Breve e intensa storia di un siciliano, uno particolare, uno trentenne, giovane e intraprendente, capace di trafficare idee e pensieri, sogni e speranze, per una terra nuova, per un'isola viva. Poche parole per ricordare a 35 anni di distanza dalla sua scomparsa Giuseppe (Peppino) Impastato, morto per mano mafiosa il 9 maggio del 1978 a Cinisi.
Peppino, o Giuseppe (per chi il sud lo conosce poco), nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 e non è un tipo popolare, al massimo di lui si potrebbe dire che sa prendere la vita con ironia, che sa coinvolgere e che sa circondarsi di amici, ma di certo non è un tipo popolare, anzi, Peppino è il classico tipo “testa dura” che “ti li tira di sutta i pedi” (te le tira da sotto le scarpe) e che riesce semplicemente con queste sue caratteristiche, con questo essere se stesso, a mettere in crisi, se non quasi a distruggere, l’andamento tradizionale di una famiglia, la sua famiglia, e di un paese, il suo paese, entrambi appartenenti al grande meccanismo mafia che a Peppino sin da giovane non va poi così a genio, anzi: inizia immediatamente a rompere i legami col padre, che lo caccia di casa, e avvia un’attività politico-culturale strettamente legata ad idee antimafia che lo vede protagonista nella lotta contro l’espropriazione delle terre ai contadini di Cinisi per la costruzione di una terza pista dell’aeroporto di Palermo, utilissima al controllo del traffico di droga da parte dei boss mafiosi della zona di Cinisi, ma totalmente inutile nella zona di Punta Raisi, data la presenza di forti venti meridionali di scirocco. Subito dopo fonda il gruppo “Musica e Cultura”, a dopo ancora, a cavallo dell’onda delle radio libere degli anni settanta, fonda la sua “Radio Aut”, libera ed autofinanziata, ironico megafono di denuncia di delitti e affari delle cosche della zona ed in particolare del boss Gaetano Badalamenti, il Tano Seduto nella trasmissione Onda Pazza condotta dallo stesso Peppino. Nel 1978, poco più che trentenne, decide di candidarsi con Democrazia Proletaria alle elezioni comunali di Cinisi, dimostrazione di una voglia di responsabilità vera e diretta. Dopo qualche giorno dalla scelta, ad ormai una settimana di distanza dalle votazioni, Peppino viene assassinato: esce dalla sede di Radio Aut in serata, come di consueto, saluta tutti, ha fame, deve andare a cenare e deve fare presto, l’appuntamento con i compagni è per le 21. Prende la litoranea e si avvia verso Cinisi, lungo la strada viene bloccato da due o tre persone, condotto di forza nei pressi del casale Venuti, massacrato e torturato e successivamente posto tra i binari con una carica di tritolo sotto le spalle.
Ucciso due volte Peppino è ormai quasi irriconoscibile. Il giorno dopo, stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, i pochi giornali che riportano la notizia del caso Impastato, parlano di un ragazzetto, brigatista, che durante un tentativo di sabotaggio per mezzo di tritolo della linea ferroviaria era cascato male finendo per rimanere egli stesso ucciso. Nessuno parla di assassini o anche solamente di assassinio, quello che è accaduto è un incidente che ha addirittura scongiurato un attacco brigatista. Tutto tace, ma gli amici, quegli stessi amici di cui a Peppino avevamo riconosciuto capacità di circondarsi, non riescono ad esserne convinti, non riescono a ritrovare nelle descrizioni dei giornali la figura del loro Peppino e tre giorni dopo, convintamente, scrivono per la prima volta il nome MAFIA nel caso Impastato, tappezzando Cinisi di manifesti e comprovando le accuse con i resti ritrovati nel casolare di contrada Venuti, luogo della prima uccisione di Peppino. L’attività di ricerca e documentazione inizia ad essere intensa, si ricerca ogni minimo particolare capace di ricondurre ad un assassinio per mano mafiosa e arrivano anche le dichiarazioni della madre Felicia, bastevoli per confermare quanto già dedotto dalle ricerche: il 5 marzo 2001 la Corte d’assise di Palermo riconosce Vito Palazzolo colpevole dell’omicidio Impastato, condannandolo a 30 anni di reclusione, l’11 aprile 2002 la Terza Sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo pronuncia la sentenza di condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti, come mandante dell’omicidio.
La storia di Peppino termina dunque così, con due condanne: una a chi fisicamente fu incaricato di compiere l’omicidio e l’altra a chi l’omicidio lo commissionò. Nessuna condanna alle decine di poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti, che in poche ore, quasi sincroni tra loro, riuscirono a condannarlo Peppino, presentandolo al mondo come un piccolo terrorista e occultando il più possibile le mille verità che la storia Impastato cercava palesemente di mostrare.
Un vita strana quella di Peppino, una vita che avrebbe potuto raccontarci chissà quante altre storie, quante altre vicende, quante altre avventure da poter citare e raccontare. O forse no, forse Peppino, vivendo, sarebbe rimasto un ragazzo di Cinisi, e basta. Sarebbe rimasto lì, tra i palazzetti e le case abusive di Terrasini, sarebbe rimasto nella memoria di chi lo ha conosciuto e sarebbe rimasto sconosciuto ai molti. Sarebbe stato lo stesso Peppino Impastato ma nessuno, nessuno, ce lo avrebbe raccontato, nessuno avrebbe ritrovato eccitante la semplice storia di un ragazzo trafficante di pensieri.
di Carmelo Traina (fanpage.it)