venerdì 4 gennaio 2013
La lunga marcia della destra italiana
Vent'anni fa, quando la Destra politica si ritrovò scaraventata sulla ribalta nazionale e in seguito, grazie a Silvio Berlusconi, addirittura alla guida del Paese, furono in pochi a prevedere in quell'insperato successo l'inizio della fine.
Vent'anni dopo, la cronaca registra un pullulare di sigle nate dall'esaurirsi di quella che ne era stata all'inizio il motore immobile, vale a dire il Movimento sociale (Msi), prima ribattezzato Alleanza Nazionale (An) e più tardi sciolto in un più grande contenitore chiamato Polo delle Libertà (Pdl). Allo stato attuale, e come per gemmazione da quest'ultimo, sono da annoverarsi da un lato i Fratelli d'Italia-Centro-destra Nazionale antimontiani, dall'altro il finiano e montiano Futuro e Libertà, a cui va aggiunta la storaciana Destra, priva di rappresentanza parlamentare, anch'essa antimontiana in un orizzonte elettorale in cui il montismo sembra il mantra del berlusconismo: favorevoli ma contrari (sono stati i suoi rappresentanti ad aver sfiduciato il governo), contrari ma favorevoli (lo avrebbero voluto al loro fianco se non alla loro guida...).
Questo pullulare di sigle intorno a un unico oggetto del contendere si lega a ciò che dà il titolo al saggio di Giuseppe Giaccio, ovvero Le metamorfosi della destra (&MyBook, pagg. 149, euro 12), analisi ragionata e tentativo di comprendere quanto e se, metamorfosizzandosi, la Destra abbia trovato un suo anche se molteplice ubi consistam oppure, più semplicemente, si sia polverizzata. Nota l'autore che «da un punto di vista biologico, la metamorfosi è un processo naturale di trasformazione che consente a un organismo di diventare adulto: dalla crisalide alla farfalla. Sappiamo però, grazie a Kafka, che una metamorfosi può essere anche qualcosa di mostruoso: Gregor Sansa, da uomo, diventa scarafaggio».
In politica, si sa, bisogna dar prova di realismo. È in nome del realismo politico che intellettuali-compagni di strada e esponenti di partito con aspirazioni teoriche hanno cercato di motivare le ragioni di una Destra in cammino verso, va da sé, la modernità. Giaccio ne ripercorre puntigliosamente i passi, comprese le vanterie affrettate così come le ricostruzioni di comodo. Sta di fatto che il solvitur ambulando, ovvero il risolvere i problemi attraverso una marcia, a volte storicamente può funzionare, vedi la «marcia su Roma» del fascismo, ma c'è sempre in agguato quel couplet di Mino Maccari che suonava «O Roma/o Orte»... Sotto questo aspetto, il cammino della Destra sembra essere finito su un binario morto o tutt'al più uno scambio in disuso, e questo a prescindere dalla ministeralizzazione capitolina di alcuni suoi leader-macchinisti.
Giaccio si interroga se «non sia proprio il berlusconismo a svelare la verità sulla destra italiana, il suo vero volto». È un interrogativo retorico, non foss'altro perché, come nota egli stesso, la cronaca di questi anni ha registrato la presenza molto attiva dei «berluscones» nella cosiddetta destra-postmissina, ma non dei «finiones» dentro Forza Italia. La «destra nuova» europea dei Sarkozy e dei Cameron che veniva portata a esempio, era insomma «capeggiata da persone che, a cominciare dal primo, avevano conquistato sul terreno, metro per metro, la leadership prima del loro partito e poi del loro Paese», cosa che di Gianfranco Fini non si può proprio dire. La berlusconizzazione della destra portava dunque scritto sin dall'inizio la dissoluzione della seconda, a meno di non dotarla di anticorpi ideologici talmente forti e insieme di una capacità strategica di lunga durata tali da permetterne il rigetto. Sotto questo aspetto, sia la Lega di Bossi e poi di Maroni, sia l'Udc di Casini hanno rivelato quella capacità identitaria che ne ha garantito la sopravvivenza.
Lo «scioglimento di un equivoco». Così Giaccio, riprendendo il giudizio del finiano Fabio Granata, descrive la confluenza di An nel Pdl e la successiva costruzione della «Destra nuova» di Futuro e Libertà, intesa come una «sfida in campo aperto»... Nel giro di un paio d'anni, e complici le prossime elezioni, da una «confluenza» si è passati a un'altra, sempre in condizioni di minorità e/o di sudditanza, una sorta di commedia degli equivoci che cancella la parola «destra» come antitesi del berlusconismo. E sull'altro versante? Il neo partitino di La Russa-Meloni-Crosetto da un lato, La Destra di Storace dall'altro non si sa se marceranno separati per colpire uniti o uniti per non morire separati, ma in entrambi i casi, e di là dalla buona fede e dai buoni propositi, è difficile vedere in essi un progetto politico in grado di caratterizzarli.
Le metamorfosi della destra è un libro interessante anche per l'analisi di quella che è stata la «Nuova destra» metapolitica, riassumibile nella formula delle nuove sintesi democratiche post-liberali, e di cui Giaccio ha rappresentato uno degli intellettuali più accreditati. In sostanza, proprio dal venir meno dei referenti politici tradizionali, i concetti classici di destra e di sinistra, era possibile un percorso culturale alternativo che cercasse una via d'uscita a quella che sempre più si è andata configurando come la morte della politica. «Sul piano istituzionale, rimane l'architettura di una democrazia sempre meno rappresentativa e sempre più auto-referenziale, un regime partitico post-democratico, che della democrazia conserva le forme esteriori, le ritualità, ma non più la sostanza e che tenta di sopperire a questo deficit con un massiccio ricorso alle tecniche pubblicitarie». Come e se da questo impasse si possa uscire, nessuno è in grado di dirlo, ma provarci resta «la propedeutica morale a ogni rivoluzione possibile».
di Stenio Solinas