Quando nel 1994 Silvio Berlusconi decise di “scendere in campo” per fermare l’alleanza progressista guidata da Achille Occhetto tanti interrogativi si aprirono nel centrodestra, soprattutto nel MSI. Nel partito della fiamma, a parte certo facile entusiasmo di quanti sognavano esclusivamente la fuoriuscita dall’isolamento durato un cinquantennio, anche i più critici fecero un ragionamento semplice e lucido:Berlusconi era il “male minore” e soprattutto un “male necessario” per la destra italiana.
Un “male minore” perché caduta la Democristiana Cristiana, che nel bene e nel male era stato un baluardo contro i comunisti, l’opzione berlusconiana era certamente più digeribile rispetto alla concreta possibilità di vedere gli ex comunisti (ripuliti apparentemente dopo il crollo del Muro di Berlino) al governo della nazione. Se la promessa della “rivoluzione liberale” di Berlusconi non era esattamente il sogno dei missini certamente il loro incubo era la continuazione di quel sistema di potere che li aveva esclusi, e perseguitati, dal dopo guerra in poi.
Perché un male? Già nel famoso video in cui Berlusconi annunciava di voler entrare in politica erano chiare le parole d’ordine della sua visione del mondo. Accusava la sinistra di non avere a cuore il mercato, il profitto e l’individuo. A parte qualche vago accenno alla solidarietà ed ai principi cattolici il suo era un vero e proprio richiamo al più estremo liberismo di stampo anglosassone. Oggi possiamo più facilmente comprendere il pericolo di quella sua visione della società e del ruolo della politica. Pensiamo come il “mercato” e la sua totale “libertà” abbiano generato in tutto il mondo un sistema economico mostruoso. Pensiamo al concetto del profitto innalzato, come da ideologia protestante, a valore supremo in spregio a qualsiasi logica di giustizia sociale. Pensiamo all’esaltazione dell’individuo che ha generato quell’individualismo esasperato in chiave anticomunitario. A questo si aggiungeva la consapevolezza della qualità della sottocultura televisiva (commerciale), di cui Berlusconi era portatore, poco compatibile con l’idea di cultura nazionale della destra. Differenze evidenti erano anche sulla visione del partito (che il disfacimento del PDL confermano). Berlusconi, sempre nel famoso video, parlava del suo nuovo partito come “libera organizzazione di elettrici ed elettori”. Non iscritti, militanti e dirigenti cioè una comunità umana e politica, legata da ideali e comune destino, ma rapporto diretto tra il capo (o meglio il padrone) e l’elettore-cliente-spettatore in perfetta logica aziendale. Sappiamo, a 18 anni da quel video, che funzionano molto meglio la vecchie strutture di partito (come ha recentemente dimostrato il PD)…
Si riteneva un “male necessario” perché doveva essere una situazione di passaggio per consentire alla destra di arrivare ad un moderno bipolarismo che la rimettesse in gioco. Berlusconi era anche lo strumento, per quanti provenivano dal ghetto della destra, per abbattere il sistema politico, economico e culturale della prima repubblica tanto odiato. Per comprendere questa posizione basta leggere un passo dell’intervista a Marcello De Angelis nel libro I Ripuliti: “Per noi Berlusconi ha avuto un ruolo strumentale. Scherzando un giorno spiegai ad un ex PCI, deputato alla Camera, che per noi Berlusconi è la dittatura del proletariato, quella situazione teoricamente non auspicabile ma necessaria come passaggio, come momento di transizione, per arrivare all’anno zero”.
Un’alleanza strategica, quella del MSI-AN con Berlusconi, che per la prima volta portava il centro, o almeno buona parte di esso, ad allearsi con la destra piuttosto che con la sinistra come era avvenuto nei 50 anni della prima repubblica.
Va comunque ricordato che Berlusconi ebbe si il merito storico di non aver avuto alcuna pregiudiziale antifascista, nella composizione dell’alleanza nel 1994, ma non fu certamente lui a “sdoganare la destra”. Questo luogo comune va rigettato perché furono gli elettori a sdoganare la destra votando in massa i candidati del MSI (ancora non era nata AN) alle amministrative del 1993. Basta ricordare che a Chieti, Benevento e Latina furono eletto sindaci i candidati del MSI. A Roma e Napoli Fini e Mussolini arrivarono al ballottaggio. A Catania nel febbraio ’94 Nello Musumeci fu eletto Presidente della Provincia. Gli italiani videro nel MSI (e nella Lega) un soggetto politico realmente alternativo al sistema partitocratico crollato dopo Tangentopoli.
Sulla base di queste considerazioni, qui ovviamente semplificate, dal 1994 al 2008 la destra italiana ha accettato la leadership incontrastata di Berlusconi del centrodestra.
Senza voler fare un bilancio definitivo dell’alleanza tra la destra italiana e Berlusconi occorre prendere atto che gran parte delle aspettative non sono state realizzate. Le colpe non sono unicamente di Berlusconi ma soprattutto della classe dirigente di Alleanza Nazionale non all’altezza del compito che la storia le aveva assegnato fin dai primi anni '90.
A parte l’introduzione di un sistema bipolare, seppur notevolmente precario, ed in campo cattolico all'argine posto contro la sinistra relativista non c’è stato un sostanziale cambiamento del Paese e l’azzeramento del vecchio apparato di potere. A fronte di tutto questo con la nascita del PDL, e le varie scissioni, quello che fu il mondo della destra italiana oggi è diviso in almeno tre partiti contrapposti. A peggiorare la situazione è l'amara constatazione che se nel '92-'94 il centrodestra riuscì a cavalcare l'onda della rabbia popolare contro la partitocrazia e la malapolitica oggi sostanzialmente ne siamo travolti. Ad oggi non ho sentito alcun mea culpa da parte dei colonnelli ex AN (a cominciare dal grande stratega Fini).
Non mi pare che la situazione politica del 2012 sia migliore di quella del 1994 per la destra italiana e per tutto il Paese. Ai legittimi dubbi del 1994 si aggiungono le vicende del 2008/2012: il fallimento dell’azione di governo, l’incapacità di tenere unito il PDL, gli scandali sessuali, le sconfitte elettorali, il recente balletto primarie si primarie no, la nuova discesa in campo di Berlusconi.
Per questo mi domando: alle elezioni politiche del 2013 la destra italiana (quello che rimane nel PDL e fuori) deve ancora una volta considerare Berlusconi un “male necessario”? Se per i dirigenti, per i militanti e per gli elettori di destra era legittimo e penso giusto sostenere Berlusconi ininterrottamente in tutte le battaglie elettorali (e senza seguire Fini in FLI) oggi tale appoggio non è scontato.
Non ho una risposta certa. Ho comunque l’impressione che il metodo seguito da Berlusconi di condurre la sua ricandidatura, ignorando la volontà degli organi di partito, renda chiara l’idea del Cavaliere sul futuro del centrodestra italiano. Sembra quasi che Berlusconi non abbia alcuna intenzione di immaginare un futuro per questa area politica senza di lui. Le prime indiscrezioni sulle candidature volute da Berlusconi sono la riproposizione dei metodi usati in Forza Italia, gli stessi che hanno notevolmente abbassato il livello della qualità della classe politica. Persiste in Berlusconi l’idea che la classe politica non si forma all’interno dei partiti ma si cerca tra imprenditori, calciatori, uomini e donne dello spettacolo. Sappiamo dove porta questa logica…
Qualcuno dice che, davanti ad una sicura vittoria della sinistra, con la ricandidatura di Berlusconi il centrodestra potrebbe limitare i danni. In particolare si dice che la destra italiana, magari riorganizzata in una lista alleata alla nuova Forza Italia, riuscirebbe a garantire una pattuglia di parlamentari per costruire il dopo Berlusconi.
Quest’ultima è chiaramente una ipotesi razionale in un momento così difficile. Però alla luce dei recenti tracolli elettorali, e del crescente distacco del nostro elettorato da Berlusconi, è necessaria una più attenta riflessione che non deve escludere scelte diverse. Temo che la nostra gente non ci perdonerà una nuova alleanza nel nome di Berlusconi.
Non sarà forse di grande attualità lo storico motto del MSI "non rinnegare, non restaurare"? Tradotto in termini attuali: non dobbiamo rinnegare (come indegnamente ha fatto Fini) le scelte giuste e sbagliate a fianco di Berlusconi, non possiamo pensare di restaurare un leader da consegnare ormai ai libri di storia.
E' forse il tempo di scelte coraggiose, di tatticismo si muore. E soprattutto si muore senza onore.
di Mauro La Mantia