giovedì 15 novembre 2012

L'Euro come "stupro" culturale...


Oggi l’euro sta sugli attributi un po’a tutti. Quello che fino a qualche anno fa era solo scetticismo e ostilità da pensionato che rimpiangeva i tempi in cui con ventimila lire facevi la spesa per una settimana mentre con venti euro oggi ci mangi si e no due giorni, con l’acutizzarsi della crisi è stato sdoganato dalle chiacchiere da bar ed è approdato al mondo della ricerca scientifica,strutturata da esperti di economia in una critica coerente e tecnica della moneta unica,volta ad analizzare che razza di toppata è stata e a trovare possibili alternative. 

Parlare male dell’euro, se prima era passatempo da ignoranti che di economia non capiscono niente e non sanno che ci ha salvati dall'inflazione, c’ha impedito di fare la fine dell’Argentina eccetera, oggi non è più un tabù, si può e per qualcuno si deve. Io che però di economia non capisco una mazza, e che non mi azzardo a operare in settori nei quali sono molto ferrato, sono stato sempre però interessato a ciò che l’euro mi rappresentava a livello culturale, all'impatto sul modo di pensare della gente d’Europa a seguito della sostituzione delle varie valute nazionali con una moneta unica per tutti i paesi. La cosa mi ha sempre fatto accapponare la pelle, perché se c’è qualcosa che un popolo ha di indiscutibilmente familiare sono i soldi che maneggia ogni giorno, e questo comporta molto a livello di immaginario collettivo, di usanze, di modi di dire, di costumi: usare la stessa moneta per secoli fa si che questa entri a far parte della tua identità culturale di italiano,francese,spagnolo eccetera. 

L’operazione euro mi è parsa da sempre una “violenza” culturale, un colpo alle rispettive identità nazionali in prospettiva della creazione definitiva di una super-nazione frutto della disintegrazione delle varie nazioni europee che a me ha sempre atterrito. Quando in Gran Bretagna ci si interrogò sull’opportunità di aderire o no alla moneta unica (cosa che poi non avvenne) un eminente giornale titolò: “ci volevano 1200 anni di storia della nostra moneta per arrivare a questo?” sopra la foto delle nuove, orripilanti banconote. Questo per dire che le sterline in Inghilterra non sono solo un pezzo di carta, ma sono “storia”, tradizione, cultura, come lo era ogni altra moneta europea, a cui sono state dedicate canzoni, film, poesie, modi di dire. L’euro tutto ciò non lo suscita, e perché? Perché è percepito come qualcosa di “esterno”, di artificiale, come una convenzione: in dieci anni dall’introduzione della moneta unica non si è creato un modo di dire relativo all’euro, non si dice “non vale un euro” ma si continua a dire “non vale una lira” o “non gli dai due lire”, "non c’ho una lira”. Suona meglio. Non si sono scritte canzoni a lui dedicate,”se potessi avere mille euro al mese”, non produce “cultura” l’euro.  

Lo stesso probabilmente è avvenuto nel resto d’Europa: l’euro è subito dagli europei, con l’euro compriamo da mangiare, mettiamo la benzina alla macchina ma è percepito come un corpo estraneo: sta anche in questo la toppata dell’operazione. Anzitutto qualcuno mi spieghi perché io mi devo esprimere in “cent” ,come fossi Zio Paperone e stessi in un fumetto Disney: sono in Italia e sulle mie monete voglio che ci sia l’italiano, non l’inglese. Poi il nome che si è scelto per tale valuta tradisce l’artificialità dell’operazione: la moneta italiana si chiamava “italo” per caso? Quella spagnola “ispano”? Non mi pare. I nomi delle varie monete europee avevano un significato: lira da “libbra”,ne senso di libbra di argento portata alla zecca dai privati, in cambio della quale venivano dati 240 denari (questo all’epoca di Carlo Magno); dracma era il nome di una moneta dell’antica grecia,da δράττω (afferrare), in uso già nel 1200 a.c; sterlina deriva dall’espressione “pound of sterling Silver”, da sterling che vuol dire argento, e indicava una quantità pari a una libbra precisa di argento puro. E l’euro? Che vuol dire? Niente: si sono messi attorno a un tavolo e non venendogli nulla di meglio e che andasse bene a tutti hanno pensato di chiamarlo così, col prefisso che indica “qualcosa che a che fare con l’Europa”. 

Ma non è solo quello: anche a livello grafico non è che si sono sprecati. Le banconote in particolar modo sono orribili, modellate sullo stile di quelle nordeuropee ma molto più stilizzate: nessuna scritta, solo la cifra sopra la dicitura “euro” in caratteri latini e greci, sullo sfondo di vetrate di palazzi, ponti, facciate di chiese che non esistono. Nessun volto di persone famose, di personaggi rilevanti a livello culturale o politico per la storia d’Europa. Potevano metterci l’effige di Beethoven ad esempio, tra l’altro convinto europeista (tanto che l’inno alla gioia della nona sinfonia è divenuto l’inno europeo), o se vogliamo buttarla in politica, di Robert Schumann, quello dell’”Europa dei piccoli passi”, padre fondatore dell’Unione... a voglia a Europei illustri! Macchè, niente “facce” su sti soldi, solo facciate, di immaginari palazzi costruiti in astratti modelli architettonici. E un qualcosa che non ha volto non ha una identità, non è identificabile, non entra nella testa della gente se non sotto forma di iattura, di ennesima fregatura rifilataci dai “politici”...come per l’appunto le tristi e squallide monete che abbiamo nel portafogli.

di Federico Ponzo