mercoledì 20 marzo 2013

Il Comunismo: una rivoluzione nata già morta (di fame)

Il pregevole libro di Silvio Pons, La rivoluzione globale. Storia del comunismo internazionale. 1917-1991 ricostruisce con equilibrio la vicenda comunista, partendo dal presupposto che essa sia stata, prima di tutto, un progetto di rivoluzione mondiale. Pons ne analizza i maggiori passaggi storici. La sua parabola si è svolta in sei tempi: la fase rivoluzionaria vera e propria, l'edificazione dello Stato sovietico, la seconda guerra mondiale, l’espansione imperialistica dell’Urss, il suo successivo declino, la crisi e la dissoluzione. Sottolineiamo, per quanto ci riguarda, che la vera contrapposizione che attraversa il Novecento non è quella tra democrazie e fascismi, ma tra democrazie e totalitarismi. Aggiungiamo anche che il comunismo poco si identifica con l’Occidente. Lo conferma il caso dell’Europa orientale, finita sotto Stalin per l’imposizione dell'armata rossa.

Nell'’Occidente non c’è mai stata una vera e decisiva affermazione comunista. Gli stessi successi elettorali dei comunisti italiani avvenuti negli anni Settanta sono stati dovuti al fatto che il Pci si presentava, almeno in parte, con un volto «socialdemocratico».
Dalla ricostruzione di Pons emerge in modo inconfutabile la seguente considerazione: il comunismo è stato un movimento politico, culturale, ideologico e militare; non è stato invece, mai, una realtà economico-sociale, naturalmente se per realtà economico-sociale si intende l’esistenza decente di una società civile. In questo senso, esso non ha mai costituito, nemmeno per un momento, una reale alternativa al capitalismo.

 Come ha scritto François Furet, riferendosi alla maggiore esperienza comunista, quella Sovietica, «la sua rapida dissoluzione non ha lasciato nulla: né principi, né codici, né istituzioni, neanche una storia. Essa è stata una superpotenza senza aver incarnato una civiltà». Pons, insomma, non può misurarsi con quello che non c’è stato, e dunque il suo libro difetta della spiegazione decisiva del fallimento comunista, che non fu dovuto a motivi politici, militari o culturali, ma al fatto, indubitabile, che l’economia collettivista non ha mai funzionato e non funziona: in Russia come in Cina, a Cuba come nei Paesi del Sud-est asiatico, essa ha portato il «socialismo reale» alla catastrofe. Il vero confronto fra il capitalismo e il comunismo è avvenuto nei vent’anni successivi alla fine della guerra fredda, quando la competizione pacifica fu definitivamente liberata da ogni elemento guerresco. E ciò, naturalmente, la dice lunga sulla natura della vittoria e della sconfitta dell’uno e dell’altro modello, dato che è proprio sul piano della libera comparazione che si può veramente constatare chi è in grado di offrire maggiore civiltà, maggiore benessere, maggiore uguaglianza e maggiore libertà.

di Giampietro Berti