[..] I terroristi, ancora della Volante rossa, attendono sotto casa sua, al quartiere Talenti, il giovane Angelo Mancia, attivista molto conosciuto a Roma, dipendente del Secolo d’Italia, Lo aspettano tutta la notte a bordo di un pulmino parcheggiato nei pressi. Quando Angelo si avvicina al motorino per andare a lavorare, verso le otto e mezzo, i terroristi gli sparano. Angelo tenta di tornare indietro, ma è troppo tardi: lo finiscono con un colpo alla nuca, nello stile consueto della vera Volante rossa, quella che operò dopo la guerra nel Nord Italia, assassinando avversari politici e gente comune, tra cui il giornalista fascista Franco De Agazio. I killer fuggono a piedi per poi salire su una Mini Minor rossa. Di loro non fu mai più trovata nessuna traccia. Nel 1951 gli assassini della Volante rossa partigiana furono condannati all’ergastolo, ma erano già tutti latitanti, e di loro non si seppe più nulla. Enorme la commozione nella comunità missina, i parlamentari choiedono agli inquirenti e allo Stato di fare il loro dovere e di difendere i cittadini. Ma la violenza non si ferma: il giorno dopo, il 13 marzo, una bomba esplode davanti casa di Mario Pucci, giornalista del Secolo d’Italia, il cui figlio è un attivo militante della sezione Flaminio. Imponenti funerali di Angelo Mancia in piazza Esedra, alla presenza di tutto il Msi. I giornali, tutti i giornali, continuano a infangare Angelo Mancia definendolo un picchiatore, un delinquente e altro, tanto che il Secolo è costretto a pubblicare il certificato penale dal quale risulta che Mancia era incensurato. Capitava anche questo allora.
Ma l’offensiva comunista prosegue, allora uccidere un fascista non era reato: altri bar assaltati, altre sezioni distrutte, tra cui la Prati, la cui esplosione danneggia anche lo stabile. La comunità missina serra i ranghi e non cede, sopporta l’ondata di terrorismo senza precedenti e denuncia l’esistenza di un piano fatto a tavolino, perché è impossibile che lo Stato abbia perso del tutto il controllo della sua capitale, così come è impossibile che tanta gente abbia familiarità e disponibilità di esplosivi e armi. Almirante, Marchio e gli altri dirigenti iniziano visite in tutte le sezioni romane in una specie di controffensiva culturale e pacifica. Qualche giorno dopo, nella federazione del Msi di Roma, Mancia è ricordato con le parole di Orazio: “Non morirò del tutto”, e queste parole valgono per tutti i giovani morti per le loro idee.
di Antonio Pannullo (secoloditalia.it)