diritto e diventa un prodotto da accompagnare alla massificazione in atto e al processo di riduzione dell'esistente alla logica del profitto e della produttività; un primo passo verso la creazione del consumatore di domani, privo di identità, di coscienza critica e di radici, di spunti vitali, solidali e comunitari.
Se questa è la "buona scuola", siamo fieri di essere quelli dell'ultimo banco.

giovedì 16 aprile 2015

A Stefano e Virgilio Mattei. Per non dimenticare

Erano gli anni di Piombo, quelli ricordati come un periodo buoi della storia nazionale post Seconda guerra mondiale: attentati, violenza e omicidi. Tutto in nome di un’ideologia, di uno scontro tra fazioni politiche. La notte del 16 aprile 1973 quando diversi militanti del gruppo extraparlamentare di sinistra Potere Operaio (Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo) versarono diversi litri di benzina sulla porta di casa di Mario Mattei, il segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano del quartiere Primavalle, nella periferia capitolina.

Immediatamente divampò l’incendio e l’appartamento andò a fuoco. Al suo interno c’era la famiglia Mattei, composta dalla madre Anna Maria, le figlie Antonella, Lucia e Silvia, i figli Giampaolo, Virgilio e Stefano e il padre Mario. La madre riuscì a fuggire dalla porta di casa insieme ai figli Antonella e Giampaolo (9 e 3 anni); Lucia (15 anni) si buttò dal balcone del secondo piano aiutata dal padre; Silvia (19 anni) si gettò dalla veranda e riportò solo qualche frattura, Sorte diversa toccò ai fratelliVirgilio e Stefano (22 e 8 anni), che morirono carbonizzati nel rogo di Primavalle. I due non riuscirono a gettarsi dalla finestra e la gente, insieme alla famiglia, assistette incredula alla tragedia.

Nel cortile uno striscione: “Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria“.
Le indagini sul rogo di Primavalle portaro a porre particolare attenzione nei confronti di alcuni esponenti di movimenti collegati al Potere Operaio, che replicò repentinamente parlando di una montatura creata ad arte, “il risultato di un meccanismo di provocazione premeditato a lungo e ad alto livello, tipo «strage di stato», «Primavalle» è piuttosto una trama costruita affannosamente, a «caldo» da polizia e magistratura, un modo di sfruttare un’occasione per trasformare un “banale incidente” o un oscuro episodio – “nato e sviluppatosi nel vermiciaio della sezione fascista del quartiere”. Due giorni dopo Achille Lollo fu arrestato e, insieme agli altri due imputati, fu rinviato a giudizio.

Ma non tutti andarono contro quelli che erano ritenuti i presunti responsabili del rogo di Primavalle e ben presto si scatenò l’opinione pubblica: vari i giornali e gli intellettuali che si schierarono dalla loro parte. Durante il processo ci furono anche delle manifestazioni per chiedere il loro proscioglimento. Durante il processo di primo grado si ipotizzò la strage e l’accus chiese l’ergastolo per i tre imputati, ma di fatto vennero assolti per mancanza di prove. Nel processo di secondo grado furono condannati a 18 anni di carcere per omicidio premeditato, ma Achille Lollo fuggì in Sud America, mentre Manlio Grillo fuggì in Nicaragua e di Marino Clavo si persero le tracce.

Dopo la prescrizione, la famiglia Mattei, in anni più recenti, la Procura di Roma ha chiesto la riapertura del caso grazie a informazioni ottenute dagli stessi imputati, che hanno permesso di ipotizzare il reato di strage. Nel 2005 la famiglia Mattei ha denunciato Lanfranco Pace, Valerio Morucci e Franco Piperno come mandanti dell’attentato e lo stesso Lollo confessò la responsabilità nel 2005, affermando però di non aver materialmente incendiato la porta: “Non volevamo provocare l’incendio, né uccidere. Doveva essere un’azione dimostrativa, come altre che avevamo fatto contro i fascisti a Primavalle. Ma al momento di montare l’innesco, mi si ruppe il preservativo… La Lilli, così si chiamava all’epoca la bomba artigianale, si costruiva con una tanica, un po’ di benzina — due o tre litri — e i due preservativi servivano per l’acido solforico, il diserbante e lo zucchero. L’innesco doveva far esplodere i gas della benzina. Se tutto avesse funzionato, avremmo provocato un botto e annerito la porta dell’appartamento. Invece io sbaglio, l’acido mi cola tra le mani e scappiamo, lasciando la tanica inesplosa. Da quel giorno ho il dubbio su cosa sia davvero successo dopo. Non abbiamo mai pensato di far scivolare la benzina sotto la porta per dar fuoco all’appartamento. Mai. Tutte le perizie ci hanno dato ragione, tra l’altro“.
Ma il rogo di Primavalle continua a bruciare anche oggi dato che i mandanti e i responsabili sono a piede libero o latitanti.

giovedì 12 marzo 2015

12 Marzo 1980: In ricordo di Angelo Mancia, caduto per l'Italia


[..] I terroristi, ancora della Volante rossa, attendono sotto casa sua, al quartiere Talenti, il giovane Angelo Mancia, attivista molto conosciuto a Roma, dipendente del Secolo d’Italia, Lo aspettano tutta la notte a bordo di un pulmino parcheggiato nei pressi. Quando Angelo si avvicina al motorino per andare a lavorare, verso le otto e mezzo, i terroristi gli sparano. Angelo tenta di tornare indietro, ma è troppo tardi: lo finiscono con un colpo alla nuca, nello stile consueto della vera Volante rossa, quella che operò dopo la guerra nel Nord Italia, assassinando avversari politici e gente comune, tra cui il giornalista fascista Franco De Agazio. I killer fuggono a piedi per poi salire su una Mini Minor rossa. Di loro non fu mai più trovata nessuna traccia. Nel 1951 gli assassini della Volante rossa partigiana furono condannati all’ergastolo, ma erano già tutti latitanti, e di loro non si seppe più nulla. Enorme la commozione nella comunità missina, i parlamentari choiedono agli inquirenti e allo Stato di fare il loro dovere e di difendere i cittadini. Ma la violenza non si ferma: il giorno dopo, il 13 marzo, una bomba esplode davanti casa di Mario Pucci, giornalista del Secolo d’Italia, il cui figlio è un attivo militante della sezione Flaminio. Imponenti funerali di Angelo Mancia in piazza Esedra, alla presenza di tutto il Msi. I giornali, tutti i  giornali, continuano a infangare Angelo Mancia definendolo un picchiatore, un delinquente e altro, tanto che il Secolo è costretto a pubblicare il certificato penale dal quale risulta che Mancia era incensurato. Capitava anche questo allora.
Ma l’offensiva comunista prosegue, allora uccidere un fascista non era reato: altri bar assaltati, altre sezioni distrutte, tra cui la Prati, la cui esplosione danneggia anche lo stabile. La comunità missina serra i ranghi e non cede, sopporta l’ondata di terrorismo senza precedenti e denuncia l’esistenza di un piano fatto a tavolino, perché è impossibile che lo Stato abbia perso del tutto il controllo della sua capitale, così come è impossibile che tanta gente abbia familiarità e disponibilità di esplosivi e armi. Almirante, Marchio e gli altri dirigenti iniziano visite in tutte le sezioni romane in una specie di controffensiva culturale e pacifica. Qualche giorno dopo, nella federazione del Msi di Roma, Mancia è ricordato con le parole di Orazio: “Non morirò del tutto”, e queste parole valgono per tutti i giovani morti per le loro idee.
di Antonio Pannullo (secoloditalia.it)

sabato 28 febbraio 2015

Quarant’anni fa l’omicidio di Mantakas, ennesima vittima dell’intolleranza comunista

28 febbraio 2015. I gravissimi scontri che l’estrema sinistra sta scatenando in queste ore a Roma, per impedire la libertà di parola, ci riportano alla mente gli anni Settanta, esattamente il 1975, quando in questo giorno teppisti criminali dei collettivi comunisti tentavano nello stesso modo di ostacolare la libertà di parola e di espressione ai giovani missini. Quel giorno uccisero un giovane greco, Mikis Mantakas, venuto da Atene per studiare Medicina. Era andato inizialmente all’ateneo di Bologna, ma aveva subito un’aggressione dai gruppettari di sinistra per le sue simpatie missine ed era stato quaranta giorni in ospedale. Venuto a Roma, aveva iniziato a frequentare la sede del Fuan di via Siena, l’organizzazione universitaria missina. E qui aveva stretto amicizia con molti giovani che la pensavano come lui. Quel giorno aveva deciso di andare al tribunale di piazzale Clodio per seguire il processo a Lollo, Clavo e Grillo, militanti di Potere Operaio che avevano bruciato vivi i fratelli Mattei a Primavalle per odio politico. Le notizie seguenti sono state tratte nel volume di inchiesta “Da Primavalle a via Ottaviano”, realizzato dai giornalisti del Secolo d’Italia Gianni Amati e Roberto Rosseti. Il 24 inizia al tribunale penale di Roma a piazzale Clodio il processo Primavalle. SoloAchille Lollo è in carcere, mentre Marino Clavo e Manlio Grillo sono latitanti. Da due anni sinistra, giornali e tv scatenano la piazza contro il processo e contro il Msi. Si distingue il collettivo di via del Volsci, ossia i Comitati autonomi operai, organismo inserito nello schieramento formato dai collettivi del Policlinico, quello dell’Enel, dal collettivo di Fisica, da Potere Operaio e da Avanguardia Comunista, nella quale erano confluiti i gruppi Lotta Comunista e Viva il Comunismo. Sin dalle prime ore della mattina del 24 febbraio gli extraparlamentari tentano di venire a contatto con i giovani di destra che sono fuori dal tribunale. Alle 10,30 il Collettivo di Fisica guida il primo corteo che lancia sassi e sei molotov contro la Celere, che carica e lo disperde. Alle 14 finisce l’udienza. Il bilancio è tre poliziotti, un giovane di destra e due passanti feriti. In mattinata muore per infarto il dirigente della polizia Pietro Scrofana, vittima dimenticata del dovere e dei comunisti.

Le sinistre mobilitate da tutta Italia per il processo Primavalle. Il 25 Prosegue la mobilitazione delle sinistre da tutta Italia. Alle 8,30 i comunisti cercano di vietare l’ingresso ai fascisti in tribunale e si accende uno scontro, subito sedato dalla polizia. Dentro l’aula tafferugli e grida “Lollo libero”, ma il tumulto viene sedato con una certa energia dall’allora maggiore dei carabinieri Antonio Varisco, che qualche anno dopo sarà assassinato dalle Brigate Rosse. Fuori dal tribunale proseguono gli scontri tra gruppettari e celerini. Il giorno successivo, il 26, Lotta continua e i collettivi invitano tutti ad andare venerdì 28 a piazzale Clodio. Il 27 Lotta Continua e il Quotidiano dei Lavoratori (di Avanguardia Operaia) pubblicano le foto dei missini davanti a piazzale Clodio e invitano ad andare il giorno dopo davanti al tribunale. E siamo arrivati al 28 febbraio. Già dalle sei di mattina arrivano davanti al tribunale tutti i collettivi di Roma e anche da fuori Roma equipaggiati per la guerriglia urbana. A quell’ora ancora non ci sono le forze dell’ordine, solo una jeep della Celere. Alle 6,30 quattro ragazzi del Fronte parcheggiano la macchina e si avviano verso il tribunale, ma vengono affrontati da un gruppo di autonomi armati che controllavano tutti gli accessi a piazzale Clodio. Riconosciuto il capo attivisti del FdG, uno degli aggressori gli spara tre colpi calibro 7,65, ma senza colpirlo. I missini concordano sul fatto che gli aggressori fossero toscani. Poi si saprà che i compagni erano venuti da tutta Italia per difendere Lollo, che aveva bruciato un bambino e un giovane di 22 anni. Alle 6,45, i giovani di destra si incolonnano nelle transenne per entrare in tribunale, ma improvvisamente, da tre parti diverse, arrivano un centinaio di gruppettari che iniziano a bastonare i giovani anticomunisti, uno dei quali riporta la rottura di un braccio col quale cercava di ripararsi. Un altro missino viene colpito da un colpo di pistola alla gamba e altri vengono feriti. I missini riescono a entrare in tribunale e a chiudere le porte. I compagni allora iniziano una sassaiola che manda in frantumi i vetri dei primi due piani del tribunale. Prima delle sette del mattino gli extraparlamentari hanno già sparato due volte. Nell’antisala del tribunale c’è uno scontro tra un giovane del Fronte e un extraparlamentare, che risulterà essere Alvaro Lojacono. In suo favore interviene il parlamentare comunista Umberto Terracini, che fa parte del collegio di difesa degli imputati per Primavalle. Verso le 11,30 si accendono incidenti in tutto il quartiere, e in particolare alcune centinaia di attivisti comunisti ingaggiano scontri con la polizia. Contestualmente un’altra ottantina di attivisti si disperde nelle strade laterali dirigendosi verso piazza Risorgimento dove c’è la sezione del Msi, clamorosamente non sorvegliata. Nel frattempo viene assaltata con bombe molotov la Rai di via Teulada, invece ben vigilata dalle forze dell’ordine. Seguono due ore di guerriglia urbana in tutta la zona. Alle 12,45 i militanti di via del Volsci individuano e assaltano un’auto civetta della polizia: la macchina è colpita con spranghe, una molotov la incendia e i tre occupanti vengono massacrati dai comunisti. Arriva un altro poliziotto, di nome Gigante, su un’altra vettura. Scende con la pistola in pugno per salvare i suoi colleghi. I compagni gli puntano addosso sei o sette pistole e riescono ad allontanarsi. Successivamente questo gruppo di fuoco da via Campanella, dove è successo il fatto, va a via Ottaviano e alle 13,15 arriva nei pressi della sede del Msi in piazza Risorgimento. Sono un centinaio, armati, mentre i missini poco più di una ventina, disarmati. Le forze dell’ordine sono assenti, i missini sono in sede, e nessuno si avvede dell’avvicinamento. Partono le bottiglie incendiarie che alzano un muro di fiamme tra l’ingresso della sezione e il portone dello stabile.

Centinaia di colpi di pistola contro i giovani missini. Nel trambusto vengono poi sparate revolverate contro i missini, una decina dei quali va verso l’angolo tra via Ottaviano e piazza Risorgimento: ma i gruppettari, tra cui Lojacono, li aspettavano e cinque pistole aprono il fuoco contro di loro. Le fonti ufficiali non hanno mai rivelato quanti colpi furono esplosi, ma testimoni affermano che furono centinaia e sparati da almeno cinque persone nella posizione del tiratore scelto, con una mano dietro la schiena e le gambe leggermente piegate. Per proteggersi la fuga lanciano altre bottiglie molotov. A quel punto i missini si accorgono che uno di loro è ferito, e gravemente, lo soccorrono, lo trascinano dentro il portone, ma avviene il secondo assalto dei collettivi. I missini si difendono con un martello, un manico di piccone e una lanciarazzi, che fa sospettare ai compagni una trappola e che li induce a ritirarsi. I pochi missini comunque riescono a respingerli, sparando con la lanciarazzi, e a chiudere il portone, nascondendo Mantakas, che nel frattempo era stato lambito dal fuoco di una molotov e ormai privo di conoscenza, dentro un box privato nel cortile dello stabile. Con lui, a vegliarlo, il giovane coraggioso Stefano Sabatini, della sezione Prati, che chiude dall’interno la porta del box, e Paolo Signorelli, aggredito insieme con il figlio appena qualche giorno prima in corso Trieste. Frattanto gli aggressori, servendosi anche di un segnale stradale divelto, sfondano il portone: i giovani missini si rinchiudono nella sezione. I collettivi arrivano nel cortiletto, sentono il rumore della porta del box che si chiude e sparano contro il box accanto a quello dove era Mantakas, pensando che i missini fossero lì, poiché era il più vicino al portone. Nel frattempo arrivano altri cinque o sei missini che vengono fatti segno da colpi di pistola: il 17enne Fabio Rolli è ferito al fianco e i comunisti ne approfittano per fuggire, non senza aver ferito un passante in moto che viene colpito al polmone. Sono trascorsi 15 minuti dall’inizio dell’attacco armato alla sede e né polizia né carabinieri si sono fatti vedere. Due del commando, armati, presso piazza Risorgimento sparano contro il poliziotto Di Iorio, del commissariato Borgo, che aveva tentato di fermarli, ma non lo colpiscono. Fuggono e si dividono, e Di Iorio ne segue uno che si infila in un portone, per uscirne qualche minuto dopo disarmato e senza soprabito. Il poliziotto lo ferma, e viene bersagliato da colpi da parte dell’altro fuggitivo, che poi si allontana rapidamente. La polizia trova nell’androne il soprabito con una pistola ancora calda: è Fabrizio Panzieri, 26 anni, ex Potere Operaio ora Avanguardia Comunista, vicino ai collettivi di Fisica e a via del Volsci. A piazza Risorgimento arrivano i soccorsi, dieci minuti dopo la fine dell’assalto. Un’ambulanza dei Vigili del fuoco carica Mantakas e lo porta al Santo Spirito da dove sarà trasferito al San Camillo e sottoposto a una difficilissima operazione. Ma dopo l’intervento, alle 18,30, il giovane cessa di vivere. Altri cinque minuti dopo, dalla fine dell’assalto è passato oltre un quarto d’ora, arrivano le prime volanti e altre ambulanze. Inizia allora uno spettacolare e inutile carosello delle Alfa Romeo delle forze dell’ordine in piazza Risorgimento, che aumenta la confusione generale senza approdare a nulla. Inspiegabilmente il ministero degli Interni tenta di minimizzare la situazione, smentito però più volte dalle notizie dell’Ansa. Il giorno dopo, 1° marzo, tardivamente, si inviano a piazzale Clodio per la terza udienza mille tutori dell’ordine, mentre le indiscrezioni sugli arresti si moltiplicano. Si apprende il nome di Lojacono come secondo indagato, dopo Panzieri. Il 2 si apprende che Mantakas, Rolli e il passante sono stati colpiti da tre calibri diversi. Dai fori nelle vetrine e nelle auto poi si capisce che almeno cinque pistole diverse hanno sparato a piazza Risorgimento. Gli inquirenti affermano che le persone coinvolte nell’inchiesta sono tre, ma del terzo poi non si sentirà mai più parlare. Anche dei cinque arrestati per aggressione alle forze dell’ordine e lancio di bottiglie incendiarie, non si parlerà più. Tra l’altro, diverse testimonianze concordano sul fatto che l’aggressione degli extraparlamentari è stata tutta ripresa da uno di loro con una cinepresa, sparatoria compresa. Lo stesso accadde in un assalto alla sezione Monte Mario del Msi. Chi sa dove sono oggi quei filmini?

Disordini anche durante i funerali. Il 3 marzo si registrano gravi violenze a largo Argentina durante la cerimonia funebre per Mantakas. A Santa Maria sopra Minerva dove c’è la cerimonia in memoria dello studente greco, confluiscono migliaia di missini, e nelle zone circostanti extraparlamentari di sinistra girano in cerca dello scontro fisico. Dopo le 16, l’auto con a bordo Teodoro Buontempo, un altro dirigente del Fronte e una ragazza, viene individuata da esponenti del Pdup-Manifesto che la assaltano a colpi di spranga e martello infrangendone i vetri. Tornano sull’auto e cercano di fuggire sotto una pioggia di sassi, ma il traffico non lo consente. L’autista è colpito da una sprangata alla testa: le urla della gente e i clacson delle macchine inducono gli aggressori e indietreggiare verso via Monterone, sede del Pdup, sparando però 5 o 6 colpi di pistola contro i missini. Alle 22 perquisizione a via del Volsci, dove viene arrestato un extraparlamentare armato. Il mandato di perquisizione era già pronto dal 28 febbraio, ma venne eseguito solo dopo tre giorni. Davanti al liceo Plinio verso piazza della Croce Rossa compare la scritta “10, 100, 1000 Mantakas”. Emessi due mandati di cattura per Panzieri e Lojacono per concorso in omicidio e tentativo di omicidio. Almeno tre calibri diversi nella sparatoria, ma solo due indagati. Del terzo, che si era detto appartenente a via del Volsci, nessuna notizia. Nei giorni successivi via dei Volsci fa uscire volantini dal tono violento nei confronti sia dei missini sia delle forze dell’ordine, incitando alla giustizia proletaria “distruggendo le carogne nere”. La stampa dell’allora regime, guidata dal solito Messaggero, cerca imbastire una pista nera anche per Mantakas, ma il tentativo si infrange miseramente. Paese sera manda persino un volenteroso inviato in Grecia, che ovviamente non riesce a scoprire nulla. Oggi il bar Penny di via Pavia è chiuso da anni, il Fuan non c’è più, Mantakas è morto da quarant’anni. Ma l’odio politico della sinistra estrema resiste ancora: ne abbiamo la prova proprio in queste ore.


di Antonio Pannullo (secoloditalia.it)

sabato 21 febbraio 2015

106 anni fa il Manifesto di Marinetti che diede vita al Futurismo

Il 20 febbraio 1909 Filippo Tommaso Marinetti pubblicava sulle pagine del giornale francese Le Figaro ilManifesto del Futurimo. “Noi vogliamo cantare l’amor del  pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità…”: sono le prime parole di esordio del più importante movimento iconoclasta del secolo scorso. Un movimento rivoluzionario, di rottura con il passato, capace di imprimere una svolta nell’arte e nella cultura, interpretando la domanda di modernità che saliva da una società in rapida trasformazione. Un movimento che si fece interprete di quell’ansia di novità che si respirava in tutti i campi del sapere e che annovererà tra le sue fila, oltre a Marinetti, artisti e intellettuali come Boccioni, Carrà, Balla, Prampolini, Palazzeschi. Personalità audaci, anticonformiste, di forte tempra e di acuta intelligenza. Una avanguardia artistica. L’ultimo significativo movimento culturale del XX secolo che l’Italia abbia saputo offrire al mondo.

Futurismo nell’architettura.Il Futurismo riuscì, con la sua straordinaria ventata di innovazione e di dinamismo, a contagiare altri movimenti artistici che si svilupparono in altri Paesi, come Russia, Francia, Stati Uniti e Asia, improntando di sé ogni forma di espressione artistica, dalla pittura alla scultura, alla letteratura, all’architettura, alla musica , al teatro, alla danza, al cinema e, finanche, alla gastronomia. L’urbanistica delle città fu studiata e immaginata in una dimensione futura. I progetti creati daAntonio Sant’Elia ruotavano intorno all’idea di movimento. Trasporti e grandi strutture ne esaltavano la funzione con incredibile visione anticipatrice rispetto alle trasformazioni che sarebbero avvenute molti anni dopo nella vita delle città. Il Futurismo, in ogni ambito, è un cantiere aperto. Una utopia che si rinnova nelle linee, nei sogni, nella creatività di menti aperte alle sfide, menti alla ricerca costante di nuove sfide, scevre da condizionamenti formali e tecnici. Eppure in grado di anticipare temi, visioni, pulsioni, tendenze che di lì a non molto si sarebbero affermate come effetto di un pensiero e di una cultura moderni.

Futurismo e fascismo. Nato in un’epoca di transizione, il Futurismo riuscì, dunque, a fornire una risposta straordinariamente unitaria alla velocità con cui si stava trasformando la società. L’avvento del telegrafo senza fili e le radio che annullavano le distanze con le prime connessioni intercontinentali; il dirigibile e l’aeroplano;  i primi tubi al neon che illuminano le città e le automobili che aumentano di giorno in giorno, la cui produzione sale vertiginosamente grazie alla catena di montaggio. Cambia il modello di vita. Usi e costumi assumono nuove forme. Lo spazio è luogo di mutamenti di colore, di forme, di vibrazioni incessanti. Tutto è in movimento. Anche rispetto alla guerra,  i Futuristi si posero come partecipi attori di cambiamento. Rivoluzionari a tutto tondo. Fino in fondo, per cambiare e innovare. Avanguardie rivoluzionarie e movimento iconoclasta, appunto, anticipatori del fascismo. Spiriti liberi da condizionamenti. Portatori di idee nuove. Non di ideologismi.


di Silvano Moffa (secoloditalia.it)