venerdì 23 maggio 2014

A 22 anni dalla strage di Capaci.

23 Maggio 1992 - 23 Maggio 2014

"Sono morti per noi e abbiamo un grosso debito verso di loro; questo debito dobbiamo pagarlo giosamente continuando la loro opera, rifiutando di trarre dal sistema mafioso anche i benefici che possiamo trarne, anche gli aiuti, le raccomandazioni, i posti di lavoro, facendo il nostro dovere;"

A Giovanni Falcone,Francesca Morvillo, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro.

Per non dimenticare


giovedì 22 maggio 2014

22 Maggio 1988. In ricordo di Giorgio Almirante, un grande Italiano.


Trovarsi a scrivere parole che non cadano nel banale e soprattutto che non siano ripetitive, parlando di Giorgio Almirante, è impresa ardua.

Almirante è stato un grandissimo della politica Italiana. Tutti ne parlavano, e ne parlano bene, anche chi lo ha odiato e soprattutto invidiato.

Giorgio Almirante è stato uno dei politici più amati, forse il più amato, ancora oggi, a 26 anni dalla sua scomparsa. L’unico che riuscirebbe a riunire quel vasto mondo frastagliato di voti e partiti che costituiscono l’eredità politica e culturale del Movimento Sociale Italiano. Nonostante la storia e gli uomini cercano sempre di cancellare tutto, Giorgio Almirante rimarrà sempre il celebre oratore che negli anni 60 e 70 riempiva le piazze di mezza Italia. Ordine sociale, pulizia morale, amor patrio, onestà, rettitudine politica, sono bandiere al vento del “credo” politico del Segretario, eredità tramandata a tutti i giovani militanti di ieri e di oggi, e che qualcuno ha volontariamente ammainato per perseguire interessi personali.

Un uomo sempre sulle barricate, sempre in trincea a difesa della propria Patria e del proprio Ideale, contro quel comunismo dilagante che prendeva ordini da Mosca e che voleva annettere il nostro paese all’Impero Sovietico. Una grande persona che incarnava tutte le qualità che i moderati di allora, e soprattutto di oggi, vorrebbero. Un leader umile, onesto, colto, educato, battagliero, vicino al popolo e ai più deboli.

In tempo di sciacalli, comici, servi dei poteri forti e di nazioni che ci hanno sempre guardato con invidia, Almirante rappresentava  la “chimera” di un uomo di altri tempi, di un politico che con grande acutezza aveva lo sguardo proiettato verso grandi orizzonti politici e sociali.

Il 22 Maggio 1988, giorno della sua scomparsa, il giornalista Indro Montanelli lo salutò così “Se n’è andato l’univo Italiano al quale si poteva stringere la mano senza paura di sporcarsi”.

Quel 22 maggio di 26 anni fa accanto al Segretario, al condottiero di tante battaglie, si stringeva un’Italia col senso del dovere, col senso della Patria, col senso dell’onore, col senso dell’onestà, col senso del rispetto. Tutti i valori incarnati da Giorgio Almirante  e che ha trasmesso a tutti noi giovani, valori che si fondano sulle sofferenze di chi ha pagato, anche con la vita, il prezzo delle sue idee. Tocca a noi l’onore, e l’onere, di un’eredità pesante, nata in un’epoca difficile e triste. Dobbiamo necessariamente ridar vigore a quell’Italia, che oggi non c’è più.

di Gabriele Italiano

mercoledì 21 maggio 2014

«Mio padre? Uomo crudele e genitore assente». Parola di Alina Castro, figlia di dittatore


Fidel Castro è una «persona con un livello di crudeltà abbastanza elevato»: così Alina Fernandez Revuelta, figlia naturale dell’ex presidente cubano, torna a descrivere descrive quello che per lei è stato «un padre assente» che se non è mai «arrivata a odiare» non nemmeno «mai chiamato papà».

 In un’intervista alla Efe da Miami – dove vive dal 1993, quando è fuggita da Cuba con un passaporto falso mescolata in mezzo a una comitiva di turisti spgnoli – Fernandez dice che «non ha avuto tempo di voler bene a su padre, perché ho saputo che ero sua figlia quando avevo 10 anni, e questo è coinciso con uno dei lunghi periodi in cui spariva: era un visitante tenero, notturno, ma non mi sono mai abituata a chiamarlo papà».

 Figlia di Natalia Revuelta Clews e l’allora leader rivoluzionario – che la riconobbe legalmente dopo la sua nascita, nel 1956 – Fernandez racconta che «avevo sempre pensato che mio padre fosse Orlando Fernandez (suo patrigno, ndr) che se n’era andato dal Paese, diventando un “gusano” (verme, termine spregiativo usato per gli esiliati dal regime, ndr) il che mi dava molta tristezza e vergogna, perché io lo ricordavo con molto affetto». «Fidel Castro non era un padre. 

Ogni tanto compariva a casa, ma era un visitante capriccioso: poteva avere attacchi di paternità ma anche lunghe assenze. Era un signore onnipresente alla televisione, nei discorsi, ma come padre era assente», racconta ancora la donna, di 58 anni. Interrogata sul modo in cui suo padre passerà alla storia, Fernandez risponde che «per i cubani l’eredità di Castro è un Paese in rovine e l’esilio, una esperienza molto dura», ma aggiunge che sua madre probabilmente direbbe esattamente il contrario, perché «per lei Cuba era il paradiso terrestre mentre per me era un inferno». Nel 1998 scrisse un libro di memorie intitolato “Alina, la figlia ribelle di Fidel Castro”.

di Antonio Pannullo (secoloditalia.it)

Dominique Venner: Le coeur rebelle!

Un anno fa, con un gesto che sconvolse la Francia e l’Europa e fece il giro del mondo, Dominique Venner si tolse la vita sull’altare di Notre Dame.Gesto voleva essere un estremo atto di denuncia e incitamento alla ribellione nei confronti della decadenza culturale francese ed europea, c’è chi ne ricorda la figura di uomo, storico, soggetto politico che ha votato – e infine sacrificato – la propria esistenza a un’idea spirituale di patria e appartenenza.
Rebelle jusqu'au bout..

Se l’Europa ghigliottina il pensiero

Il dominio del pensiero unico uccide le differenze. E gli europei non lo sopportano più


Gli europei non sopportano più questa specie d'Europa per una ragione evidente e una latente. La ragione evidente è l'oppressione finanziaria, il maleuro che produce crisi.

La ragione latente è il dominio del pensiero unico che uccide le differenze.
Mi spiego con due esempi. A Parigi Hollande il socialista per sopravvivere ha scelto un primo ministro liberal e mercatista in economia. A Londra Cameron il conservatore per farsi accettare ha aperto ai matrimoni gay e ai temi bioetici e femministi. C'è una relazione tra i due casi? Sì, c'è e si chiama Pensiero Unico.
C'è un Canone europeo che costringe i governi europei a conformarsi a un Parametro, siano essi di destra o di sinistra. Quel Canone obbliga la destra a capitolare davanti al nuovo catechismo dei diritti bioetici e impone alla sinistra di inginocchiarsi all'inesorabile dominio mercatista. I primi se vogliono sopravvivere devono rinunciare ai principi conservatori, i secondi se vogliono restare ancora a tavola devono rinunciare ai principi sociali. E ogni fede deve piegarsi al tecnolaicismo.
In questo modo finiscono le culture civili, le visioni politiche, le differenze etico-culturali e trionfa il Pilota Automatico di cui parlava Draghi a proposito dei governi europei. Anche per reazione a quel deficit crescono i movimenti populisti contro quest'Europa. Renzi rimbalza come una pallina da Parigi e Londra, via Bruxelles e Berlino, va da Hollande e da Cameron e si presenta come ambidestro. 'A livella europea colpisce teste e cuori, oltreché portafogli.
di Marcello Veneziani (ilgiornale.it)

venerdì 9 maggio 2014

Il trafficante di pensieri- Breve storia di Peppino Impastato

Breve e intensa storia di un siciliano, uno particolare, uno trentenne, giovane e intraprendente, capace di trafficare idee e pensieri, sogni e speranze, per una terra nuova, per un'isola viva. Poche parole per ricordare a 35 anni di distanza dalla sua scomparsa Giuseppe (Peppino) Impastato, morto per mano mafiosa il 9 maggio del 1978 a Cinisi.
Peppino, o Giuseppe (per chi il sud lo conosce poco), nasce a Cinisi il 5 gennaio 1948 e non è un tipo popolare, al massimo di lui si potrebbe dire che sa prendere la vita con ironia, che sa coinvolgere e che sa circondarsi di amici, ma di certo non è un tipo popolare, anzi, Peppino è il classico tipo “testa dura” che “ti li tira di sutta i pedi” (te le tira da sotto le scarpe) e che riesce semplicemente con queste sue caratteristiche, con questo essere se stesso, a mettere in crisi, se non quasi a distruggere, l’andamento tradizionale di una famiglia, la sua famiglia, e di un paese, il suo paese, entrambi appartenenti al grande meccanismo mafia che a Peppino sin da giovane non va poi così a genio, anzi: inizia immediatamente a rompere i legami col padre, che lo caccia di casa, e avvia un’attività politico-culturale strettamente legata ad idee antimafia che lo vede protagonista nella lotta contro l’espropriazione delle terre ai contadini di Cinisi per la costruzione di una terza pista dell’aeroporto di Palermo, utilissima al controllo del traffico di droga da parte dei boss mafiosi della zona di Cinisi, ma totalmente inutile nella zona di Punta Raisi, data la presenza di forti venti meridionali di scirocco. Subito dopo fonda il gruppo “Musica e Cultura”, a dopo ancora, a cavallo dell’onda delle radio libere degli anni settanta, fonda la sua “Radio Aut”, libera ed autofinanziata, ironico megafono di denuncia di delitti e affari delle cosche della zona ed in particolare del boss Gaetano Badalamenti, il Tano Seduto nella trasmissione Onda Pazza condotta dallo stesso Peppino. Nel 1978, poco più che trentenne, decide di candidarsi con Democrazia Proletaria alle elezioni comunali di Cinisi, dimostrazione di una voglia di responsabilità vera e diretta. Dopo qualche giorno dalla scelta, ad ormai  una settimana di distanza dalle votazioni, Peppino viene assassinato: esce dalla sede di Radio Aut in serata, come di consueto, saluta tutti, ha fame, deve andare a cenare e deve fare presto, l’appuntamento con i compagni è per le 21. Prende la litoranea e si avvia verso Cinisi, lungo la strada viene bloccato da due o tre persone, condotto di forza nei pressi del casale Venuti, massacrato e torturato e successivamente posto tra i binari con una carica di tritolo sotto le spalle.
Ucciso due volte Peppino è ormai quasi irriconoscibile. Il giorno dopo, stesso giorno del ritrovamento del corpo di Aldo Moro, i pochi giornali che riportano la notizia del caso Impastato, parlano di un ragazzetto, brigatista, che durante un tentativo di sabotaggio per mezzo di tritolo della linea ferroviaria era cascato male finendo per rimanere egli stesso ucciso. Nessuno parla di assassini o anche solamente di assassinio, quello che è accaduto è un incidente che ha addirittura scongiurato un attacco brigatista. Tutto tace, ma gli amici, quegli stessi amici di cui a Peppino avevamo riconosciuto capacità di circondarsi, non riescono ad esserne convinti, non riescono a ritrovare nelle descrizioni dei giornali la figura del loro Peppino e tre giorni dopo, convintamente, scrivono per la prima volta il nome MAFIA nel caso Impastato, tappezzando Cinisi di manifesti e comprovando le accuse con i resti ritrovati nel casolare di contrada Venuti, luogo della prima uccisione di Peppino. L’attività di ricerca e documentazione inizia ad essere intensa, si ricerca ogni minimo particolare capace di ricondurre ad un assassinio per mano mafiosa e arrivano anche le dichiarazioni della madre Felicia, bastevoli per confermare quanto già dedotto dalle ricerche: il 5 marzo 2001 la Corte d’assise di Palermo riconosce Vito Palazzolo colpevole dell’omicidio Impastato, condannandolo a 30 anni di reclusione, l’11 aprile 2002 la Terza Sezione della Corte d’Assise del Tribunale di Palermo pronuncia la sentenza di condanna all’ergastolo di Gaetano Badalamenti, come mandante dell’omicidio.
La storia di Peppino termina dunque così, con due condanne: una a chi fisicamente fu incaricato di compiere l’omicidio e l’altra a chi l’omicidio lo commissionò. Nessuna condanna alle decine di poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti, che in poche ore, quasi sincroni tra loro, riuscirono a condannarlo Peppino, presentandolo al mondo come un piccolo terrorista e occultando il più possibile le mille verità che la storia Impastato cercava palesemente di mostrare.
Un vita strana quella di Peppino, una vita che avrebbe potuto raccontarci chissà quante altre storie, quante altre vicende, quante altre avventure da poter citare e raccontare. O forse no, forse Peppino, vivendo, sarebbe rimasto un ragazzo di Cinisi, e basta. Sarebbe rimasto lì, tra i palazzetti e le case abusive di Terrasini, sarebbe rimasto nella memoria di chi lo ha conosciuto e sarebbe rimasto sconosciuto ai molti. Sarebbe stato lo stesso Peppino Impastato ma nessuno, nessuno, ce lo avrebbe raccontato, nessuno avrebbe ritrovato eccitante la semplice storia di un ragazzo trafficante di pensieri.

di Carmelo Traina (fanpage.it)

lunedì 5 maggio 2014

Bobby Sands,martire d'Irlanda.

Il 5 maggio 1981, Bobby Sands morì nella prigione di Maze, a pochi chilometri da Belfast. Aveva 27 anni, un terzo dei quali passati in prigione, e morì a causa dello sciopero della fame che aveva iniziato per protestare contro l’abolizione dello status di “categoria speciale”. Lo Special Category Status (SCS) veniva garantito a partire dal 1972 a tutte le persone che venivano arrestate per cause legate al movimento separatista dell’Irlanda del Nord. La sua abolizione era vista dal movimento come una misura per “criminalizzarlo” e allontanare la questione dell’Irlanda del Nord dal piano politico per renderla solo un problema di ordine pubblico. Danny Morrison, segretario del Bobby Sands Trust e responsabile della comunicazione per il Sinn Féin (lo storico partito indipendentista nordirlandese) dal 1979 al 1990 ha scritto un ricordo di Bobby Sands sul Guardian e ha spiegato perché la memoria della sua vicenda è ancora molto viva oggi, dopo che al ragazzo sono state dedicate strade, film e canzoni.
Bobby Sands stava scontando una condanna a 14 anni per possesso di arma da fuoco. A Maze, chiamata anche “H-blocks” perché viste dall’alto le costruzioni della prigione erano a forma di H, erano detenuti diversi altri appartenenti al movimento separatista, solitamente imprigionati per possesso di armi e attività paramilitari (inclusi attentati e omicidi). A partire dalla metà degli anni Settanta le proteste dei detenuti erano continue, e includevano il rifiuto di indossare l’uniforme della prigione e di chiamare le guardie “signore”, oppure la cosiddetta “protesta sporca”, che consisteva nel ridurre gli ambienti del carcere in condizioni igieniche terribile imbrattando i muri e rifiutando di lavarsi. Da parte sua, l’amministrazione carceraria rispondeva con l’isolamento e i pestaggi. Il primo ministro britannico Margaret Thatcher negava ogni dialogo dicendo che i carcerati non rappresentavano nessuno e non avevano dunque alcun diritto ad essere ascoltati.
Bobby Sands iniziò lo sciopero della fame il primo marzo 1981, chiedendo che ai detenuti per il separatismo nordirlandese venisse riconosciuto lo status di prigionieri politici o di guerra e non quello di criminali comuni. Sands decise che altri detenuti avrebbero potuto seguirlo, ma preferibilmente a distanza di qualche settimana, in modo da guadagnare più attenzione da parte dei mezzi di comunicazione. Sands fu il primo a morire, dopo 66 giorni. Venticinque giorni prima, mentre portava avanti lo sciopero, fu eletto alla Camera dei Comuni britannica nella circoscrizione di Fermanagh and South Tyrone: il fatto diede notorietà internazionale alla protesta della prigione di Maze, a cui parteciparono altri ventidue detenuti. Nove di questi lo portarono avanti fino alla morte. Lo sciopero venne sospeso solo il 3 ottobre.
Margaret Thatcher parlò della protesta come dell’”ultima carta dell’IRA”, ma la previsione si rivelò essere clamorosamente sbagliata. Il supporto al movimento repubblicano aumentò notevolmente e il partito politico legato all’IRA, il Sinn Féin, crebbe fino a diventare il maggior partito dell’Irlanda del Nord.
da ilpost.it