lunedì 12 dicembre 2011

Pensano soltanto a salvare i loro soldi.La casta non si taglia l'indennità

La casta non si taglia l'indennità. Fini guida la rivolta dei parlamentari: con la scusa dell'autonomia difendono lo stipendio
Gli stessi parlamentari che si apprestano a votare una manovra triennale che porterà le nostre tasse al 45 per cento del reddito non hanno intenzione di votare una sforbi­ciata ai propri stipendi. C’è una buona ragio­ne per la quale i deputati sono contrari al taglio delle proprie indennità: non possono es­sere i governi a decidere delle prerogative dei parlamenti. In ricordo degli scudi creati a tutela delle ingerenze dei sovrani, oggi i parlamenti sono immuni dalle norme retri­butive che possono prevedere i governi. L’impressione è che però questi signori stia­no giocando con il fuoco. Si alimenta così un pericoloso scollamento dalla realtà del Pae­se, che gli stessi parlamentari contribuisco­no a dipingere come nera, nerissima.
Cerchiamo di essere chiari. Oggi si chiede a 10 milioni di pensionati di rinunciare all’in­dicizzazione del proprio assegno, il che equi­vale a una perdita secca. Si obbligano 2,2 mi­l­ioni di vecchietti ad aprire un conto corren­te, a pagarci sopra un bollo, perché lo Stato ha deciso di non dare più loro pensioni in for­ma contante. Si allungano di botto i tempi per andare in pensione anche a lavoratori che ne avrebbero avuto diritto nel giro di po­chi mesi. Ci si inventa una tassa retroattiva sugli scudi fiscali, che dovevano essere il conto finale e unico delle pendenze con le Fi­nanze. Si aumenta il costo della benzina in un Paese in cui 59 italiani su 100 hanno un auto e l’89 per cento del trasporto commer­ciale è ancora fatto su gomma. Il che vorrà di­re meno reddito disponibile praticamente per ogni italiano e un aumento dei costi dei prodotti finiti. Si decide di reintrodurre la tassa patrimoniale sulla prima casa, cancel­lata solo pochi anni fa. E lo si fa rendendola ancora più gravosa della vecchia Ici. Si deci­de di non dare più un’aliquota agevolata a chi affitta la casa e per questa via si ridurrà an­cora di più il numero delle locazioni che og­gi sono pari solo al 9 per cento del complesso degli immobili dell’intera Italia. Si decide di aumentare le tasse sui redditi. Lo si fa in mo­do un po’ vigliacco. Non cambiando le ali­quote nazionali, ma quelle regionali. E dun­que per questa via a pagare saranno i soliti onesti. Si introducono i bolli sui depositi Bot e conti correnti che possono arrivare a 1.200 euro l’anno.Si spiano i movimen­ti bancari di tutti gli italiani.
Insomma, è chiara l’antifona. Pagheremo tutti e pagheremo ca­ro. Con scarsa, scarsissima atten­zione alle libertà personali, al dirit­to di proprietà, alle questioni for­mali, che i deputati invece consi­derano così importanti quando si tratta degli affari loro. Gli italiani avranno tasse retroattive, tagli re­troattivi, accise sulla benzina in vi­gore da ieri, doppia imposizione sul risparmio (bolli e cedolari) che è già stato più che tassato quando era reddito e gabelle sulla casa dall’incostituzionale sapore espropriativo. E i parlamentari che ci raccontano? Che c’èl’auto­nomia delle Camere, che la politi­ca ha un costo, che l’antipolitica è pericolosa.
È tutto vero. E non si ha voglia di fare i pierini. Però manco essere presi per fessi. Quando un Parla­mento chiede lacrime e sangue ai cittadini (è così presidente Monti, nonostante le sue improvvide smentite) deve quanto meno adot­tare la stessa misura a se stesso. Non è una questione di sobrietà (termine oggi molto in voga), ma di esempio e di sopravvivenza. Se è vero che l’Italia rischia il default e dunque i cittadini debbono di­ventare più poveri ( è ciò che avver­r­à con la gragnuola di tasse che do­vremo pagare) non è tollerabile il balletto ipocrita dei propri rappre­sentanti.
Il rischio che si corre è che l’anti­politica non si fermi. Oggi questa eventualità è molto più pericolo­sa per il nostro sistema politico di quanto lo sia la presunta violazio­ne d­elle proprie prerogative istitu­zionali.
Così facendo i nostri parla­ment­ari alimentano il mostro del­l’antipolitica, delle proteste di piazza, del qualunquismo più sciatto. Devono fare i sacrifici per salvarsi e salvarci. Quando un go­verno dall’oggi al domani cambia le carte in tavola per l’età di pensio­namento (e bene ha fatto) non può pensare di aspettare i risultati di una commissione per decidere la propria riduzione dello stipen­dio: lo faccia e basta. Se non ama il decreto del governo (e ripetiamo che dal punto di vista formale ha ragione da vendere) decida lei quanto autoridursi l’appannag­gio. Ma non tergiversi, così come non ha perso tempo quando si è trattato di tassare gli italiani.
Il rischio che i nostri politici cor­rono è che continuando così non possano più mettere la faccia fuori di casa o dal Parlamento e che il go­verno dei tecnici diventi agli occhi dell’opinione pubblica l’unica sal­vezza di questo Paese. Dio ce ne scampi. Faremmo qualche miglia­io di anni di passi indietro. Roma val bene la riduzione di una paga.

Nicola Porro per ilgiornale