lunedì 18 febbraio 2013

La guerra civile del pensiero tedesco


Cinquant'anni fa una bomba dilaniò il pensiero tedesco e più vastamente la filosofia d'Occidente, innescando il pensiero negativo. Un filosofo assai accreditato, tornato in Germania dagli Stati Uniti, dedicava un saggio tremendo al Guru Vivente d'Occidente, si accaniva contro un altro grande filosofo tedesco e trascinava sul banco degli imputati le correnti più vive del suo tempo.
E a sua volta si attirava fulmini e disprezzo. Parlo di Theodor W. Adorno, capostipite della Scuola di Francoforte, che scrive nel 1963 un saggio violento contro «l'ideologia tedesca» e attacca l'aura sacrale di Martin Heidegger, demolisce Karl Jaspers e ridicolizza i loro seguaci che mimano l'autenticità. Il saggio, che l'anno seguente si comporrà in libro, è Il gergo dell'autenticità, uscito in Italia con un bel saggio introduttivo di Remo Bodei nel 1989 da Bollati Boringhieri.
Così esplose la guerra civile del pensiero tedesco, che poi si trasferì dalla Germania all'Occidente, dalle cattedre alle piazze con la Contestazione, di cui la Scuola di Francoforte sarà il principale riferimento.
Il testo di Adorno è per un verso una straordinaria satira filosofica del gergo ieratico in cui si nasconderebbe la filosofia oracolare di Heidegger e degli esistenzialisti. Ma è anche un carognesco tentativo di stabilire un nesso tra il pensiero di Heidegger e la Shoah, come se quell'indecifrabile linguaggio fosse solo il paludamento dell'ideologia nazista. L'aspetto più odioso e ingiusto di questo pur brillante saggio di Adorno era il nesso che stabiliva tra Il gergo dell'autenticità e «il distintivo all'occhiello del partito nazista». Come dire che il linguaggio heideggeriano era il versante esoterico e il nazismo ne era la versione politica di massa. Hannah Arendt, ebrea e un tempo allieva e amante di Heidegger, insorge contro Adorno e lo definisce «uno degli uomini più ripugnanti che io conosca», «un mezzo ebreo» che sperava di farla franca «grazie alla sua discendenza italiana da parte di madre». In verità Adorno aveva ben altri scheletri nell'armadio: mentre accusava Heidegger per il famoso discorso del rettorato del 1933, lui Adorno, nel 1934 scriveva articoli filonazisti per ingraziarsi il capo della gioventù hitleriana, Baldur von Schirach e citava positivamente Goebbels. La scoperta avvenne proprio nel '63, fu uno studente ad accorgersene e a scriverlo. Lui minimizzò liquidando la sua captatio benevolentiae verso i nazisti come «stupidamente tattica». Magari Heidegger avrebbe potuto dire la stessa cosa, da una posizione più in vista, quando fece quel discorso del rettorato o quando sfoggiava il distintivo nazista (anche Bobbio in Italia sfoggiava il distintivo fascista e giurava fedeltà al regime).
Nel saggio Adorno se la prende con la moda esistenzialista discesa da Heidegger, il modo di vestire volutamente trasandato, i lunghi capelli, la barba incolta per simulare il ritorno all'origine. È curioso pensare che poi quei «giovani cavernicoli» si ispireranno proprio alla Scuola di Francoforte e in particolare a Marcuse quando daranno vita al '68 e useranno le clave. In verità Adorno poi fu critico anche verso i contestatori.
Il saggio di Adorno tentava di ridurre a un solo Nemico irriducibili avversari come lo scientismo e il pensiero del sacro, Popper e Heidegger, i positivisti e gli esistenzialisti, la Tecnica e i suoi critici, l'americanismo e la rivoluzione conservatrice, inclusi i poeti come Rilke e George, fino a definire il liberalismo «il progenitore del fascismo». Forzature insostenibili. In realtà l'unica alleanza ibrida e grandiosa che si profilava nel pensiero tedesco era tra il contadino Heidegger, con la sua critica radicale verso la Tecnica, le metropoli e la modernità, e l'operaio Jünger, col suo futurismo eroico, il suo stilnovismo d'acciaio, la sua epica ed estetica del paesaggio tecnico. È l'alleanza tra il sacerdote e il guerriero o lo sciamano e il milite del lavoro. Peraltro, lo stesso Adorno si serve molto del pensiero modernista reazionario e perfino di quello schiettamente antimoderno; di solito tace quel debito imbarazzante ma in Minima Moralia lo confessa: «Uno dei compiti fondamentali di fronte a cui si trova oggi il pensiero è quello di impiegare tutti gli argomenti reazionari contro la cultura occidentale al servizio dell'illuminismo progressivo».
Adorno stronca in Heidegger la visione sacrificale della storia e dell'umanità, le connessioni magiche e irrazionaliste, il feticismo dell'originario. Se la prende con Kierkegaard e con l'idealismo tedesco come le matrici di quel pensiero. E critica anche l'ideologia della morte che si anniderebbe nell'autenticità di Heidegger come nei campi di sterminio. Un riduzionismo canagliesco, non c'è che dire, dell'«essere per la morte» di Heidegger all'orrore della Shoah. Adorno accusa Heidegger di arcaismo e di provincialismo, poi ironizza sull'uomo pastore dell'Essere, si fa beffe del suo radicamento nella terra natia e della sua vita rurale. Heidegger che aveva criticato la chiacchiera viene ricondotto da Adorno al regno della chiacchiera in versione oracolare. «L'aureola in cui la parola viene avvolta come arance nella carta velina»...
E Heidegger come reagisce? Col silenzio, evita di replicare, dichiara di non leggere Adorno. Ma in conversazione e in un'intervista a Richard Wisser, Heidegger liquida Adorno come un sociologo, ironicamente chiede con chi abbia studiato, lo sbriga come un brillante benché contorto manierista che usa «forme di gesticolazione intellettuale». (Di Heidegger è uscito ora un corposo e stridente volume, Holderlin. Viaggi in Grecia - Bompiani, pagg. 768, euro 30 - in cui il grandioso pensiero di un presocratico del nostro tempo convive col turismo da vacanze organizzate di un professore in crociera con signora).
Ma Adorno si accanisce anche contro Jaspers, che non poteva essere accusato d'intelligenza col nazismo, ma aveva criticato marxismo, psicanalisi e razzismo come «i più diffusi occultamenti dell'uomo», ed era arrivato a scrivere: «Quando tutto è reciso resta solo la radice, cioè l'origine da cui siamo cresciuti». Nel giro di sette anni morirono i protagonisti della disputa: nell'ordine, Jaspers, Adorno, la Arendt e infine Heidegger. Ma quando erano tutti viventi arrivò il '68 e Adorno fu contestato come Heidegger e gettato nella fossa comune della Chiacchiera. Era il tempo del Fare, della Rivoluzione, della Contestazione globale. Che alla fine si rivelò anch'essa Chiacchiera.
di Marcello Veneziani
ilgiornale.it