È la storia di quel tale
che per qualche strano motivo torna nella Milazzo che in vita sua, aveva visto
solo una volta. Immaginate Ulisse, tornare a Milazzo, passare dalla grotta di
Polifemo, il suo mostro preferito, vedere che è chiusa e pericolante, come
tutte le strutture attorno, notare come il sicuro pietrisco dello sterrato ha
lasciato il posto alle buche e all’asfalto.
Ulisse e i suoi si stupirebbero,
anche se ora sono invecchiati, anche se la sapienza ha lasciato spazio alla
saggezza, alla pacatezza e alla serenità. Eppure l’eroe di Itaca a rivedere la
sua Milazzo farebbe fatica a trovare pesci nel mare – qualora trovasse acqua
poco inquinata – a riconoscere un tempio alla divinità di Atena, tra le guglie
metalliche della Raffineria. Si fermerebbe a parlare con gli anziani e
scoprirebbe che questa città è amministrata da un collegio di probiviri che
poco hanno a cuore le sorti di Mylae.
Uffici bloccati, zero entrate zero
uscite, uno stallo politico e burocratico che tiene a scacco la vita della
città del Capo. Tra le palme piegate al suolo dai punteruoli rossi, come
l’orgoglio dei cittadini, e le attività commerciali praticamente in dissolvenza
nell’elogio funebre di una Troia in fiamme, il fedele marito di Penelope
riconoscerebbe solo tristezza e povertà. Morta è persino la demos-crazia.
Eppure
quella Milazzo dai dirupi calcarei del capo, tra le insenature pacifiche dei
laghetti di Venere, le splendide vedute della Baronia e del Castello restaurato
dalla passata amministrazione, ha ancora qualcosa che potrebbe ispirare Omero.
Una lirica soffiata nel vento, provenire dalle isole di quel Dio Eolo,
raccontata da millenni di storia che hanno fatto di Milazzo la patria della
cultura messinese. Ulisse padre del libero arbitrio potrebbe chiedersi se,
questa Grande Bellezza, possa trovar pace tra le mura di un vuoto che aleggia
nei silenzi del borgo, nei sussurri della Piana, nella rabbia dei precari.
Nella sua Grecia, culla del mètron e della misura oltre che della ragione, i
tiranni, gli oligarchi, i profittatori e gli usurai, i politici corrotti e i
medici osannati avrebbero certamente trovato punizione al loro ego. Eppure in
questa terra, un tempo dominata da quei figli dimenticati che erano i giganti a
un occhio solo, c’è disperazione. E i giganti sono divenuti uomini piccoli,
lontani dal popolo e vicini al potere tanto da dissolverli come cenere di pire
ardenti. “Ma di chi è la colpa?” Sembra chiedersi Ulisse tra le grigie barbe e
le rughe parlanti. “Chi può farvi scordare il terrore dei Ciclopi??” Poi dal
Palazzo dell’Aquila si leva un sospiro, tra le carte e il fumo, le sentenze e
gli avvisi di garanzia… “di nessuno è la colpa, Ulisse. Tornatene a casa tua se
conservi metà della tua passata sapienza. Questo è il nostro tempo!”
di Santi Cautela
( InformAzione Milazzo del 12.04.14)