lunedì 15 aprile 2013

Ci vorrebbe Gentile per ricostruire l'Italia


Raro esempio di filosofo che trasferì il pensiero nella prassi di governo, raccolse il meglio della nostra cultura e gli diede forma. Proprio ciò che oggi ci manca

Di Giovanni Gentile ricorre oggi l'anniversario del suo assassinio in Firenze, nel 1944. Pensare l'Italia è il titolo di un saggio con un'antologia gentiliana che ho curato per gli eredi Gentile, che vedrà la luce quest'anno.

Ma è davvero il senso della filosofia civile gentiliana. Gentile pensò l'Italia e nel pensiero trovò l'anima, il destino e la missione d'Italia e la pensò prima dell'avvento del fascismo. Gentile cercò di tracciare quasi un'escatologia italiana che corre parallela alla storia d'Italia, come una storia della redenzione spirituale d'Italia. Uso l'espressione escatologia nel suo senso pieno e religioso, perché in Gentile vi fu l'ultimo poderoso tentativo di pensare l'Italia mediante una teologia civile, nel solco di Vico, una riforma religiosa rivolta alla politica e una religione civile legata all'amor patrio, allo spiritualismo politico e al pensiero nazionale. I precursori del pensiero unitario, Gentile li chiama infatti profeti, a partire da Dante; il Risorgimento lo vede come la Resurrezione dell'Italia, attuare l'Italia è per lui una missione fondata sulla religione della patria e sul suo primato morale e civile, ma anche culturale. Mazzini e Gioberti rivivono nel pensiero gentiliano come dioscuri di un'Italia pensata col cuore.

Secondo Gentile è Dante, «pervaso da una filosofia di gran lunga superiore» ai poeti classici, il precursore del pensiero italiano e dello Stato unitario; è lui «padre nostro, primo degli italiani», scrive Gentile nel suo commento al canto di Sordello. Prima che poeta, Dante è filosofo, devoto a quella madonna filosofia «figlia d'Iddio, regina di tutto, nobilissima e bellissima filosofia», come scrive Gentile citando Dante in una prolusione del 1907 all'Università di Palermo. Per realizzare la sua impresa Gentile convoca nella sua opera gli stati generali dell'Italia antica e moderna - filosofi, artisti, poeti ed eroi - e ne rintraccia il pensiero vivente, come già lo chiamava Mazzini; un pensiero vivente e vibrante nel suo eterno, incessante divenire. Impresa concepibile dentro la sua filosofia dell'Attualismo dove il pensiero ravviva il passato e lo pone in atto.

Il 10 febbraio del 1921 Piero Gobetti organizzò una conferenza di Gentile a Torino, in un ciclo di incontri con Croce, Salvemini e Prezzolini. Scrisse per l'occasione Gobetti su Ordine nuovo: «Questo insegnamento di vitalità intensa, d'operosità necessaria, di serenità, d'umanità scaturisce dall'opera di G. Gentile. Egli ha fatto scendere la filosofia dalle astruserie professorali nella concretezza della vita. È giusto che in lui gl'individui riconoscano un maestro di moralità, e tutta una nuova generazione s'ispiri al suo pensiero per rinnovarsi». Due anni dopo, facendo I miei conti con l'idealismo attuale, Gobetti si rimangiò quel giudizio, a suo stesso dire compromettente, dicendo che voleva solo propagandare la conferenza. Ma non si possono scrivere quelle cose e poi attribuirle a un'esigenza promozionale... Quale dei due Gobetti era sincero? Nel frattempo Gentile era diventato Ministro della pubblica istruzione con Mussolini.

Nessun filosofo prima di Gentile ha avuto la possibilità di trasferire la sua teoria nella prassi, il pensiero nell'azione di governo, disseminarlo nella scuola, nell'università, nella cultura e nelle istituzioni del suo tempo. Salvo brevi esperienze ministeriali di De Sanctis, Bonghi e Croce, nessun intellettuale ebbe la possibilità di incidere nella storia e nella cultura italiana come Gentile, né prima né dopo di lui. E Gentile incise, ampiamente, profondamente, efficacemente. Raro caso di filosofo al potere che realmente produsse effetti concreti, nonostante il regime autocratico (o proprio per questo?). Delle sue eredità ancora si parla. Come in un corpo coerente e proteso all'unità, l'impianto teorico dell'Attualismo si annoda alla filosofia civile, anzi si unisce nel nome di quella filosofia dell'identità che è la sua impronta principale.

C'è in Gentile lo sforzo di dar compimento consapevole al motto post-risorgimentale di fare gli italiani dopo aver fatto l'Italia e di esprimere un pensiero italiano dopo aver dato un corpo allo Stato unitario. Quasi una visione organicistica del pensiero italiano che compone in unità le sue sparse membra, come è accaduto col processo storico che ha riunito le sparse membra locali nel corpo intero dello Stato. Gentile pensa l'Italia attraverso la sua tradizione, i suoi poeti che considera anche filosofi, da Dante a Leopardi, la circolazione del pensiero nella filosofia italiana e il formarsi dell'idealismo, la costruzione concettuale del Risorgimento come categoria filosofica ed etica, la filosofia della guerra e lo spiritualismo politico, la centralità della scuola e del processo educativo, la formazione di una coscienza civile nazionale, il rapporto con la religione, l'umanesimo del lavoro e la visione comunitaria. Nel pensiero italiano Gentile convoglia la storia, l'arte e la vita spirituale della nazione.

Premessa inevitabile, anzi precondizione assoluta, del suo pensiero filosofico e civile, è il suo carattere, la sua indole personale: quella specie di fiducia nella storia, nella cultura e negli esiti della vita, quell'ardore a cimentarsi, di tempra rinascimentale e risorgimentale, quel confidare nella forza costruttiva e audace del pensiero. Gentile esplicitò nella sua opera teoretica maggiore una vera professione di ottimismo filosofico. «Una coerente concezione religiosa del mondo dev'essere ottimistica, senza negare il dolore e il male e l'errore», scrive nella Teoria generale dello Spirito come atto puro. E in tutte le sue pagine si respira questa fiducia nel pensiero ardente che innalza l'uomo attraverso le opere e lo fa eterno. L'ottimismo gentiliano non si arresta neanche davanti al padre del pessimismo, Leopardi, che Gentile prima vede come contraltare tragico all'idealismo, ma poi passando da «l'astratta obbiettività» alla «vita reale», Gentile ravvisa un effetto opposto al suo pessimismo, al punto da concludere spingendosi oltre De Sanctis: «La filosofia leopardiana si converte in una delle più vigorose forme di ottimismo altamente umano».

Ecco di nuovo quella fiducia baldanzosa e gioviale nell'affrontare la vita e il pensiero, «quella sorta d'ingenuità fanciullesca ed eroica» di cui parlò poi suo figlio Benedetto. Non solo della sua potenza di pensiero, ma anche della sua fiducia eroica e fattiva nella vita e nelle opere avrebbe bisogno oggi l'Italia smorta per risorgere. E invece, Gentile resta ancora un frutto proibito per l'Italia presente; che è poi un'Italia sempre più assente.

di Marcello Veneziani (ilgiornale.it)