Quando l'ideale divorzia dal reale nasce il tragico, poi il comico, quindi il sognatore, infine il pazzo. In una parola, Don Chisciotte. Lui, il Cavaliere dalla trista figura, in conflitto eroicomico con la realtà e il suo tempo, li riassume tutti.
«Non sento la filosofia che poeticamente - scrive Unamuno - e innanzi tutto religiosamente». Unamuno è con Ortega y Gasset il filosofo più importante del Novecento spagnolo, spesso paragonati a Croce e Gentile. Ambedue vitalisti ma Unamuno in versione tragica e con tratti più letterari. In Italia i primi a scoprirlo furono Papini e Prezzolini. Il filosofo cattolico M. F. Sciacca gli dedicò un gran bel libro, Il chisciottismo tragico di Unamuno. La sua filosofia è ispirata a un sentimento tragico e onirico della vita, figlio di Don Chisciotte e del Sigismondo de La vita è sogno di Calderon de la Barca. Percorre i suoi scritti un vivo senso del paradosso e del capovolgimento, fino all'irrealismo magico. Unamuno esalta la guerra come «scuola di fraternità e vincolo d'amore» e in uno scritto tristemente profetico scrive nel 1915: «Sia benedetta da Dio la guerra civile... senza sangue fraterno non c'è patria».
Il suo terribile auspicio fu esaudito nella sanguinosa guerra civile spagnola che Unamuno non vide conclusa perché morì l'ultimo giorno del 1936. Se l'avesse vissuta, si sarebbe pentito?Il più importante commento al Don Chisciotte di Miguel de Cervantes è di un filosofo spagnolo del primo Novecento, Miguel de Unamuno. Nativo di Bilbao, insegnò all'Università di Salamanca, fu esiliato alle Canarie. Di lui esce ora una raccolta di saggi, In viaggio con Don Chisciotte (Medusa, pagg. 140, euro 16,50). Il suo Don Chisciotte è un Cristo folle, con «i baffi, grandi neri e spioventi» e questa sua immagine ricorda l'ultimo Nietzsche nelle braccia della pazzia. Unamuno sottrae Don Chisciotte al suo autore, lo rende autonomo, universale, lo consegna alla mitologia, ne fa il genio di un popolo.
A dir la verità questi saggi non sono un granché, nulla di paragonabile al Commento uscito nel 1905. Qualche anno fa Medusa aveva pubblicato con il titolo Cultura e nazione un'altra opera di Unamuno uscita nel '45 in Italia a cura di Carlo Bo col titolo Essenza della Spagna. Meglio sarebbe quest'anno ricordare di Unamuno i cent'anni della sua opera filosofica più significativa, Del sentimento tragico della vita, uscita nel 1913, tradotta da SE nel 1989 (importante è pure L'agonia del cristianesimo).
La verità per Unamuno si dissocia dalla realtà e vince sulla menzogna tramite la follia. Vera, per Unamuno è «ogni cosa che alimenta nobili slanci e partorisce opere feconde» e falsa è «ogni cosa che soffoca gli impulsi generosi e produce sterili aborti». Una visione emotiva, etica ed estetica della verità fondata sulla superiorità dell'Inutile. L'insuccesso è il sigillo che nobilita l'azione, «la vittoria delle vittorie è perdere tutto». Risuona il motto dell'hidalgo: «la sconfitta è il blasone dell'anima ben nata». «Solo gli amori infecondi sono fecondi di frutti spirituali - scrive don Miguel -, solo la sterilità temporale dà la fecondità eterna». L'amore per lui è «ciò che vi è di più tragico al mondo», figlio dell'inganno e padre del disinganno. Il fato è la fratellanza d'amore e dolore. Non a caso Unamuno cita spesso Leopardi e in particolare La ginestra.
Gli uomini per lui si dividono in carnali, cardiaci e intellettivi: la sua barba nera, il suo sguardo appassionato e i suoi occhialini penetranti li riassumono de visu. Anche Dio e l'immortalità sono sogni per Unamuno, ma sogni che fanno vivere, dunque sono veri. Se la vita è sogno «lascia che io la sogni immortale». Il ponte tra la vita e il sogno è la gloria, la stessa che persegue Don Chisciotte. La gloria è la speranza di continuare a vivere negli altri, immortalità terrena. In una pagina vibrante Unamuno scrive: «L'essenziale è non morire. Non morire! Non morire! Questa è l'ultima radice della follia chisciottesca. Ansia di vita, ansia di vita eterna ti dette l'immortalità, Don Chisciotte mio, il sogno della tua vita fu ed è il sogno di non morire». Egli, nota Sciacca, «non vuole, non ama Dio, vuole e ama se stesso; se la sua sopravvivenza potesse essergli assicurata anche senza Dio, non chiederebbe di più e forse di meglio».
Gli uomini per lui si dividono in carnali, cardiaci e intellettivi: la sua barba nera, il suo sguardo appassionato e i suoi occhialini penetranti li riassumono de visu. Anche Dio e l'immortalità sono sogni per Unamuno, ma sogni che fanno vivere, dunque sono veri. Se la vita è sogno «lascia che io la sogni immortale». Il ponte tra la vita e il sogno è la gloria, la stessa che persegue Don Chisciotte. La gloria è la speranza di continuare a vivere negli altri, immortalità terrena. In una pagina vibrante Unamuno scrive: «L'essenziale è non morire. Non morire! Non morire! Questa è l'ultima radice della follia chisciottesca. Ansia di vita, ansia di vita eterna ti dette l'immortalità, Don Chisciotte mio, il sogno della tua vita fu ed è il sogno di non morire». Egli, nota Sciacca, «non vuole, non ama Dio, vuole e ama se stesso; se la sua sopravvivenza potesse essergli assicurata anche senza Dio, non chiederebbe di più e forse di meglio».
Unamuno resta nell'orizzonte umano e immanente del soggettivismo eroico, in una visione disperata e solitaria, anche se il suo sentimento tragico si riferisce non solo ai singoli ma anche ai popoli. Ricorrente è il richiamo all'essenza spagnola e alla sua tradizione eterna. Il Don Chisciotte per lui è una specie di Vangelo dell'hispanidad, categoria geospirituale, etno-metafisica. I suoi discendenti sono l'esteta, il dandy, l'eroe solitario. Il chisciottismo è l'altra faccia dell'utopia rivoluzionaria che ha percorso la modernità. Versione fantastica e singolare l'una, visione storica e collettiva l'altra. Ma la differenza tra Don Chisciotte e i rivoluzionari è essenziale: il primo carica sulle proprie spalle il costo proibitivo dei suoi sogni solitari, i secondi invece li riversano sugli altri, anzi pretendono che gli altri facciano i loro stessi sogni e li vadano ad abitare. E quando il sogno si oppone alla realtà, tanto peggio per la realtà. In quella differenza c'è tutta l'abissale distanza tra la magnifica, solitaria, gentile e disperata grandezza dei cavalieri che vivono e muoiono del loro ideale nel loro romantico delirio e la cupa, feroce, messianica ideologia dei rivoluzionari che impongono al mondo la pretesa di una società perfette.
Certo, anche fra gli utopisti rivoluzionari vi furono nobili sognatori, martiri dei loro ideali; ma quando i rivoluzionari puri vanno al potere sono più crudeli e intransigenti dei rivoluzionari impuri, disposti al compromesso con la realtà. Perché ogni assoluto trasferito in terra produce mostri, tiranni, violenze, regimi totalitari. Invece i sogni rimasti nella sfera ideale e singolare si traducono in creatività, opere d'arte, figure letterarie. Uno rappresenta il sentimento tragico della vita, gli altri il risentimento tragico della storia. Un plotone di Don Chisciotte farebbe paura; invece un Cavaliere solitario e anacronistico, fuor di senno e di tempo, accompagnato solo dal suo fido scudiero e da un grappolo di sogni e allucinazioni, suscita un nugolo di sentimenti: riso, tenerezza, pietà e nostalgia. La solitudine è la sua follia ma è anche la nostra salvezza. Il suo irrealismo cavalleresco lo destina alla sconfitta storica e alla gloria letteraria. In palio per Don Chisciotte non c'è la conquista del potere ma il favore di Dulcinea del Toboso e dei suoi lettori.
di Marcello Veneziani