Si parla di un nuovo soggetto di destra, ma «se se ne va Berlusconi come lo fanno? Facendo finta di andare dietro alla Chiesa? Già ora a Roma la Chiesa vota per Marino e con cruda lungimiranza bastona il cane che affoga che pure gli fu molto fedele». Pietrangelo Buttafuco, giornalista e scrittore con addosso da tempo l’etichetta di “intellettuale di destra” non vede improvvisi risvegli dal coma in cui è piombata la destra.
Come è potuto accadere che la destra si vaporizzasse così?
«È finita. È finita non tanto perché sia finito un ciclo, ma perché si sono fatte delle mosse politiche che hanno portato in quella direzione. Ci si è accontentati di quella che Beppe Niccolai definiva “la pesca delle occasioni” e non si è mai lavorato ad una strategia che garantisse una lunga durata in termini culturali e di identità politica. Questo ha avuto come esito la fine di tutto un mondo».
Quali sono state queste occasioni perse?
«La destra è stata bene o male protagonista in 20 anni di stagione berlusconiana in cui poteva intervenire e dare il meglio, mettersi alla prova con la realtà. Non ha saputo reggere il confronto con la realtà, anche in ambiti propriamente di destra come nel rapporto con la magistratura e le forze dell’ordine, o con la stessa organizzazione culturale, basti pensare al ridicolo in cui è piombata la destra confrontandosi con quella macchina culturale che è la Rai. È stata l’incapacità di approfittare degli strumenti per creare qualcosa di solido e soprattutto è venuta meno a quello che doveva essere la ragione sociale di un partito di destra: forgiare una classe dirigente, un’élite. E non l’ha fatto perché “la pesca delle occasioni” è stata limitata alla garanzia di sopravvivenza di un determinato gruppo di persone che con la politica ci campa».
La destra ha anche quasi rinunciato alla possibilità di incidere, scegliendo ruoli di rappresentanza come la presidenza della Camera o ministeri delle politiche giovanili o delle politiche europee, perché?
«Ha preferito ruoli in cui si trova la facilità demagogica, ma non credo sia solo questo. Bisogna dire la verità: la destra è inadeguata nel rapporto con la realtà. Perché anche una storia dei emarginazione lunga quasi mezzo secolo e che ha portato ad una forma di autocompiacimento dell’emarginazione e quindi all’incapacità di saper gestire e manovrare sia le stanze dei bottoni che perfino i libri. Persino la Lega che in questa stagione politica è stata massacrata è riuscita ad avere ottimi sindaci ed amministratori, ha vinto comunque in Lombardia ed ha avuto ottime prove di governo, basti pensare che Maroni è stato tra i più bravi ministri dell’Interno della storia dell’Italia repubblicana. Non penso che da destra ci sia qualcuno che possa vantare di aver lavorato bene quand’ha avuto la possibilità di stare in un ministero o in un cda».
È vero che la destra di An prima e PdL poi ha pensato solo a conservare il consenso, ma forse non quello che ha fatto il Msi coltivando per 50 anni il proprio orticello postfascista?
«No non è così. La storia del Msi è la storia di personalità inserite nel tessuto vivo della società italiana, personalità che avevano un ruolo indipendentemente dall’essere parlamentare, mentre invece dopo è stata una vicenda che ha riguardato solo chi puntava a mantenere il posto da deputato. Il Msi era fatto di personalità di altissimo livello: quando Ernesto de Marzio entrò in clinica per l’ultimo intervento chirurgico aveva fra le dita la Metafisica di Aristotele, mi riesce difficile immaginare un esponente politico in grado di leggere almeno una pagina di quel libro».
Quale dovrebbe essere la parola d’ordine della destra oggi?
«Sovranità. L’Italia affonda la sua storia e le sue radici nei millenni e se non rivendichi una sovranità non hai la possibilità di muoverti nella grande, violenta, terribile e necessaria giostra della realpolitik. Senza identità sarai cancellata come niente».
Ma la destra può rivendicare “sovranità” per l’Italia se non ha la forza di reggersi in piedi da sola?
«Dipende dalla capacità di darsi un gruppo dirigente. Il vero problema è questo: l’élite. Se non si fabbrica un’élite in grado di reggere il destino di un popolo non puoi fare una nazione. E poi bisogna andare incontro alla popolazione attiva, quella che costruisce il futuro, altrimenti non puoi fare niente. Già è stata una scommessa tragica e impegnativa la nostalgia nei confronti di quella che fu l’Italia del Ventennio fra le due guerre, figurarsi quanto può essere politicamente produttiva la nostalgia verso un aborto come il PdL. Il PdL non esiste, esiste solo Berlusconi: se togli Berlusocni il PdL si sgonfia, sparisce, e in questo sparire non ti accorgi neppure che una volta in tutto ciò c’era una destra».
di Luciano Capone(lintraprendente.it)