martedì 23 luglio 2013

La globalizzazione della carità sfida l'indifferenza globale

Papa Francesco cerca di riportare il cattolicesimo alle sue origini. Ma è possibile chiedere a pochi di risolvere la miseria di molti?


È possibile praticare e non solo predicare la globalizzazione della carità contro la globalizzazione dell'indifferenza? Fin dove si può spingere l'aiuto al prossimo e la condivisione della sua sofferenza? Nel suo semplicismo evangelico, Papa Francesco a Lampedusa ha proposto la carità come valore assoluto e risposta globale.

Ma poi, si può abbracciare a oltranza la difesa della vita anche quando le nascite rischiano di convertirsi in ecatombe planetaria per eccesso di abitanti? Le risorse del pianeta non sono illimitate, ricordano gli stessi eco-solidali, e l'uso della tecnologia e i consumi estesi a miliardi di persone collassano il mondo.Ma è possibile chiedere a una minoranza di benestanti di assumersi sulle proprie spalle la miseria di una sterminata maggioranza di poveri? Il mondo in cui nascemmo era abitato da poco più di due miliardi di persone, il mondo presente è affollato da sette miliardi di persone. L'umanità ha triplicato nel giro di mezzo secolo. Per ogni benestante ci sono dieci poveri. Possiamo ritenere immutabili il precetto della carità, il metro della solidarietà e il valore assoluto della vita, anche in caso di sovrappopolazione? Sì, magari in astratto, ma poi nella vita concreta il meglio che si può fare è circoscrivere la carità, riversarla su campioni d'umanità, aiutarne uno nel nome di cento, che intanto muoiono di fame. Il significato simbolico sostituisce l'efficacia reale.
È grandioso il principio cristiano della carità: un sentimento esclusivo come l'amore viene esteso dalla coppia o la famiglia all'umanità. È comprensibile pure la rabbia irreligiosa contro la profonda ingiustizia della sorte che punisce chi è nato, senza averne colpa, in contesti poveri, e favorisce noi fortunati.
Ma il principio della carità, come quello della redistribuzione più equa delle risorse, è praticabile solo in contesti limitati. La carità funziona a numero chiuso, è selettiva, a suo modo anch'essa è ingiusta. San Martino che divide il suo mantello con il povero non avrebbe potuto compiere con successo lo stesso gesto a favore di dieci o cento poveri che morivano di freddo. Lo sperimentiamo nella vita di ogni giorno: aiutiamo chi ci chiede l'elemosina o vuol venderci qualcosa; ma quando arrivano ai nostri tavoli, alle nostre auto, ai nostri ombrelloni sessanta immigrati all'ora, la carità muta in astio e rifiuto. Eppure il bisogno di aiuto resta reale anche se si moltiplica. Ma umana e non infinita è la nostra capacità di sopportare ed è naturale la nostra insofferenza.
Gli immigrati che sbarcano a Lampedusa e sono accolti, assistiti e sfamati, sono tra i dannati della terra i meno dannati perché sono in condizioni di raggiungere le nostre coste. I più bisognosi invece sono inchiodati dalla loro miseria, non hanno la forza, la salute, i mezzi per lasciare le loro baracche. Il realismo di chi governa, rispetto all'idealismo di chi predica, spingerebbe a frenare e filtrare l'immigrazione, e se è realismo illuminato, a disporre piani di sostegno alle popolazioni in loco. Ma le porte aperte al mondo intero sono dissennate.
La verità è che, nonostante S. Tommaso e la dottrina della Chiesa, tanti precetti cristiani urtano contro la realtà e a volte anche contro la natura. La carità assoluta, incondizionata e totale è uno di questi. L'amore del prossimo indipendentemente dal suo grado di prossimità è un altro. Secondo natura noi amiamo prima chi ci è più vicino, i nostri cari, poi i nostri amici, quindi via via gli estranei. L'amore cristiano dell'umanità invece prescinde da questo elementare principio naturale e vitale, prescrive di amare lo straniero. La stessa cosa avviene per la procreazione. Se si nega la necessità della contraccezione dove c'è sovrappopolazione, procreare diventa un altro precetto che urta se non contro la natura, certo contro la realtà e la vita stessa: la nascita è un dono, ma la natalità eccessiva in aree povere è una maledizione. L'astinenza sessuale, la rinuncia, il sacrificio, l'altruismo sono altri precetti cristiani che cozzano contro gli istinti naturali e gli impulsi di autoconservazione e di benessere individuale. Quando la chiesa denuncia alcune pratiche sessuali perché contro-natura dovrebbe ricordarsi che contronatura sono molte delle sue prescrizioni. Si dovrà allora precisare che gli atti considerati contro natura sono in realtà contro l'ordine naturale delle cose e gli assetti civili derivati. Ma se vivessimo davvero secondo natura, saremmo tutt'altro che cristiani. E se vivessimo davvero da cristiani vivremmo contro natura. Non è una considerazione polemica o anticristiana. La nobile assurdità del cristianesimo è nel capovolgimento della realtà naturale e della sua gerarchia: prima i deboli, gli ultimi saranno i primi, beati i poveri, anche di spirito, i brutti e gli storpi sono prediletti dal Signore.
Il primato etico sull'estetica, il buono che scaccia il bello, è un'altra legge cristiana che capovolge la primazia naturale della bellezza. La dottrina cattolica modificherà poi nei secoli l'impronta originaria del cristianesimo e la plasmerà con l'esperienza del mondo, il pensiero greco e il realismo romano. Ma Papa Francesco fa riemergere lo spirito cristiano delle origini, simboleggiato dal pesce che ostentava a Lampedusa. Bergoglio lascia il sacro per il santo, lascia il carisma venuto dall'alto per sposare l'umiltà rivolta al basso. Quella cristiana è una grandiosa visione che rovescia gli assetti naturali, compresa la resurrezione della carne. Di quella visione rivoluzionaria il comunismo è un fallimentare epigono e una torva imitazione. Torva perché il principio che muove il cristianesimo è l'amore verso l'umanità e il suo Signore, invece il motore del comunismo è l'odio verso la natura e la realtà, verso la proprietà, la ricchezza e i suoi detentori. Papa Francesco ha oscurato in un colpo solo decenni di demagogia progressista, egualitaria, socialista, riproponendo in tutta la sua originaria semplicità il pauperismo evangelico. Chissà quali fatti sortiranno, se mai sortiranno, dalle sue parole; quanto della sua predica diventerà pratica di vita, soprattutto a livello ecclesiale e se davvero aiuterà a migliorare la vita in terra. Ma la svolta francescana spacca il mondo col proposito di unirlo.
Il suo predecessore Ratzinger aveva affrontato la morte di Dio e la perdita del sacro in Occidente, ma ha perso la sua sfida e si è ritirato. Papa Francesco riprende dal basso, si preoccupa di svegliare la devozione dei popoli, a partire dagli umili, a colpi di catechismo e carità. Con lui la Chiesa torna alle elementari. Dio non c'è ma voi cercatelo in mare. Si spera non tra le salme.

di Marcello Veneziani (ilgiornale.it)