Guerra del pesce nel Canale di Sicilia: il Governo Monti scarica sulle imprese della pesca e sui pescatori siciliani la responsabilità dei sequestri dei pescherecci di Mazara del Vallo nel Canale di Sicilia. È incredibile a dirsi, ma le cose stanno proprio così. E’ evidente che l’attuale Presidente del Consiglio, il Ministro che si occupa di questo problema e i collaboratori di questo esecutivo di dilettanti allo sbaraglio non conoscono l’argomento che affrontano.
I pescatori siciliani – e dietro di loro gli armatori – sarebbero colpevoli di andare per mare a esercitare una delle poche attività primarie rimaste nel nostro Paese. Incomprensibile davvero la posizione delle autorità politiche del nostro Paese, se si pensa che la cosiddetta “guerra del pesce” affonda le radici agli inizi degli anni ’60 del secolo passato, quando il governo libico del colonnello Muammar Gheddafi, unilateralmente, delimitò i confini marini della Zona Economica Esclusiva (ZEE) a 200 miglia dalla costa (per tutti gli altri Paesi che si affacciano nel Mediterraneo le acque internazionali cominciano dopo alle 12 miglia). La conseguenza è stata quella dell’inibizione ai pescherecci siciliani nelle pescose acque oggetto della limitazione. (foto sopra tratta da pubblicitaitalia.com)
A questo ha fatto seguito una lunga successione di sequestri di natanti. Una vera e propria pratica piratesca che, nel corso degli anni, ha provocato danni economici al mondo della pesca della Sicilia. Nel corso di questi decenni si contano tanti pescatori feriti da attacchi di vedette militari libiche effettuati con l’uso delle armi, con momenti di grave tensione sociale causata anche dalla morte di pescatori. E dai sequestri di pescherecci che arrivano fino ai nostri giorni.
Lo Stato italiano che fa fatto e che fa? Assente o quasi. Intento in questi decenni a chiudere affari intorno a settori quali, per esempio, quello dell’estrazione del petrolio libico. Chi ha difeso armatori e pescatori siciliani? Nessuno, se non, eccezionalmente, qualche politico di turno, spinto da amicizie locali (ci provò, alla fine degli anni ’80, l’allora presidente della Regione siciliana, Rino Nicolosi: iniziativa che suscitò plausi e critiche, queste ultime da Roma).
Nel complesso, la politica italiana è stata fallimentare. E ancora più fallimentare, nell’ultimo decennio, è stata la politica dell’Unione Europea, che nel Mediterraneo si fa sentire solo per aggravare la vita dei nostri pescatori.
Con un’Unione Europea che nel Mediterraneo esiste solo per creare problemi al mondo della pesca, con un Governo nazionale – il Governo Monti – inadeguato sono proseguiti, nei mesi scorsi, i sequestri di pescherecci da parte di gruppi di pirati libici. Ma anche da parte di altri Paesi del Nord Africa che si affacciano nel Mediterraneo. Qual è stata la reazione delle autorità politiche e militari italiane?
Ci si sarebbe aspettati una ferma presa di posizione del Governo dei ‘tecnici’ guidato da Mario Monti (che oggi, non si capisce a che titolo, cerca voti in Sicilia). Invece, nulla di tutto questo è stato fatto. Nulla. A Roma convocano vertici e riunioni. Che non approdano a nulla. Come quella che ieri si è tenuta alla Farnesina. L’incontro è stato presieduto dal direttore generale del Ministero degli Esteri, Ambasciatore Andrea Meloni, e dal Capo dipartimento del Ministero delle Politiche Agricole, Giuseppe Serino. Sonon intervenuti anche i delegati del Ministero della Difesa, il Console italiano a Bendasi, Guido De Santis e i rappresentanti delle organizzazioni sindacali e datoriali della pesca. L’occasione per affrontare la spinosa questione delle acque libiche interdette alla pesca. Lodevole iniziativa , per carità. E le soluzioni? Chiacchiere.
Dura la dura presa di posizione del presidente del Distretto produttivo della pesca di Mazara del Vallo, Giovanni Tumbiolo. “È inaccettabile la pretesa di imporre il divieto di pesca alle imbarcazioni siciliane nelle acque internazionali prospicienti la Libia. Ed è altrettanto inaccettabile il tentativo, da parte delle autorità militari italiane, di scaricare la responsabilità sugli armatori e sui capitani delle imbarcazioni da pesca. È come chiedere al tabaccaio a o alla banca di chiudere l’esercizio perché vengono rapinati”.
Va da sé che l’attuale situazione politica in Libia non aiuta. Manca il dialogo. Mancano precisi riferimenti istituzionali. L’attuale contesto internazionale, comunque, non esime lo Stato italiano da una lunga responsabilità sull’annosa vicenda della “guerra del pesce”.
di Giuseppe Messina