Mi dispiace, ma non condivido affatto l’ottimismo delle nostre istituzioni circa l’esito della perizia balistica che si terrà nei prossimi giorni, e non ho affatto fiducia per l’obiettività e il buon senso delle autorità giurisdizionali indiane che si sono arrogate la competenza del caso: tutto lascia pensare che tale esame sarà per noi sfavorevole. Anzitutto ci sono le elezioni in India, e il governo indiano in carica temo proprio che premerà per usare i nostri soldati a mò di “manifesto elettorale” , per dar prova ai propri elettori di “quanto siamo tosti, che abbiamo messo in riga gli italiani!”.
Poi, per come tale perizia è stata organizzata: i giudici avevano inizialmente bocciato la richiesta da parte italiana a che due esperti balistici del nostro esercito presenziassero alla cosa, poi a forza di litigare abbiamo ottenuto l’autorizzazione per i due consulenti dell’arma dei carabinieri. Ma questo non è un buon segno, circa il clima e la serenità con cui tale esame si terrà.
Terza poi, stando a voci di corridoio purtroppo fondate, sembra che gli esperti indiani siano orientati per ritenere i fori dei proiettili “compatibili” con il calibro in dotazione ai due marò e con la traiettoria (da sopra a sotto) che potrebbero avere se fossero stati per l’appunto sparati dalla petroliera, accogliendo così la tesi dell’accusa. A ciò aggiungiamo che i cadaveri dei due pescatori sono stati pure già cremati, quindi niente perizie sui corpi. Non tira una buona aria per i due seconde me, e credo purtroppo che si addiverrà, per i motivi suddetti, ad una condanna in primo grado, per poi riportarli a casa quando le acque della campagna elettorale e dell’indignazione popolare si saranno quietate, con metodi più o meno ortodossi (leggi dazione, da parte nostra, di una cospicua somma di denaro). In tutto ciò, la vicenda dei due marò solleva una serie di questioni a livello di diritto internazionale. Purtroppo per l’Italia in questo caso, ma per i paesi meno “potenti” sullo scacchiere internazionale in generale, il diritto internazionale è lungi dall’essere un sistema di norme “certe ed inequivocabili”: in buona sostanza, vige la legge del più forte, al di là delle belle frasi edulcoranti che gli esperti della materia raccontano a lezione ai propri studenti nelle nostre università.
Contrariamente alla norma di un ordinamento nazionale, dove la consuetudine ricopre il gradino più basso nella gerarchia delle fonti giuridiche, essendo ovviamente primaria la legge “scritta”, il diritto internazionale è un diritto a base principalmente consuetudinaria, e in una comunità di Stati come è facile intuire, un “comportamento” diventa giuridicamente vincolante ( acquista, come si dice tra gli esperti di diritto, l’opinio juris sive necessitatis) in maniera più rapida ed efficace quando è posto in essere da una potenza - economica e militare - il che fa si che gli stati meno potenti si adeguino in modo pedestre a quella prassi, fino a farla diventare una norma non scritta. L’India è una potenza militare (possiede un arsenale atomico), economica (l’industria informatica e delle telecomunicazioni è oggi un loro domino ) e demografica (con il suo miliardo e duecento milioni di abitanti) quindi fa la voce grossa, può creare “precedenti pericolosi”come vengono chiamati in questi giorni, e quindi diritto.
Lo dimostra la faccenda della competenza territoriale sul caso: l’Italia sostiene con forza che la competenza spetta alla nostra magistratura, in quanto il fatto è avvenuto su una nave italiana e quindi in territorio italiano; le autorità indiane sono ferme sulla posizione opposta. Purtroppo una norma chiara, certa ed inequivocabile che risolva questo dilemma, dopo secoli di questi incidenti, ancora non c’è, e nemmeno ci sarà in futuro: ci si affida al caso per caso, e a chi fa la “voce più grossa”. Sempre che sei nella condizione di farla. La faccenda è avvenuta in acque internazionali, come è chiaro, ma la nave italiana ha commesso l’imperdonabile ingenuità di accogliere l’invito delle autorità portuali indiane ad attraccare nel vicino porto, in tal modo consegnandosi e, almeno secondo l’interpretazione della controparte, “costituendosi” alle autorità indiane. Una sorta di prima ammissione di responsabilità... ma come si fa? Se la petroliera nostrana fosse rimasta in acque internazionali nessuno poteva toccarla, e se lo avessero fatto allora si che potevi fare la voce grossa a livello internazionale pur senza arsenale atomico!
Seconda poi, un altro problema che emerge dalla vicenda è lo status giuridico dei militari posti a presidio di interessi civili, come nel caso dei due del San Marco sulla petroliera italiana, in funzione principalmente anti-pirateria. Tale previsione purtroppo ci mette continuamente a rischio di situazioni del genere, perché i nostri militari, laddove se ne presenta la necessità, fanno quello per il quale sono stati ingaggiati e per il quale si trovano su quelle navi, ossia difenderle a suon di mitra da eventuali attacchi dei pirati, e il tutto avviene purtroppo non a largo dell’Inghilterra, o della Spagna o degli Stati uniti, dove i pirati non ci sono e tali problemi non si pongono, ma al limite delle acque territoriali di Stati inquieti come appunto l’India ,o gli stati costieri africani, che hanno il dente avvelenato circa le intrusioni armate di uomini provenienti da paesi dell’Occidente, non gradendo che ai propri criminali ci pensino le forze armate di altri stati, e che quando possono (come nel caso dell’India) mostrano di non gradire affatto questa prassi con prove di forza come quella che stanno subendo in prima persona i nostri due sfortunati ufficiali. Spero tanto di sbagliarmi circa le mie sensazioni negative sulla vicenda, ma credo che non dobbiamo farci molte aspettative circa il “buon senso” delle autorità indiane, come stanno facendo i nostri deboli emissari governativi che si stanno occupando della vicenda. L’India non è il paese delle vacche sacre a passeggio per le strade, di Gandhi e della nonviolenza: è una nazione bellicosa, arrogante e violentissima, e ce lo sta dimostrando.
di Federico Ponzo