da tempostretto.it
Ci sono date che rappresentano veri e propri spartiacque nella vita di un uomo così come nella storia di una comunità, di una città intera. La data, l'evento spartiacque, per Messina, per più di un secolo, è stato il terremoto del 1908, tragedia alla quale i più fatalisti attribuiscono la responsabilità dell’indolenza tipica di una certa messinesità maggioritaria. Poi è arrivato il 1. ottobre 2009. Poi è arrivata quella sera, quella lunga sera di pioggia, di “bombe d’acqua”, così le hanno chiamate. E la mattina dopo Messina s’è ritrovata “bombardata”, appunto, e perciò ferita, mutilata. E ha trovato la sua nuova data spartiacque. Spesso ci si interroga come certi eventi, nella vita di un uomo così come di una comunità, possano cambiarne abitudini, modi di pensare, mentalità nel senso più ampio del termine. Non sappiamo ancora se e quanto effettivamente Messina sia cambiata, dopo quel 1. ottobre, sospesi come siamo tra la voglia di invertire una marcia pericolosa e la demagogia di chi, quell’inversione di marcia, vuole darla solo a vedere. Non sappiamo neppure se e quanto Messina abbia imparato, dopo quella data spartiacque di cui oggi ricorre il secondo anniversario.
Abbiamo imparato di sicuro cos’è il dissesto idrogeologico, terminologia ai più sconosciuta prima di quella notte ed oggi temuta più del secolare “rischio sismico” a cui abbiamo finito per farci l’abitudine. Abbiamo imparato che le frane possono fare più male di un terremoto e che amare il proprio territorio significa anche prendersene cura giorno dopo giorno, perché poi, alla resa dei conti, esso, il territorio, non guarda in faccia nessuno. Abbiamo conosciuto il dolore atroce di vedere tre palloncini bianchi lì dove non avrebbero mai dovuto essere, sospesi su bare di legno troppo piccole per trattenere lacrime di rabbia e di fisica sofferenza. Abbiamo capito, qualora ce ne fosse bisogno, che certe bassezze di quella politica troppo lontana dal senso quasi “missionario” che il ruolo imporrebbe non si fermano di fronte a nulla, nemmeno 37 morti. E si spera si sia capito che le promesse, quando non seguite dai fatti, andrebbero strozzate in gola piuttosto che gridate ai quattro venti lasciando un’eco senza sostanza e con troppa inconsistenza.
Quella data spartiacque ci ha insegnato quanti significati può avere la parola fango. C’è il fango materiale, quella poltiglia di terra e acqua che sa essere assassina se portata giù dalla violenza della vendetta nei confronti dell’indifferenza dell’uomo che non sa prendersi cura della madre terra e non sa cogliere i segnali della non sempre benigna madre natura. C’è il fango che ricorda la propria origine gotica del termine, “fani”, “melma”, “palude”, la palude di parole vacue, la melma di sciocchezze che hanno contribuito pergiunta a creare una macchina del fango, appunto, che è riuscita a dare il colpo di grazia, sotto l’insegna bugiarda dell’abusivismo, ad una comunità già massacrata. C’è il fango quale disonore, immoralità, e qui lasciamo al lettore la facoltà di attribuirla a chicchessìa, questi due anni lasciano spazio a più possibilità. Il fango è stato scelto per dare il nome anche ad un museo, che ha l’ambizione di immortalare ciò che è successo e di farne occasione di rinascita, per quanto possibile, culturale e personale. Il fango è anche un modo per ripartire, a volte serve a curare, altre a “depurare”, altre ancora a ricostruire, proprio così. Ad ognuno è lasciato un ricordo diverso di quel 1. ottobre 2009, nuova data spartiacque dell’indolente e acciaccata Messina. E ognuno può dare un significato diverso alla parola fango, così tristemente protagonista di quel giorno. Ognuno di noi ha avuto, in questi due anni, e continuerà ad avere la possibilità di imparare qualcosa, da quel nefasto evento. C’è chi, di quanto imparato, ha fatto o farà tesoro. Chi, invece, o non ha imparato oppure ha dimenticato troppo in fretta. Per tutti, però, oggi è la giornata della riflessione. Per imparare. Per capire. Per non dimenticare.