venerdì 21 giugno 2013

Dietro la battaglia sulle nozze omosessuali si celano grossi interessi economici

Quanto sta accadendo in Francia, lo scontro politico e culturale tra i sostenitori e gli oppositori delle legge sulle nozze gay, sta portando al centro del dibattito nei Paesi europei la questione della famiglia, più precisamente su cosa è famiglia e che ruolo ha nella società.
È del tutto evidente che quella delle nozze gay è soltanto l’ultima battaglia della guerra portata avanti, fin dal Novecento e forse anche prima, dalle correnti radical-progressiste il cui fine ultimo è, secondo la teoria di Plinio Corrêa de Oliveira, scardinare il pensiero cristiano-cattolico dalle istituzioni, dalla società, dalle menti e dagli stili di vita degli uomini. Tuttavia questa visione deve essere integrata con una più attenta analisi della profonda relazione di tali ideologie con il modello economico-sociale imperante nel mondo. È impensabile che la rivoluzione dei costumi, la quale tocca inevitabilmente il concetto stesso di famiglia, sia in qualche modo slegata dagli interessi che muovono l’economia globalizzata basata sul libero mercato e sul consumismo di massa.
Senza scomodare banali teorie complottiste possiamo osservare, alla luce del sole, come si coniugano perfettamente le ideologie radical-progressiste con le più pericolose logiche del mercatismo. Il primo punto da tenere in mente è l’insegnamento del grande sociologo polacco Zygmunt Bauman sulle peculiarità della “modernità liquida” basata appunto sulla “liquefazione” dei corpi solidi della società: lo Stato, il sistema sociale, la famiglia, la religione. La “modernità liquida” abbatte ogni legame sociale, giudicato “tradizionale” quindi obsoleto e intrinsecamente sbagliato, per consentire ai mercati di imporre modelli di vita conformi al sistema consumistico. La famiglia, corpo solido naturale e basilare della nostra società, è il primo soggetto da disgregare e riorganizzare secondo le esigenze del mercato.
Se guardiamo le due grandi battaglie radical-progressiste della seconda metà del Novecento in Italia, divorzio e aborto, comprendiamo meglio questo percorso. Lo storico Giovanni Gozzini ha rilevato come in Italia (così come accaduto in altri Paesi occidentali) la baby boom generation, tra la fine della guerra e gli anni ’50, sia stata protagonista di una “mutazione individualista” della società. Tale cambiamento è riscontrabile soprattutto sul piano demografico (meno matrimoni, più single e meno figli) e sul piano delle identità culturali (secolarizzazione e religione “fai da te”). Gozzini inoltre afferma che la mutazione individualista ha trasformato le famiglie italiane da unità di risparmio ad unità di consumo. La procreazione diventa quindi un fattore legato quasi unicamente al nuovo stile di vita consono alla società dei consumi, sradicando l’impostazione cristiana bimillenaria sulla sacralità della vita (aspetto religioso) e sul concetto antropologico e laico della “vita come dono” (e non come possesso e bene disponibile). Il demografo Eugenio Sonnino ha sottolineato come, a causa dei messaggi pubblicitari martellanti, i redditi familiari siano stati indirizzati sempre più verso l’acquisto di beni più o meno durevoli. Tutto questo ha orientato verso la concezione di famiglie ristrette. La legalizzazione e la promozione dell’aborto sono stati funzionali alla società dei consumi.
Non deve stupire l’apparente schizofrenia tra diffusione parallela dell’aborto e della procreazione assistita degli ultimi decenni. Sempre Bauman svela il “segreto” della società dei consumi cioè su come influisce sul nostro modus vivendi: il consumatore (l’homo consumens) deve essere perennemente insoddisfatto e guidato sempre verso nuovi bisogni. Se l’aborto ha la funzione di permettere alla donna (ma anche all’uomo) di non avere l’ingombro di una gravidanza che può compromettere o cambiare carriera e/o modello di vita, la procreazione medicalmente assistita consente a tutti di avere un bambino, nuovo oggetto del desiderio. Aborto e procreazione assistita sono strumenti opposti per soddisfare bisogni individuali. Qui la faccenda, rispetto agli altri oggetti di consumo, è più complessa perché l’oggetto in questione è in realtà un soggetto, cioè un’altra vita umana. Questo solleva problemi etici difficilmente risolvibili.
Il dibattito sulle nozze gay, e quindi sulla possibilità di avere figli, si inserisce in questa direzione. La campagna radical-progressista per i diritti gay non può che trovare l’approvazione dei propugnatori del consumismo. La piena legittimazione dello stile di vita gay e la progressiva equiparazione delle famiglie omosessuali a quelle eterosessuali ha spalancato le porte a nuovi bisogni da soddisfare. Non dobbiamo cadere nel tranello buonista che propaganda le adozioni come possibilità per bambini orfani di trovare accoglienza e amore nelle “nuove famiglie” gay. Nei Paesi dove la legislazione pro unioni gay è più avanti possiamo riscontrare certe scelte perfettamente uguali a quelle operate dalle famiglie etero, nel solco dell’ideologia consumista. Così come avviene per famiglie che non possono procreare, a causa di patologie, anche le coppie gay preferiscono nettamente la fecondazione assistita (nel caso dei gay quella eterologa) piuttosto che il ricorso alle adozioni. È abbastanza scontato il motivo: si preferisce un bimbo proprio, biologicamente figlio di almeno uno dei due partner, invece di un bambino già avanti con gli anni e cresciuto in altri contesti. Anche in Italia, benché non esistano leggi a favore delle unioni gay, iniziano a sorgere “famiglie gay” con bambini nati in provetta grazie al fenomeno del “turismo riproduttivo”. Queste prassi hanno sempre lo stesso problema a monte: stiamo parlando di una vita umana manipolata per soddisfare un altrui desiderio.
Il “mercato della procreazione assistita” già ampiamente sviluppato grazie alle famiglie etero si sta ingigantendo proprio attraverso la creazione di “nuove famiglie” costrette, dalla propria intrinseca natura sterile, a ricorrere alle “industrie della vita”. Il filosofo comunitarista Michael Sandel descrive questi luoghi come “centrali dell’eugenetica per il libero mercato” dove è possibile scegliere le caratteristiche del bambino-oggetto da comprare. L’ingegneria genetica oggi dà la possibilità ai genitori di decidere il sesso, la muscolatura, la memoria e la statura. È facile comprendere quali interessi economici siano alla base di questa nuova frontiera biotecnologica convertita alle logiche del consumismo. Scrive amaramente Sandel: “Alcune cose che contano nella vita sono degradate se vengono trasformate in merce”.
Utile ricordare anche la questione della diagnosi preimpianto (in Italia c’è un grande dibattito su questo tema) che permette di identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche negli embrioni. Una tecnica che risponde al mito del “bambino perfetto”, esattamente come un qualsiasi elettrodomestico, i cui risvolti morali devastanti sono stati messi in evidenza da Sandel.
Le rivendicazioni delle comunità gay, che negli anni ’60 e ’70 avevano basato il loro stile di vita sul rifiuto della famiglia tradizionale e borghese, sono state dirottate sulla pretesa di avere una famiglia e sul diritto/possesso di un figlio-oggetto. Anche in questo caso si amalgamano le nuove strategie comunicative della associazioni gay – Marshall Kirk e Hunter Madsen già negli anni ’90 teorizzavano di proporre al pubblico l’immagine rassicurante delle coppie gay simili alle famiglie, mettendo da parte ogni atteggiamento provocante e alternativo tipico dell’”orgoglio gay” degli anni ’70 e ’80 – con le esigenze dei mercati di vendere prodotti (in particolare i bambini in provetta come abbiamo visto) alle “nuove famiglie”. Senza voler entrare con il dovuto approfondimento sulla questione della crescita dei bambini all’interno di una coppia gay, mi limito a segnalare come un gran numero di psicologi e sociologi smentiscono, nel quasi totale silenzio dei media, la vulgata buonista e progressista sull’argomento, ribadendo come sia fondamentale e complementare la presenza maschile e femminile nell’educazione di un bambino. Leggi che aboliscono i nomi di mamma e papà in favore di risibili nuove categorie come “genitore 1” e “genitore 2” danno la misura dello slittamento ideologico tra il comico ed il grottesco.
Non voglio entrare nel merito dello stile di vita dei gay scomodando questioni morali delicate. Voglio solo dire ai singoli gay, dotati di una propria individualità non per forza omologata al pensiero delle associazioni di appartenenza, di riflettere su come essi possano diventare strumenti inconsapevoli di interessi economici più grandi e scellerati.
di Mauro La Mantia