I tecnici non servono. Contano le idee. Non ci credete? Andate in Spagna e scoprirete che Mariano Rajoy, il leader del Partito Popular che ha ottenuto la maggioranza assoluta alle ultime elezioni anticipate, ha in mente una manovra «lacrime e sangue» ma senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini. Anzi, tagliando le tasse e snellendo la burocrazia. Insomma, quello che avrebbe dovuto fare il governo Monti.
Leggete che programma moderno e veramente europeista sta per mettere in pratica il successore di Luis Zapatero: 1) scure sulla spesa pubblica, 2) abolizione dei prepensionamenti, 3) riforma dell’amministrazione statale e regionale per evitare costosi doppioni e sovrapposizioni, 4) congelamento del turn over per gli statali, 5) grande riformulazione del mercato del lavoro. E questi sono i tagli, che dovrebbero aggirarsi intorno ai 16,5 miliardi se il deficit a fine anno si fermerà al 6% del Pil. Ma appunto, essendo il rapporto deficit/Pil basato sulla spesa pubblica e la crescita economica, Rajoy ha deciso di non affossare la già debole economia iberica, che vanta un 23% di disoccupazione. E dunque il premier - nel super consiglio dei ministri che si terrà il 30 dicembre - ha escluso un aumento delle imposte, introducendo invece incentivi per 3mila euro alle imprese che assumeranno giovani al primo impiego. Non solo: ha promesso sgravi e agevolazioni per le piccole e medie imprese. In particolare Pmi e professionisti potranno non pagare l’Iva se non a compimento della fattura. Per la casa, poi, i popolari mettono in cantiere nuovi aiuti, con la diminuzione dell’imposta sul valore aggiunto sull’acquisto degli immobili, rinnovando così le agevolazioni di Zapatero.
Altri due capitoli sono le pensioni e il credito. I problemi spagnoli sono simili a quelli italiani, però a Madrid hanno deciso - senza pianti pubblici - di innalzare l’età pensionabile a 67 anni ma di non rinunciare all’indicizzazione al costo della vita (2,9%) degli assegni previdenziali. A scanso di equivoci, saranno inoltre eliminati i sussidi di disoccupazione durante gli ultimi anni di lavoro, un «mezzo troppo spesso usato come pensionamento anticipato», ha sottolineato l’erede di Aznar. Dicevamo degli istituti di credito: pronta una seconda ondata di fusioni tra banche e casse di risparmio (dopo la prima voluta da Zapatero), cui seguirà, ha spiegato Rajoy, una necessaria seconda ondata di prestiti statali per la ristrutturazione dei nuovi istituti che nasceranno.
Ecco, la manovrona di Madrd dimostra che i tecnici sono solo una scusa: le tasse creano recessione, non crescita. E con la contrazione del Pil la crisi non leva le tende e soprattutto lo spread - dettato dai mercati - non scende. Per questo gli investitori credono a Rajoy, tant’è che l’Ibex è stato l’unico in Europa a chiudere in positivo (+0,65 per cento) e il differenziale fra titoli spagnoli con quelli tedeschi è sceso intorno a 327 punti base. Mentre noi siamo a quota 462. Ormai il vero spread da vedere non è quello fra Btp e Bund, ma fra Btp e Bonos: e noi siamo già sotto di 130 punti.
di Giuliano Zulin