giovedì 27 ottobre 2011

SCEGLI I NOSTRI CANDIDATI

liceo classico "GB.Impallomeni"- liceo scientifico "A.Meucci"
CONTRO IL NULLA CHE AVANZA
Per costruire la destra studentesca,per tutelare i diritti di tutti gli studenti,per abbattere i muri rossi..
per crescere..per osare..
alla consulta scegli i nostri candidati...
LA SPADA-SAIJA

(unica preferenza)

mercoledì 26 ottobre 2011

domenica 23 ottobre 2011

ONORE AI RAGAZZI DI BUDAPEST

‎23/10/1956 - 23/10/2011



"Ragazza non dire a mia madre
che io morirò questa sera
ma dille che vado in montagna
e che tornerò a primavera"

venerdì 21 ottobre 2011

SIRTE COME PIAZZALE LORETO


È stato giustiziato Gheddafi e con lui sembra essere terminata la guerra civile libica.  In molti si aspettavano la morte del colonnello, in pochi, forse, potevano prevedere una fine così brutale e cruenta. 
Il civile mondo occidentale esulta adesso unanime alla morte del “dittatore”, alla vittoria del popolo libico ed alla primavera araba. 
Le parole chiave per giustificare questa guerra umanitaria è stata “primavera araba”.
L’occidente, dopo essersi totalmente disinteressato alle rivolte della Tunisia, dell’Algeria, della Siria e dello Yemen,  improvvisamente, ha scoperto questo strano fenomeno ed ha capito che poteva servirsene per i propri interessi.
 La primavera araba appariva ora come il metodo di legittimazione più valido e credibile. Europa ed America potevano assolvere alla loro vocazione di esportatori di democrazia, aiutando il “buon selvaggio” a liberarsi del dittatore e nel frattempo portare avanti una silente conquista dei mercati libici.
Chi, però, etichetta la guerra libica come avvenimento apicale della primavera araba, nulla ha compreso di ciò che è accaduto nel Maghreb. 
Se si vuole includere, obtorto collo, la Libia in questo processo si sarà costretti a decretare la fine di quel movimento, il fallimento della partecipazione attiva, l’inutilità dei movimenti nati dal basso.  
La situazione libica ha presentato fin da subito delle evidenti anomalie. Mentre negli altri Stati limitrofi si accendevano proteste popolari, nate da necessità primarie come la richiesta di calmierare i prezzi del pane e delle materie prime, in Libia i rivoltosi non provenivano di certo dalle fila popolari.  A scendere in piazza sono stati fin dalle prime ore uomini armati ed organizzati in formazioni paramilitari, legittimati ed aiutati dall’ONU e dal suo braccio armato, la NATO.  
 
Dopo aver fornito armi, basi e legittimazione alla guerra civile libica, le superpotenze mondiali forniscono ora anche una fitta rete di menzogne, volte ad eliminare ogni ombra o sospetto su un possibile interesse “neocoloniale”. 
È superfluo ripetere che quella libica è stata solo una delle tante guerre economiche per il controllo del petrolio.  Il presidente Barack Obama non ha perso tempo nel dichiarare che sarà il solo popolo libico a decidere del proprio futuro, assicurando, però, che si rimarrà in Libia anche dopo per vigilare sui vincitori e proteggere i civili. Gli interessi in ballo sono troppi per poter lasciare realmente il potere al popolo.
Dopo la fine della guerra civile, la Libia si dovrà apprestare a pagare il suo tributo alle potenze liberatrici. Schiava delle superpotenze che li hanno soccorsi, gli insorti consegneranno la fonte della loro ricchezza in mano agli industriali americani ed europei. 
La Libia non è diventata terra libera, si è solo trasformata in una nuova colonia occidentale, sfruttata e spogliata di ogni libertà e potere autonomo.  
La Libia ha sempre rivestito un ruolo di primaria importanza nei traffici tra Mediterraneo e Medio Oriente e Gheddafi era considerato ormai difficilmente controllabile dall’Occidente. Ecco allora che la guerra civile libica viene subito utilizzata per trasformare quel vecchio alleato dell’occidente in un moderno dittatore. 
Gheddafi è stato accolto da ogni potenza europea con numerosi inchini e cerimonie. Tutto il democratico occidente ha concluso con il dittatore molteplici accordi economici, in virtù di solide alleanze. Tutto, però, è stato presto oscurato e dimenticato e quello che prima veniva innalzato come un esempio di apertura del mondo arabo al “civile” mondo occidentale è stato presto trasformato in un sanguinario dittatore da eliminare con ogni mezzo. 
Che Ghedaffi non avrebbe mai subito un processo appare scontato. Dopo il processo-farsa di Saddam Hussein, le superpotenze democratiche hanno capito che meglio sarebbe stato sbarazzarsi fisicamente del nemico, facendo apparire tutto come un incidente di guerra. 
Sulla legittimità dell’uccisione di Gheddafi sono, però, sempre più insistenti i dubbi.  Ciò che è accaduto al colonnello, grazie alle numerose riprese amatoriali, che sono riuscite a sfuggire al controllo mediatico americano, non può passare per un incidente di guerra. 
Con ogni probabilità ad uccidere il colonnello è stato uno dei tanti raid della Nato, ma meglio attribuire l’azione ad un improbabile ragazzo ventenne che da solo avrebbe sfilato al dittatore la sua arma d’oro e l’avrebbe finito. 
Gheddafi è stato giustiziato sommariamente, ma l’Occidente si scrolla ogni responsabilità, attribuendo il gesto alla volontà del popolo libico, al suo legittimo diritto di autodeterminarsi e decidere del proprio futuro. 
Attorno all’intera vicenda della morte del dittatore è stato poi costruito un intero apparato volto a sminuire la sua figura, rendendo più accettabile agli occhi del mondo la sua uccisione. 
Come potrebbero, infatti, questi invasori, talmente vigliacchi da nascondere la propria sete di denaro e potere dietro fittizi aiuti alle popolazioni, accettare una lezione di valore da quello che solo adesso è stato dipinto come un dittatore? 
Sarebbe stato difficile accettare che Gheddafi non sarebbe mai fuggito dal suo Paese, non si sarebbe mai arreso e che sarebbe stato fermato soltanto se ucciso in battaglia. 
Ecco, allora che la macchina menzognera e giustificatrice si muove per costruire la figura di un uomo sanguinario che, però, è piegato dalla paura della morte, un dittatore che si nasconde in una buca, che prega i suoi sciacalli di non sparare. 
Tutte azioni volte a diminuire l’imbarazzo, a dimenticare tutto ciò che è stato. 
D’altra parte ben più imbarazzante  sarebbe stato catturare vivo Gheddafi e trascinarlo in un tribunale. Il colonnello si sarebbe ritrovato accusato proprio da coloro i quali lo hanno accolto con ogni onore fino a qualche tempo fa, si sarebbe forse trovato a ricordare al mondo gli accordi ufficiali stretti con i suoi accusatori ed avrebbe svelato tutti gli accordi sottobanco stretti con Stati Uniti d’America, Europa e Palestina. Anche per gli insorti, molti dei quali fino a poco tempo fa erano seguaci fedeli del colonnello, sarebbe stato difficile spiegare alla popolazione libica ed al resto del mondo questo veloce voltafaccia. 
In molti oggi paragonano Sirte a Piazzale Loreto, inneggiando ad essi come momenti storici che hanno condotto le popolazioni alla democrazie ed alla libertà. 
In effetti, parecchie sono le similitudini tra i due eventi, entrambi i giustiziati sono dapprima stati acclamati ed esaltati dalle varie corti mondiali e poco dopo etichettati come dittatori, entrambi sono stati assassinati perché tenerli in vita dopo la caduta del loro regime avrebbe creato troppi imbarazzi e dietro la morte di entrambi si nasconde la mano di un popolo invasore, esportatore della democrazia.  
Chi fa questo paragone dimentica però ,che in seguito a quelle morti, anni di guerra civile hanno squartato l’Italia, dimentica che ancora oggi paghiamo attraverso il vassallaggio all’America il prezzo di quella tanto acclamata “liberazione”. 
 
Valeria Mannino
da plusultraweb.it

lunedì 17 ottobre 2011

Eppure era un film già visto: "Il ritorno dei Servi del Caos"





E' un disastro naturale e civile. Come un onta di petrolio e carbone che incontra palazzi e vetrine, auto e negozi anzichè spiagge ed animali. E' ovvio che qualunque tipo di commento a caldo sarebbe appunto "a caldo" e dunque di parte, eppure, in molti, tra i ragazzi di destra, avevano commentato la manifestazione con toni contrastanti ma comunque pacati e quasi ammicchevoli. "Giusto" scrisse qualcuno giorni fa "parlare di lotta alle banche, all'Europa, al capitalismo, a chi governa questa crisi" una voce bipartizan che viene dal basso. Eppure, nessuno, credo a destra e a sinistra, avrebbe voluto vedere questo l'indomani del 15 ottobre del 2011. 

Per la seconda volta in 10 mesi, e con più violenza e rabbia, Roma ha subito danni per milioni di euro (solo nel suo vulnus pubblico). Una protesta che qualcuno aveva definito sacrosanta nei modi e nei tempi, ma che ha visto come vittime negozianti, cittadini comuni, poliziotti quasi inermi per leggi pacifiste che vietano l'uso delle armi sui violenti (siano essi ultras o siano essi black bloc).
Eppure qualcuno ha detto "si sa, succederà ancora, e sposteranno l'attenzione dala protesta alla violenza" quasi come monito per la stampa e per i politici. Eppure, non è stato così perchè questa volta molti politici, Casini su tutti, avevano definito oneste e plausibili le proteste di piazza.
Eppure, avvisaglie che la cosa avrebbe preso un altro percorso, ce n'erano. Andiamo con ordine.
Pochi giorni prima uscì un comunicato sulle bacheche di Indymedia, la rete indipendente dei centri sociali, che tonava, cito testualmente:

"(...) l'iniziativa (europea) nasc...e con spirito sorprendentemente rivoluzionario. L'occasione è unica; a Roma si troveranno centinaia di migliaia di persone anche se tutti i media di stato censurano e non dicono nulla di ciò. SICURAMENTE le FORZE di POLIZIA ci ATTACCHERANNO anche non dovesse esserci il minimo intento conflittuale (che comunque ci sarà e DEVE ESSERCI da parte nostra): dobbiamo tutti, rivoluzionari di ogni tendenza, comunisti, libertari e tutto/i coloro che saranno lì per rabbia e coscienza del baratro nel quale ci vogliono gettare DEFINITIVAMENTE, COMBATTERE !!!!! Non come a Genova nel 2001 ! Non come il 14 Dicembre 2010 ! Non dobbiamo fermarci ! Portare con se' di "tutto" per PRENDERE e TENERE la 'PIAZZA' ! Se ci accoppano dei compagni non paralizziamoci, non diamo in isterismi ma rispondiamo colpo su colpo ! La forza della disperazione può vincere i mercenari del capitale. (...)"

Nel comunicato poi si citava persino Napoleone e le tecniche di guerriglia. 
Poi ci sono le dichiarazioni di Di Pietro che incitava alla "rabbia di piazza" e i comunicati degli studenti o presunti tali, arcinoti per i fatti del 14 dicembre 2010, in merito alla rivoluzione di piazza che li avrebbe accomunati ancora una volta (questa volta non si sa contro chi o per cosa, loro, rispondono: "siamo qui per tutto") i fatti della ValdiSusa, le dichiarazioni e le voci dei centri sociali... Insomma, eppure, qualcuno sapeva. Prevedibile o meno, si è discusso della responsabilità del Ministero dell'Interno, già reo, di azioni di contenimento volte ad evitare "che ci scappasse il morto".Era già successo. Eppure le analogie con le immagini di Catania dell'uccisione dell'Ispettore Raciti, le immagini del G8 di Genova, le foto del 14 Dicembre a Roma e, anche, degli scontri di Londra di questa estate, hanno un viso comune a quelli di ieri: è il viso dell'odio e della violenza gratuita, incappucciata, come tutte le cose brutte del ventunesimo secolo. 


Eppure, a intasare le metro di Roma dalle ore 18 alle ore 20, erano solo pezzi dei centri sociali armati di bastoni e catene, rasta e cani, bandiere del Che e stelle a 5 punte rosse, orecchini spuntati e pantaloni larghi su scarpe etnies. Le barbe lunghe e incolte e i berretti militari non lasciano dubbi neanche quando la metro si svuoterà all'altezza delQuadraro, Cinecittà e Anagnina, sedi dei più grandi centri sociali romani di sinistra e poi su da Centocelle fino ai Castelli. Sono i red skin di quartiere. Invisibili tutto l'anno, assenti dalle grandi piazze politiche. Poi ritornano, come corpi addestrati, silenziosi, e arrancano violenza tra i compagni e gli incappucciati...sono i Servi del Caos...

A provarlo ci sono le scritte: anarchiche, comuniste sovversive, leniniste, antifasciste, antistato e, soprattutto, antipolizia. Le forze dell'ordine che contano centinaia di feriti a fronte di 12 arresti parziali. Un risultato che parla chiaro: le orde di barbari erano in numero superiore, tanto da eliminare qualunque cosa di mobile o semimobile in un raggio di chilomentri nella zona di San Giovanni Laterano a Roma tra le 15 e le 18 di ieri. Una macchia nera di petrolio che avvolge tutto.Eppure non finisce quì. Già. La storia va avanti. I barbari senza viso se la sono presa con la Madonna e con Gesù Cristo. Giusto perchè l'autorità più alta che mancava all'appello, era appunto quella divina. Dai tempi dell'invasione francese delVaticano, la neutralità della Chiesa non veniva messa in discussione. 


Eppure nel 2011, quasi 300 anni dopo, ecco rispuntare con acuta violenza, lo stesso bersaglio... Una statua della Madonna della chiesetta di San Marcellino e Pietro, scaraventata e distrutta sull'asfalto, pestata, come mostrano le immagini, dagli stessi teppisti che brandiranno poco dopo pali, fiamme, bombe incendiarie come fossero spade. Via Merulana, via Labicana, piazza San Giovanni Laterano, viale Manzoni, tutto distrutto. E chi c'era nel 1993 si ricorderà la stessa violenza di matrice diversa però, ma sempre in quella zona di Roma: l'attentato mafioso del Laterano. Bisogna ora porsi degli interrogativi: quale lingua parlano questi teppisti? Qual'è il loro reale scopo? Chi può fermarli e come?


Eppure la risposta si trova forse a piazza Tuscolo, sede di una delle storiche basi dell'Msi, devastata come non mai dagli assalitori di ieri. La sezione del Pdl, vicina a Luca Gramazio, che noi abbiamo conosciuto e intervistato in Versilia, presa di mira da questa gente, come ci raccontano le pagine de il sito di Roma
Sul marmo ormai distrutto, in memoria dei ragazzi uccisi negli anni 70' (Angelo Mancia e Mario Zicchieri), veleggia la scritta intimidatoria "...della gioventù di merda".
Eppure, adesso sappiamo il perchè...  


di Santi Cautela
-Salvateletica Magazine-



                                 statua della Madonnina rubata da una chiesa e distrutta dai manifestanti.

venerdì 7 ottobre 2011

La morale del PD.Storia di un appalto milionario affidato senza gara



Il marito della senatrice Anna Finocchiaro, Melchiorre Fidelbo, è indagato per abuso d’ufficio perché avrebbe concorso nella qualità di “istigatore o determinatore” con il dirigente dell’Asp3 Giuseppe Calaciura, militante Mpa, “predisponendo l’atto di convenzione” dell’appalto. Indagati anche il direttore amministrativo dell’Asp Giovanni Puglisi e la responsabile del procedimento Elisabetta Caponetto.

di Antonio Condorelli per LiveSicilia
http://www.livesicilia.it/2011/10/06/la-storia-di-un-appalto-milionario/

Difficile credere a uno scherzo del destino guardando la foto dell’inaugurazione del presidio sanitario di Giarre, roccaforte dell’Mpa. A incassare era, senza gara, Melchiorre Fidelbo, marito di Anna Finocchiaro, ginecologo divenuto imprenditore nel settore dei software, con un’azienda creata ad hoc. A inaugurare invece c’erano Massimo Russo e la senatrice capogruppo del Pd. “Un miracolo” avvenuto grazie ad una delibera dell’Asp3 del luglio 2011 che, secondo l’accusa, sarebbe stata redatta “senza previo espletamento di una procedura ad evidenza pubblica e comunque in violazione del divieto di affidare incarichi di consulenza esterna”. L’atto “avrebbe procurato un ingiusto vantaggio patrimoniale alla Solsamb Srl, amministrata dal marito della senatrice Anna Finocchiaro. Melchiorre Fidelbo, che da amministratore “concorreva nella qualità di determinatore o comunque di istigatore della condotta del Calaciura, del Puglisi e della Caponetto, predisponendo l’atto di convenzione allegato alla delibera”.
Un po’ di storia. Nel 2007 il ministro alla Salute emanava le linee guida ministeriali per i progetti del Piano Sanitario Nazionale. Giusto giusto, un mese dopo, il Consorzio Sanità Digitale presentava il progetto per la cosiddetta “Casa della Salute” di Giarre: costo € 1,2mln. Interessanti le quote del Consorzio: il 5%, è in mano al dipartimento di Anatomia dell’Università di Catania guidato dal professor Salvatore Sciacca; altro 5% spetta all’Azienda Sanitaria 3 di Catania guidata ai tempi dal manager Mpa Antonio Scavone; la Tnet Srl deteneva il 40% e la Solsamb Srl amministrata dal marito di Anna Finocchiaro fa la parte del leone con il 50%.
Interessante anche la struttura della Solsamb Srl, tra i soci ci sono Il dottor Salvatore Sciacchitano e il professor Salvatore Sciacca, che è anche direttore del dipartimento Ingrassia dell’Università di Catania. Per uno scherzo del destino, si ritrova socio di se stesso, visto che il 5% del Consorzio Sanità Digitale appartiene proprio al dipartimento universitario guidato da Sciacca.
LA RIVOLUZIONE DI MASSIMO. Con l’avvento del Governo Lombardo, non servono più “Case della Salute”, ma “Presidi Territoriali di Assistenza”. Cose che impongono una rimodulazione con conseguente lievitazione dei costi: servono 20mila€ per lo studio del territorio, 420mila per il “project management”, 50mila per l’assistenza al progetto hardware ed 1,2milioni per i “software diversi”. Il totale lordo sale a € 1.690.000, esclusi i costi gestionali non previsti, “con un incremento – scrivono adesso gli ispettori della Regione inviati da Massimo Russo – del 17% rispetto al progetto del 2007”. Mentre i costi salgono, avviene un passaggio di consegne: il consiglio di amministrazione del Consorzio Sanità Digitale stabilisce che tutti i proventi saranno attribuiti alla Solsamb Srl. Trascorsi tre anni, non è stata ritenuta opportuna l’indizione di una gara pubblica. E la decisione non ha comunque distolto il professore Salvatore Sciacca dall’interesse scientifico per l’informatizzione del Pta: essendo socio anche del marito di Anna Finocchiaro dopo l’uscita del dipartimento universitario da lui diretto dall’affare, ha continuato al fianco di Fidelbo.
TEMPI AUTONOMISTI. Il 30 luglio 2010 l’Asp 3 guidato dal militante dell’Mpa Giuseppe Calaciura sigla la convenzione con la Solsamb. Dopo poco tempo il Pd entra in giunta con il placet di Anna Finocchiaro, che il successivo 15 novembre inaugura la struttura -informatizzata dal marito- al fianco dell’assessore autonomista, del manager Calaciura e dell’ex ministro Livia Turco. Indimenticabile la protesta dei cittadini di Giarre, visto che da poche settimane era stata chiusa la principale struttura ospedaliera locale. Il grido di battaglia era: “Anna Finocchiaro vergogna…”. “Vergona di che?” rispondeva la senatrice democratica con al fianco il marito vincitore dell’appalto senza gara.
PARLANO GLI ISPETTORI. L’appalto della Solsamb sarebbe stato affidato in violazione del D.lgs 163/2006 e “dei principi di libera concorrenza – si legge nella relazione degli ispettori inviati da Massimo Russo – parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità, nonché quello di pubblicità”. Secondo gli ispettori, l’affare avrebbe “violato il Codice degli appalti” trattandosi di importi di rilevanza comunitaria “e non rientra nei casi di esclusione”. Gli ispettori sono intervenuti anche sul passaggio di consegne tra il Consorzio Sanità Digitale partecipato dalla Solsamb e la stessa Solsamb: “in ordine a ciò – si legge nella relazione – occorre rilevare che tale attribuzione caratterizza la fornitura quale “esternalizzazione” che, come è noto è espressamente vietata dall’art.21 della legge regionale 14 aprile 2009 n.5 che dispone che “è fatto divieto alle aziende del servizio sanitario regionale o agli enti pubblici del settore di affidare mediante appalto di servizi o con consulenze esterne, l’espletamento di funzioni il cui esercizio rientra nelle competenze di uffici o di unità operative aziendali”.
“Sulla base della documentazione acquisita – concludevano gli ispettori – e delle analisi svolte, con riguardo anche agli atti assessoriali propedeutici al procedimento autorizzativo, si ritiene che il provvedimento di affidamento a privati dell’organizzazione ed informatizzazione del PTA, da parte dell’Asp di Catania, evidenzi i profili di illegittimità, come sopra esposti”.

mercoledì 5 ottobre 2011

In ricordo di Nanni De Angelis

Roma, 5 OTTOBRE 1980, viene "suicidato" il camerata NAZARENO DE ANGELIS detto NANNI (21 anni. Contro di lui fu spiccato un mandato di cattura per Terza Posizione, sfuggito all'arresto il 23 settembre. Viene bloccato il 4 ottobre, insieme a Luigi Ciavardini (17 anni).
Gli agenti riescono ad immobilizzare Ciavardini, ma non riescono ad atterrare NANNI. Lo colpiscono alla testa con le pistole, poi lo ammanettano ad un lampione e lo stordiscono a calci. Testimoni oculari riferiranno di aver visto un gruppo di persone prendere a calci un giovane disteso per terra. All'arrivo in Questura lo ammanettano ad una sedia e continuano a sbattergli la testa al muro. Lo portano all'ospedale, delira. per ordine del magistrato lo riportano in cella nonostante il referto medico indichi chiaramente le percosse subite da Nanni.
Lo trasferiscono in isolamento dove lo trovano impiccato dopo un po' di tempo.
Su questa tragica vicenda, dopo qualche mese c'è stata un interrogazione parlamentare, ad opera del Senatore Michele Marchio, ora scomparso intitolata "In memoria di un Camerata innocente che il regime ha fatto suicidare".



sabato 1 ottobre 2011

ALLUVIONE:2 anni dopo,per non dimenticare i nostri fratelli!



da tempostretto.it
Ci sono date che rappresentano veri e propri spartiacque nella vita di un uomo così come nella storia di una comunità, di una città intera. La data, l'evento spartiacque, per Messina, per più di un secolo, è stato il terremoto del 1908, tragedia alla quale i più fatalisti attribuiscono la responsabilità dell’indolenza tipica di una certa messinesità maggioritaria. Poi è arrivato il 1. ottobre 2009. Poi è arrivata quella sera, quella lunga sera di pioggia, di “bombe d’acqua”, così le hanno chiamate. E la mattina dopo Messina s’è ritrovata “bombardata”, appunto, e perciò ferita, mutilata. E ha trovato la sua nuova data spartiacque. Spesso ci si interroga come certi eventi, nella vita di un uomo così come di una comunità, possano cambiarne abitudini, modi di pensare, mentalità nel senso più ampio del termine. Non sappiamo ancora se e quanto effettivamente Messina sia cambiata, dopo quel 1. ottobre, sospesi come siamo tra la voglia di invertire una marcia pericolosa e la demagogia di chi, quell’inversione di marcia, vuole darla solo a vedere. Non sappiamo neppure se e quanto Messina abbia imparato, dopo quella data spartiacque di cui oggi ricorre il secondo anniversario.
Abbiamo imparato di sicuro cos’è il dissesto idrogeologico, terminologia ai più sconosciuta prima di quella notte ed oggi temuta più del secolare “rischio sismico” a cui abbiamo finito per farci l’abitudine. Abbiamo imparato che le frane possono fare più male di un terremoto e che amare il proprio territorio significa anche prendersene cura giorno dopo giorno, perché poi, alla resa dei conti, esso, il territorio, non guarda in faccia nessuno. Abbiamo conosciuto il dolore atroce di vedere tre palloncini bianchi lì dove non avrebbero mai dovuto essere, sospesi su bare di legno troppo piccole per trattenere lacrime di rabbia e di fisica sofferenza. Abbiamo capito, qualora ce ne fosse bisogno, che certe bassezze di quella politica troppo lontana dal senso quasi “missionario” che il ruolo imporrebbe non si fermano di fronte a nulla, nemmeno 37 morti. E si spera si sia capito che le promesse, quando non seguite dai fatti, andrebbero strozzate in gola piuttosto che gridate ai quattro venti lasciando un’eco senza sostanza e con troppa inconsistenza.
Quella data spartiacque ci ha insegnato quanti significati può avere la parola fango. C’è il fango materiale, quella poltiglia di terra e acqua che sa essere assassina se portata giù dalla violenza della vendetta nei confronti dell’indifferenza dell’uomo che non sa prendersi cura della madre terra e non sa cogliere i segnali della non sempre benigna madre natura. C’è il fango che ricorda la propria origine gotica del termine, “fani”, “melma”, “palude”, la palude di parole vacue, la melma di sciocchezze che hanno contribuito pergiunta a creare una macchina del fango, appunto, che è riuscita a dare il colpo di grazia, sotto l’insegna bugiarda dell’abusivismo, ad una comunità già massacrata. C’è il fango quale disonore, immoralità, e qui lasciamo al lettore la facoltà di attribuirla a chicchessìa, questi due anni lasciano spazio a più possibilità. Il fango è stato scelto per dare il nome anche ad un museo, che ha l’ambizione di immortalare ciò che è successo e di farne occasione di rinascita, per quanto possibile, culturale e personale. Il fango è anche un modo per ripartire, a volte serve a curare, altre a “depurare”, altre ancora a ricostruire, proprio così. Ad ognuno è lasciato un ricordo diverso di quel 1. ottobre 2009, nuova data spartiacque dell’indolente e acciaccata Messina. E ognuno può dare un significato diverso alla parola fango, così tristemente protagonista di quel giorno. Ognuno di noi ha avuto, in questi due anni, e continuerà ad avere la possibilità di imparare qualcosa, da quel nefasto evento. C’è chi, di quanto imparato, ha fatto o farà tesoro. Chi, invece, o non ha imparato oppure ha dimenticato troppo in fretta. Per tutti, però, oggi è la giornata della riflessione. Per imparare. Per capire. Per non dimenticare.