lunedì 14 gennaio 2013

Cristina Campo, l’infinita ricerca della bellezza


Per Cristina Campo (al secolo Vittoria Guerrini), di cui ricorre oggi il 37esimo anniversario della morte, la tensione verso la bellezza era lo scopo della scrittura. Detto così, potrebbe sembrare una frase fatta, ma nel caso di Cristina Campo – poco apprezzata dalla società letteraria del suo tempo e oggi riscoperta come figura tra le più significative del Novecento – quest’affermazione è tanto vera quanto fu assidua la sua cura dello stile, la ricerca della perfezione, l’attenzione per il simbolo, per tutto un immaginario, dunque, che la trascinava lontano dal quotidiano, dalla corruzione continua che il tempo opera sulle cose e sugli uomini (di qui anche i suoi studi sulle categorie della fiaba e la traduzione delle poesie di John Donne). 

Non a caso la sua personalità è stata accostata a quella di un’altra filosofa inquieta e visionaria, Simone Weil. Era nata a Bologna ma la sua formazione si svolse a Firenze. Gli anni del suo soggiorno fiorentino la fecero entrare in una rete di relazioni intellettuali che ne affinarono l’ingegno (Mario Luzi, Maria Zambrano, Leone Traverso, Gabriella Bemporad). Il periodo romano, dal 1956 in poi,  coincise invece con l’aggravarsi della sua malattia cardiaca che la rese sempre più fragile.

 Condusse una vita appartata al quartiere Aventino, accanto al compagno Elemire Zolla, sotto la protezione della grande chiesa di Sant’Anselmo che la scrittrice frequentava volentieri: «Il suono delle campane che ordina il giorno, accompagna dolcemente la notte – questa esistenza infine, quasi di oblati in ritiro – è puro olio soave sull’anima e il corpo». Quelli romani, ha scritto Pietro Citati, «furono anche gli anni della crisi mistica e dei testi più belli che Cristina Campo abbia mai scritto». 

Stabilì intensi sodalizi spirituali anche con personaggi del calibro di Pound, Malaparte e Ernst Bernhard, che le fece conoscere il pensiero di Jung. Contestò la riforma della liturgia decisa dal Concilio Vaticano II e si avvicinò al rito bizantino che le sembrava meglio corrispondere alla sua sete di assoluto, che cercò di soddisfare attraverso l’interesse per la metafisica orientale.  La maggior parte delle opere  della Campo (edite dalla casa editrice Adelphi) fu pubblicata postuma grazie all’affettuosa attenzione dell’amica Margherita Pieracci Harwell.

di Annalisa Terranova,Secolo d'Italia