C'è una strada, nel cuore del quartiere Tuscolano a Roma, che da 36 anni è il simbolo di una generazione che ha sofferto, che ha sacrificato i propri figli in una guerra senza perché. Si chiama via Acca Larentia. C’è una data, nel calendario, che da 36 anni è listata a lutto. È il 7 gennaio 1978.
Solo fino al giorno prima le luci natalizie rendevano il clima festivo e caldo, l’Epifania chiudeva le vacanze di Natale. Poche ore dopo una raffica di proiettili spezzava due giovani ed innocenti vite.
La sezione di Via Acca Larentia, al Tuscolano, si trova su un piazzale che affaccia su via Evandro e prosegue su un ballatoio che porta a via delle Cave. Il 7 gennaio ‘78 è un sabato, sono le 18 e in sezione alcuni ragazzi stanno organizzando un volantinaggio contro la chiusura della sede di Via Ottaviano. Sono Franco Bigonzetti, 19 anni, Francesco Ciavatta, 18, Maurizio Lupini, Pino D’Audino, Enzo Segneri. Escono della sezione e si danno appuntamento a Piazza Risorgimento, nel quartiere Prati. Accade tutto in un istante: una raffica di proiettili esplosi da una Skorpion li investe. Altri colpi vengono sparati da pistole semiautomatiche. Franco viene colpito e cade sulla porta della sezione, Francesco tenta una fuga disperata ed inutile sulle scale del ballatoio, cadrà dal lato opposto e morirà appena giunto in ospedale.
Maurizio, Pino ed Enzo si rifugiano dentro la sezione, restano in ascolto. Fuori si sente parlare: “’ndo cazzo ve sete nascosti, li mortacci vostri” urla qualcuno. E spara. Ancora sul corpo senza vita di Franco. I tre restano in attesa, sul pavimento della sezione. Poi Maurizio si avvicina al portone, ascolta: “se ne so’ annati” dice agli altri. Enzo è ferito ad un braccio. “Mo dopo annamo all’ospaedale” gli dice Maurizio, che poi accende la luce.
Guarda i suoi amici, Pino è frastornato, Enzo sente dolore al braccio. All’unisono si voltano, qualcosa attrae la loro attenzione. Sul pavimento, dall’anta sinistra della porta, filtra del sangue. Maurizio apre la porta. Il corpo di Franco è lì, muto, accasciato sullo stipite. Quei proiettili lo hanno ucciso. Maurizio capisce che Franco ha cercato di fuggire, la direzione più plausibile è proprio quella del ballatoio, lo percorre, giunge sull’altro lato delle scale, vede Francesco a terra, scende le scale di corsa, lo raggiunge. “Mauri’ … Mauri’ …” lo chiama Francesco “A me m’hanno solo ferito. Andate a vedere Franco, mi sa che l’hanno ammazzato”. Maurizio lo tiene stretto a sé, l’anima svuotata, il cuore in pezzi, gli occhi gonfi. “France’ …” invoca. “Mauri’ … Mauri’ … aiutame … me brucia tutto”. Sono le ultime parole di Francesco Ciavatta. Le lacrime di Maurizio, Francesco tra le sue braccia. Le lacrime di Enzo, lo sguardo perso nel vuoto di Pino, Franco accasciato sullo stipite della porta. E le sirene delle ambulanze e della polizia che si avvicinano.
È la cronaca di un giorno terribile, che resterà nella storia di una generazione, e poi delle successive, per sempre. Ed è solo una cronaca parziale. Perché quel 7 gennaio non ha ancora finito di mietere le sue vittime.
Nelle ore che seguono la tragedia molti giovani si radunano nel piazzale, le forze dell’ordine intervengono per tenere sotto controllo la situazione, si forma un corteo spontaneo. Sono momenti terribili, durante i quali una comunità si stringe intorno al proprio lutto. Il corteo staziona su via Evandro, il clima è teso, dalla pistola del capitano Eduardo Sivori parte un proiettile che colpisce Stefano Recchioni in piena fronte.
Stefano è un giovane militante, appassionato, tranquillo. Dopo due giorni morirà in ospedale, diventando la terza vittima di una strage che non ha un perché.
Acca Larentia di vittime ne miete quattro: l’anno successivo, durante la manifestazione per la prima ricorrenza dell’odiata strage, Alberto Giaquinto, 17 anni appena, cadrà sull’asfalto di Via del Castani, nel quartiere Centocelle. “Troppo sangue sparso sopra i marciapiedi”.
"Un nucleo armato, dopo un'accurata opera di controinformazione e controllo della fogna di via Acca Larentia, ha colpito i topi neri nell'esatto momentoin cui questi stavano uscendo per compiere l'ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga...". è il testo della rivendicazione della strage, rinvenuto in una cassetta audio a nome dei Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale.
La vicenda relativa alle indagini che sono seguite all'attentato, come pure la storia dela Skorpion maledetta, è lunga e complessa: basti dire in questa sede che nessuno ha mai pagato per quei fatti e che lo scorso anno sono state riaperte le indagini contro ignoti, sperando che le nuove tecniche investigative possano far luce su vicende mai risolte. Ed eco riemergere vecchie carte e anche vecchi dolori, mai sopiti. Dolori che appartengono ad una intera comunità.
di Emma Moriconi (giornaleditalia.org)