mercoledì 2 novembre 2011

Il Dossier Gheddafi: l'epilogo della Terza Via Africana


Avremmo voluto essere lì quando la notizia della morte di Gheddafi arrivò a Washington, giusto per comprendere l'esposizione in questa guerra degli States, ad oggi, ancora poco chiara. Ah già, noi eravamo lì, quando Hillary Clinton, Segretaria di Stato, esclamò il suo "wow" vedendo le immagini del Raìs prima martoriato e poi ucciso. 

Questa è ancora una volta la storia dei cosiddetti "Stati Canaglia". Anche la Libia avrà così il suo 25 Aprile da festeggiare. E pensare che il capo di al-Qaida in Libia, Abdelhakim Belhadj, è divenuto il governatore militare della Tripoli “liberata” ed è il responsabile dell’organizzazione dell’esercito della “nuova Libia“. Si era detto dei rapporti tra Gheddafi e Bin Ladin, rapporti che non son verosimili neanche come coprotagonisti di un Face/Off panarabo. Si era detto della lotta per la democrazia, ma i media hanno taciuto sui reiterati tentativi di Gheddafi di ripristinarla in questi 42 anni di "dittatura". C'è poi l’ipotetica instaurazione della Sharia, che con la democrazia occidentale non ha molto a che vedere ma non appare una novità, a dire il vero, visti i legami del CNT con i gruppi islamisti radicali, il Qatar e l’Arabia Saudita. Si era parlato di libertà e democrazia anche in Afghanistan, si diceva del burqa alle donne, e delle rappresaglie dei talebani. Si dicevano tante cose dopo l'11 settembre, ma nessuno prima aveva parlato di un rifiuto del regime talebano alla fine degli anni ’90 dell’accordo con la multinazionale Unocal per il passaggio di un gasdotto in territorio afghano. E il petrolio c'entra anche con la Libia.

D'altronde se il Rais ne aveva fatta la seconda potenza africana, è anche perchè la Libia può contare su importanti giacimenti petroliferi, di cui, storia arcinota a tutti, noi italiani traevamo beneficio. Il petrolio la dice lunga anche sullo stanziamento di truppe Nato al confine col Pakistan, terra di transito proprio dell'oro nero verso l'Occidente. Poi c'è il recente intervento della Francia in Costa d'Avorioe l’appoggio USA alla divisione del Sudan, così come lo smembramento della Somalia; ultimo capitolo è l’invio la scorsa settimana di truppe statunitensi in Uganda, ufficialmente per colpire dei gruppi armati somali presenti nel paese. L’Uganda sembra essere attraversata negli ultimi mesi da una rivolta sociale che ha come modello le sommosse arabe. Truppe statunitensi sono presenti anche negli Stati limitrofi: Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e Repubblica Democratica del Congo

Di questo non si parla o si parla poco. Si parla tanto di premi Nobel, di risatine e di strette di mano. Guardando al passato ogni tipo di intervento per la civilizzazione si era protratto a sostegno o, piuttosto, a smembramento, di una rivoluzione verso un regime. Eppure in Libia non è andata così. 7 mesi di ribellione per 7 mesi di intervento Nato. La morte di Gheddafi come ultimo sprazzo di questa verità con il bombardamento a Sirte e i ribelli festaioli a sparar il colpo di grazia a un uomo già condannato, senza tribunali di sorte. La sorte a Sirte è chiara: l'eliminazione di un nemico che fu amico che ora non serve più nè per una nè per l'altra causa. Gheddafi fu infatti voluto dall'allora amministrazione Ford, che fu poi invaso dall'amministrazione Reagan che fu poi rivisitato ai tempi diBush e via via sino ad oggi, l'amicizia con Berlusconi e quindi con Putin. 

Poi ci sono due elementi. La corsa verso l'Unione Africana, cui Gheddafi fu eletto Portavoce all'Onu e gli insediamenti indiani in Libia. Due potenze che vogliono diventare super: l'India e la Cina, i loro rapporti con l'Unione Africana, e il ruolo jolly del Rais, tanto utile come coach del luogo d'incontro di culture arabe e culture nere e africane. Unica guaina tra musulmani moderati e fondamentalisti arabi. Non va dato atto solo per questo ma della ripresa economica di un Paese diviso tra tribù e famiglie, terroristi e beduini. L'Africom, gli idrocarburi, i rapporti internazionali decisamente scomodi per gli "Alleati della corsa alla civiltà" fanno abbastanza fumo e abbastanza arrosto. Entrando nello specifico qualora la geopolitica non bastasse a spiegare il liet motiv di una guerra senza casus belliveniamo all'economia libica, una economia poverissima prima che il regime del Colonnello nazionalizzasse le risorse petrolifere, del gas e reinvestisse i fondi così ottenuti nella industria leggera, nella costruzione di case e strade e nell'approvigionamento diretto di acqua in tutto lo Stato attraverso un ramificato fiume artificiale sotterraneo. 

Gheddafi come guida del Paese de facto ma delegando la politica interna attraverso una fitta rete dicomitati e istituzioni territoriali di matrice democratica diretta. Fa sorridere che oggi i ribelli sbandierino i simboli del re Idris, per quel poco che fu monarchia, la Libia fu uno stato povero esuccube di Gran Bretagna e Francia che ne hanno mantenuto le loro basi fino all'avvento della Repubblica sociale di Gheddafi. Fu l'Italia di Giolitti a invadere la Libia nel 1911 non Mussolini che si limitò a mantenere gli insediamenti attivi e a nominare Balbo Governatore di Libia dando ampio spazio alle tribù islamiche e riconoscendone l'autorità, costruendo luoghi di culto musulmani. La cacciata degli italiani dalla Libia è il simbolo sacrificale di uno Stato povero, vissuto come la conditio sine qua non di potenze occidentali dalle facili pretese imperialistiche. 

E nonostante l'attacco americano degli anni 80', nonostante il sostegno ad Arafat in Palestina e al riconoscimento, dopo, dell'esigenza di una Terza Via nel conflitto palestinese, nonostante l'appoggio economico in Irlanda del Nord alle truppe dell'Ira e il sostegno politico a molti dittatori africani, la Libia di Gheddafi è comunque riuscita nel difficile compito di porsi come finestra sull'Occidente in un'Africa sempre più avanguardista rispetto la propria indipendenza. Oggi solo il Giornale, Libero e il Secolo hanno reso onore alle armi per un leader caduto sotto le bombe di invasori opportunisti e non tra le braccia di un popolo che si prepara comunque ad accogliere banche, speculatori e McDonald's oltre che, paradossalmente, terroristi islamici, sotto la nuova ma vecchia bandiera di una Libia monarchica, colonia e canaglia quando più opportuno. E se il Niger accoglierà il figlio di Gheddafi come prosecutore di quel cammino filosofico politico di un'Africa della Terza Via, tra l'Europa e l'Asia panaraba, c'è da chiedersi se il sogno del Colonnello impresso su quel Libro Verdepossa realizzarsi davvero... 

Certo la lettera all'amico Berlusconi, come monito e biasimo per una redenzione totale o parziale (verso quegli invasori che tengono in scacco da Bruxelles anche noi italici), inviata il 5 agostoattraverso canali non ufficiali ci fa capire come noi stessi siamo potuti restare immobili a guardare la disfatta di uno stato libero e oggi solo liberato dalla sua stessa libertà. E se vero è che i carnefici dellanuova Piazzale Loreto Libica siano i figli della tribù di Misurata, discendenti di una stirpe ebraico-turca, da cui tra l'altro discenderebbe anche il sionista Sarkozy, fa sorridere ancora una volta l'immagine beffarda del ragazzino col berrettino degli Yankee che festeggia l'arrivo del BigMac aTripoli. L'ombra sionista, già spettro per Nasser, per Saddam e lo stesso Bin Ladin dai tempi diKennedy, si rifà nello staff barackiano (in realtà Clintoniano) e di Cameron (recentemente riscopertosi ebreo) e dello zingaro ungherese ebreo Sarko... e la storia andrà a ripetersi forse in Uganda, Sudan, Siria, Niger, Pakistan e in ogni covo di grattacieli che potrà render sazio il Leviatano di Washington. Dunque il Rais come Davide contro Golia.
Ci auguriamo che la Libia possa comunque trovare la SUA strada, a differenza del nuovo Iraq e delnuovo Afghanistan perchè dopotutto la sconfitta di un re non è sempre la vittoria di un popolo...  هزيمة الملك ليس دائما انتصار الناس


Santi Cautela
Direttore Salvateletica