Nacque a Praga, in Cecoslovacchia, l’11 agosto del 1948. si iscrisse alla facoltà di Filosofia presso l’Università Carlo di Praga, dove assistette con interesse alla stagione riformista del suo paese, chiamata Primavera di Praga. Nel giro di pochi mesi, però, quella esperienza fu repressa militarmente dalle truppe dell’Unione Sovietica e degli altri paesi che aderivano al Patto di Varsavia. Praga viveva il quinto mese di occupazione militare e il numero degli esuli cresceva insieme alla rassegnazione.
Nel tardo pomeriggio del 16 gennaio del 1969, con il freddo invernale e le luci che si smorzavano sulle mura gotiche del castello di Hradcany e su quelle barocche del quartiere di Mala Strana, Jan Palach si recò in Piazza San Venceslao, al centro di Praga, e si fermò ai piedi della scalinata del Museo Nazionale. Si cosparse il corpo di benzina e appiccò il fuoco con un fiammifero.
Dopo tre giorni di agonia, restando sempre ludico, il suo cuore smise di battere. Ai medici disse di aver preso a modello i monaci buddhisti del Vietnam tra i quali il caso di Thích Qu?ng Ð?c, attirando l’attenzione mondiale. Al suo funerale, il 25 gennaio, parteciparono circa seicento mila persone, provenienti da tutto il Paese. Jan Palach, prima di essere avvolto dalle fiamme, decise di non bruciare gli appunti e gli articoli in quanto rappresentavano i suoi pensieri e i suoi ideali. Tutto il materiale cartaceo fu chiuso in un sacco a tracollo e tenuto distante dalle fiamme.
Tra le dichiarazioni trovate nei quaderni a righe da scolaro, Jan Palach, parlava di un’organizzazione che esprimeva la protesta e cercava di far scuotere la coscienza del popolo afflitto ormai dalla disperazione e dalla rassegnazione. L’obiettivo era di ottenere l’abolizione della censura e la proibizione del Regime Comunista.
Non fu mai accertata la vera esistenza dell’organizzazione descritta da Jan Palach, ma grazie al suo sacrificio estremo la sua figura venne considerata dagli antisovietici come un eroe e un martire. In città e paesi di molte nazioni furono intitolate strade con il suo nome. Anche la Chiesa Cattolica, in persona del teologo Zverina, lo difese. Quel clima portò a drammatiche conseguenze con la morte di altri sette studenti, tra cui l’amico Jan Zajic, che seguirono il suo esempio nel silenzio più totale degli organi di informazione controllati dalle forze di invasione.
Dopo il crollo del Comunismo e la caduta del Muro di Berlino, la figura di Jan Palach fu rivalutata, nel 1990, dal Presidente Vàclav Havel che gli dedicò una lapide per commemorare il suo sacrificio in nome della libertà. L’anno precedente, invece, l’Amministrazione Comunale di Praga decise di intitolare, alla giovane vittima, il nome della Piazza fino ad allora dedicata all’Armata Rossa. Jan Palach rappresentò non solo un martire ma anche un simbolo nella lotta di una generazione contro la menzogna, la falsità e la crudeltà di un Regime che, nel nome dell’uguaglianza e della libertà, annullava l’uomo e la sua dignità dai valori e dalle tradizioni per soddisfare i bisogni di pochi. Non fu un suicidio per disperazione ma una azione offensiva, un gesto di un soldato che sacrificava la propria vita per gli altri, esortandoli a combattere.