Acca Larenzia, un mistero lungo 35 anni su cui finora non si è riuscito a fare luce; il giallo della morte di due ragazzi a tutt’oggi impunito; una lunga scia di sangue e dolore rimasta senza colpevoli a causa delle molte, troppe defaillances registrate dalle indagini di allora, intrecciate a coperture e omertà. Reperti e prove che in quel lontano 1978 non rivelarono tracce invisibili che oggi i progressi tecnici maturati nel campo dell’investigazione scientifica possono riportare alla luce con la speranza di declinazioni utili con testimonianze e prove archiviate in fascicoli rimasti senza epilogo processuale. Dunque sono state riaperte a Roma le indagini sulla strage di Acca Larentia in cui il 7 gennaio del ’78 furono assassinati due militanti del Fronte della Gioventù, Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, 19 e 18 anni, mentre un terzo attivista, Stefano Recchioni, 19 anni, sarebbe stato ucciso da un carabiniere alcune ore più tardi durante gli scontri con le forze dell’ordine. La procura di Roma e la Digos rileggeranno vecchie carte e le incroceranno con le testimonianze acquisite da vecchi militanti rossi e neri, al fine di valutare se, con le più aggiornate tecniche investigative, siano possibili nuovi accertamenti in grado di portare quelle tessere di verità ancora mancanti a un mosaico rimasto incompiuto. Al vaglio i due volantini che rivendicarono la strage, firmati da un gruppo estremista di sinistra: sotto la lente di nuove sofisticate metodologie impronte digitali e tracce all’epoca dei fatti impossibile da rilevare. Ma è soprattutto dalla rivendicazione audio registrata su una vecchia cassetta lasciata vicino ad una pompa di benzina a pochi giorni dall’eccidio di Acca Larenzia, con cui un sedicente nucleo armato rivendicava l’eccidio, che gli investigatori tornati al lavoro sul caso sperano di ottenere risultati significativi. Si partirà dalla bonifica del nastro per poi confrontare, attraverso una perizia fonica, la voce incisa sulla cassetta con quella di alcuni ex militanti della sinistra estrema. Ma già diverse settimane fa, un altro elemento fondamentale dell’inchiesta, l’arma del delitto, era tornato prepotentemente al centro dell’attenzione mediatica grazie alle sollecitazioni rivolte dal figlio dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti ai vertici dello Stato per chiedere di fare luce sul mistero dell’arma usata per uccidere a via Acca Larenzia.
La mitraglietta Skorpion, di proprietà di Jimmy Fontana, e poi passata di mano in mano, fino ad essere rinvenuta nell’88 in un covo milanese delle Br, è stata adoperata per colpire a morte Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta, ma avrebbe poi ucciso anche in altri tre omicidi illustri: quelli dell’economista Ezio Tarantelli, dell’ex sindaco di Firenze, Lando Conti, e del senatore Roberto Ruffilli. Ricostruire i passaggi di mano dell’arma potrebbe contribuire alla ricostruzione della verità su cui si è tornati a lavorare e su cui, nelle ultime ore, si è espresso anche il sindaco di Roma Gianni Alemanno. «Ringrazio a nome di tutta la città la Procura di Roma, e in particolare la Digos, per aver riaperto le indagini sulla strage di Acca Larenzia. Dopo la riapertura dell’indagine su Valerio Verbano, è estremamente importante questa nuova iniziativa per evitare che ancora oggi gravi sugli anni di piombo un alone di generale impunità e di mancato accertamento della verità storica e delle responsabilità giudiziarie» ha dichiarato il sindaco capitolino, che poi ha concluso: «Quella strage di innocenti militanti del Movimento Sociale ha aperto la strada ad una spirale di violenza che ha macchiato tutta la nostra città di sangue e di odio, e proprio quella strage fu la tragica palestra dell’escalation criminale delle Brigate Rosse. Spero che i nuovi moderni mezzi di investigazione permetteranno finalmente di portare l’inchiesta a dei risultati concreti e definitivi».
di Priscilla Del Ninno (Secolo d'Italia)