mercoledì 23 aprile 2014

Una tragedia dal titolo 'cedesi attività'

Gli storici del fenomeno urbano, come lo scomparso Lewis Mumford, ci hanno insegnato che “le città sono un prodotto del tempo. Esse sono gli stampi in cui si sono raffreddate e solidificate le vite degli umani”. Egli si riferiva allo sviluppo lineare nel tempo, attraverso cui i cuori pulsanti delle città, si incastrano tra boutique, negozietti, botteghe e artigiani. Questo “ordine naturale” spiega il fascino di città storiche ghermite di vita e cordialità, un po’ come la Boutique des Anges, paradiso parigino dell’oggettistica di soggetto angelico in rue Yvonne-le Tac, o Chat-Bada, regno mondiale dei gattofili in rue des Ecoles. A Londra, i celebri tabaccai Dunhill di Davies St. o il calzolaio Lobb di St. James St., ma anche quello sgabuzzino dietro Oxford St. dove trovi ancora una pezza del tartan, fuori catalogo perché gli antichi telai si sono usurati e nessuno è più in grado di ricostruirli.

 Bologna, una delle città più antiche d’Italia ha visto chiudere qualcosa come 556 negozi nel centro storico, fenomeno causato dal mondialismo, che nei centri commerciali trova la sua massima espressione. I borghi si svuotano di vita, le piazze rinsecchiscono, i piccoli imprenditori emigrano altrove, le botteghe, le utensilerie, i piccoli negozi di abbigliamento spariscono nella “mano invisibile” smithiana o peggio, nell’usura teorizzata da Pound. Mentre i colossi si ingigantiscono, creando l’illusione dei posti di lavoro, si rifanno in realtà sulle ossa delle città storiche che, come enormi balene morte, affondano negli abissi. L’economia che prima alimentava il tessuto urbano intriso di storie, quartieri, rapporti umani, finisce nelle tasche nascoste dei grossi finanziatori internazionali dalle francesi Decathlon o Carrefour fino alla Coop del Ministro Poletti, quello che ha applicato la “riforma del precariato”, nel senso che ora si è precari per legge, non per sciagura.

 Se il quadro non vi è ancora chiaro o familiare, basta farsi un giro nella Via Giacomo Medici e contare i fantasmi del commercio: anche il franchising si è arreso. Piazza Roma, Piazza San Papino, il Ciantro, sono solo gli ultimi segnali di questa metastasi etica. Bar, rosticcerie, centri per la telefonia, persino le edicole storiche sono costrette a spostarsi in questo marasma ottuso, bieco, incivile.

 E mentre Palazzo delle Aquile diviene la sede dei falchi e degli avvoltoi (?!) che si contendono le poltrone delle prossime amministrative, la città muore lentamente tra gli spettri e i baroni, come nella tragedia del Macbeth. Quando finirete di leggere questo pezzo sarà già troppo tardi, persino per gli ultimi baluardi – vedi Bonina e Cambria – per pensare a una strategia per evitare l’iceberg. Il requiem risuona intrepido tra le vie del paese sulle note di un pentagramma unidirezionale che recita: “cessione attività”. E l’ultimo giovane che se ne va, senza voltarsi indietro, senza capire il perché.


di Francesco Bacone (pseudonimo letterario) 
da InformAzione Milazzo del 12.04