martedì 5 febbraio 2013

D'Annunzio a fumetti tra grandi imprese e avventure d'amore


Nelle tavole la vita ardimentosa di un poeta che guardava al futuro. Disegni di Marco Sciame e prefazione di Giordano Bruno Guerri

Narrare. Raccontarsi, rivoltando le parole fino allo sputo. Non importa come, dove, con chi, fosse anche uno specchio. La vita come arte, sogno, avventura, rappresentazione, con quell'ossessione estetica di superare l'umano, come una sfida alla miseria che lo circonda, alle sue paure, al suo cranio calvo, a quell'odore di Abruzzo che gli resta addosso e lui sublima, canta, vomitando in faccia al mondo le proprie origini e la sua grandezza.
D'Annunzio si disegna come un eroe, come l'ultraumano e il suo ritorno non può che essere in un universo dove quelli come lui hanno ancora diritto di cittadinanza. È la graphic novel la terra del suo ritorno, magari passando per il teatro, il luogo dove ha immaginato tutta la sua vita. Gabriele D'Annunzio, tra amori e battaglie è prima di tutto un testo e uno spettacolo per il teatro. È il volto e la voce di Edoardo Sylos Labini. È la regia di Francesco Sala. È un tour che fino ad aprile attraversa l'Italia, 150 anni dopo la nascita del poeta. Solo che la tentazione del fumetto è troppo forte, narrato con la sceneggiatura di Sylos Labini e Sala, con la matita di Marco Sciame e la prefazione di Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale degli Italiani.Come il demiurgo che getta i dadi e si diverte a sfidare il caso, dando un senso al destino. 
Gabriele D'Annunzio, poeta, vate, comandante, seduttore, aviatore simil futurista, decadente e vitalista, conquistatore di Fiume, prima o poi doveva capitare da queste parti, in questo ventunesimo secolo dove ognuno brucia il suo quarto d'ora di celebrità. No, non in televisione, come un qualsiasi tronista. D'annunzio non vestirebbe mai i panni di un Casanova dozzinale, da supermercato, lui che pure battezzò la Rinascente. Certo, anche lui faceva sfilare le sue pretendenti come fanno quei tipi tatuati. La differenza, però, è nel gesto e nell'orizzonte. Non si sarebbe mai accontentato di quindici minuti di gloria, il suo orologio batteva solo l'eternità. È la differenza incommensurabile tra un Vate e il tronista.
D'Annunzio si racconta, con faccia giusta per un eroe di carta. D'Annunzio dandy, che vive come un dono la sua profonda solitudine e si circonda del superfluo, di cose inutili e belle, come se in quei feticci lasciasse cadere una parte della sua anima. D'Annunzio che sogna in grande e vola su Vienna, bombardandola di volantini e sfidando i cavalieri del cielo. D'Annunzio che grida contro la pace di Parigi e va a prendersi l'Italia abbandonata, sull'altra sponda del Mediterraneo. D'Annunzio e le sue donne, che anche disegnate a matita conservano il fascino e i peccati. Il lamento di Maria, moglie troppo giovane, ricca e nobile e sciagurata, che vede sfiorire il suo amore di tradimento in tradimento, perché come Dylan Dog il Vate non conosce il principio della fedeltà. «Io - dice lui - sono la puttana d'Italia - che si odia per amore». C'è Luisa la giovane pianista, che lo tenta, si concede, si piega e lo ammalia in ginocchio e lo inganna legandolo con le visioni e il vizio della polvere bianca. Luisa che deve contendersi la casa e il letto con la timida cameriera francese Amélie, che si dona bocca a bocca. D'Annunzio che a ogni donna cambia il nome, come fa un padrone, come fa un padre. D'Annunzio che non riesce a dimenticare l'unica che come lui ha fatto della vita un palcoscenico, la meravigliosa Duse, la divina Duse, la disperata Eleonora Duse.
Non è difficile allora immaginare uno così nelle terre del fumetto. È quasi perfetto. È come trovarsi a casa. È disegnare la vita che avrebbe voluto, quella che ogni secondo ha cercato di mettere in scena. Lo potete immaginare come satiro nei giochi di Manara, far impazzire la femmina con un click, ma senza trucchi o marchingegni, solo con la seduzione delle parole. O perché no? Perso in qualche avventura di Dampyr, come eterno maestro della notte. Ma l'incontro più importante è già avvenuto. Lui e Corto Maltese, a Venezia, un una delle più belle citazioni di Pratt. E si capisce che i due si piacciono. Non poteva non essere che così. Corto nasce privo della linea della fortuna lungo la mano sinistra e allora con un coltello ben affilato se la disegna da solo, lasciando per sempre il segno di una profonda cicatrice. È un gesto degno del Vate. È la sua firma. La firma di quest'uomo «basso, calvo, occhi perennemente cerchiati dalla stanchezza, naso lungo, la voce melata, un personaggio della commedia dell'arte, con l'arietta furba e crudele di un Arlecchino». D'Annunzio.
di Vittorio Macioce -ilgiornale.it