martedì 11 dicembre 2012

Il caso Sallusti, benvenuti a Magistrolandia



Alessandro Sallusti viene querelato dal giudice Tonino Cocilovo, che si ritiene diffamato da un articolo in realtà scritto da Renato Farina sotto lo pseudonimo “Dreyfus”, riguardante la vicenda di una minorenne infraquattordicenne che il tribunale dei minori presieduto da Cocilovo avrebbe “obbligato” ad abortire. 

Viene condannato a un anno e 2 mesi più il pagamento di 5000 euro di ammenda e delle spese processuali per il reato di diffamazione a mezzo stampa. In questi casi di solito l'applicazione della sospensione condizionale della pena sarebbe prassi, dal momento che la pena inflitta è inferiore ai due anni e l'imputato è incensurato: nel caso di Sallusti invece, viene rinvenuta una “spiccata capacità a delinquere”, una propensione alla reiterazione di quel tipo di reati tale da non consentire la condizionale. Come sappiamo, il 26 settembre scorso la Cassazione conferma in via definitiva la condanna: la cosa curiosa e penosa è che a motivazione della sentenza ci sarebbe l'omesso controllo su un articolo che Sallusti non ha scritto, e la impossibilità a risalire al reale possessore dello pseudonimo Dreyfus, colui che materialmente ha commesso il reato e che anche i sassi sanno essere il nome di penna di Farina, quindi non si capisce da dove derivi questa “impossibilità”.

Si aprirebbero a questo punto per il direttore le porte del carcere, ma il procuratore di Milano Bruti Liberati, che si è occupato personalmente del caso come se lo spezzare le reni a Sallusti fosse priorità tale da scomodare il sig Bruti in persona, concede i domiciliari al direttore sulla base del decreto svuota-carceri, che consente ai condannati con pena inferiore ai 18 mesi che non costituiscono un pericolo sociale (ma Sallusti non aveva “una spiccata capacità a delinquere?”) di scontare la pena a casa... come a dire: adesso ti abbiamo cazziato, chiedi scusa, fai cuccia e ti concediamo di startene a casetta tua anziché a San Vittore. 

Sallusti invece pretende di andare in galera, di non godere di privilegi che non sono consentiti a nessun altro detenuto. Il resto è cronaca degli ultimi giorni: Sallusti “evade” volutamente dai domiciliari recandosi alla redazione del suo quotidiano, qua viene raggiunto dagli agenti della digos che gli notificano, con l'ennesimo colpo di teatro, l'ordinanza di arresto in piena riunione di redazione. Morale di tutta la favola?  

  • In Italia nel 2012 si va ancora in galera per un articolo di giornale, come in Cina, Uzbekistan, Corea del Nord, Cuba... insomma in tutti questi bei paesi dove, come ben sappiamo, la libertà di espressione è la cosa che sta più a cuore ai governanti.

  • Se per mestiere fai il magistrato, laddove vieni diffamato al diffamatore non si fanno sconti, non bastano i soldi di risarcimento ma dev'essere schiaffato nelle patrie galere senza pietà e di corsa, specie se il diffamatore si chiama Alessandro Sallusti e fa il direttore di un quotidiano che non sventola la bandiera del forcaiolismo e il giustizialismo oltranzista: la macchinosa macchina della giustizia italiana diventa di colpo più veloce di una lamborghini,implacabile e letale come un colpo di mannaia in piena testa.

  • I nostri formidabili inquirenti non sono stati in grado a quanto sembra di scoprire chi fosse sto giornalista che si firma “Dreyfus”,mentre io e milioni di altri lettori c'eravamo riusciti benissimo senza fare indagini (pensa un po'), quindi il reale colpevole è rimasto impunito condannando un altro al posto suo, nel rispetto palese (come si vede) del principio della personalità della responsabilità penale.

  • In aperto contrasto pure dei principi di materialità ed offensività, una persona è stata condannata per un comportamento che non ha realizzato nessuna lesione materiale di un bene giuridico protetto. Il magistrato diffamato dalle infami meschinità di sallusti-farina-dreyfus o chi vi pare a voi, non ci risulta che a seguito dell'articolo sia stato licenziato, degradato, abbia subito danni di alcun genere.

Oltre che una brutta pagina di democrazia come si dice, la vicenda narrata, mi sembra anzitutto una brutta pagina di giurisprudenza: principi elementari di diritto, prassi giudiziali, normative che regolano l'esecuzione penale sono stateadattate per colpire un uomo solo, e il tutto sulla base della loro vergognosa concezione esemplare della sanzione penale: chi tocca un intoccabile, ecco la fine che fa, e ciò serva di lezione ai posteri giornalistici. Colpirne uno per educarne cento, diceva Mao... 

di Federico Ponzo